Storicamente. Laboratorio di storia

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Thierry Pillon, François Vatin, Traité de sociologie du travail. Seconde édition actualisée

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Come è sottolineato nell’introduzione, oltre che dall’esplicito richiamo del titolo, questa panoramica storica sulla sociologia del lavoro in Francia si propone di aggiornare, a più di quarant’anni di distanza, lo storico Traité de sociologie du travail (1961) di G. Friedmann e P. Naville, i quali a loro volta facevano riferimento al Trattato di sociologia di G. Gurvitch.
Si tratta di un’ampia retrospettiva che riprende i temi della sociologia del lavoro dalla fine dell’Ottocento agli anni ’80 del Novecento per soffermarsi sul periodo cruciale per questa disciplina, che corrisponde ai trentanni gloriosi (come vengono definiti dagli autori) dello sviluppo economico postbellico.
Il primo capitolo Le travail et les sciences ripercorre la storia del concetto di lavoro ed esamina la relazione tra lavoro e scienza, lavoro ed economia politica e, infine, lavoro e scienze umane. Per quest’ultima parte vengono scandite come tappe decisive l’utilizzo in fabbrica della psicologia da parte di J.-L. Moreno, e l’introduzione della psicosociologia degli anni Trenta con gli studi condotti presso la Western Electric da E. Mayo. Il successo riscontrato negli USA durante il keynesismo della psicolosociologia e delle relazioni umane aprirono la strada all’applicazione delle human relations nell’industria europea del dopoguerra, esperimento dagli esiti assai discutibili.
Il capitolo Travail et technique prende in esame le opere di Friedmann, Naville, Mallet e altri sociologi del lavoro che dedicarono le loro opere più importanti alla relazione tra attività umana e innovazione tecnologica, istituendo una vera e propria «pensée sociale de la machine».
Gli autori istituiscono un parallelismo tra la celebre L’evoluzione del lavoro operaio alla Renault di A. Touraine, in cui venne proposta la tripartizione degli stadi evolutivi della fabbrica fordista (macchine manuali, semimanuali, automatiche), e la teoria dei tre stadi di L. Mumford secondo il quale una divisione in tre tempi della storia delle innovazioni, le quali portano ogni volta con sé un nuovo tipo di fabbrica e di operaio, non è un’evoluzione lineare, ma le tre fasi coesistono nel processo industriale.
Un altro grande tema che gli autori evidenziano è come quel movimento razionalizzatore nato negli USA che prese il nome dal suo inventore, F.W. Taylor, influenzò la sociologia e il suo sguardo sulla fabbrica. Appurato il fallimento del taylorismo come metodo di organizzazione del lavoro, viene sottolineato come per anni la sociologia abbia scontato un’ambiguità che l’ha portata a prediligere l’aspetto organizzativo – volto cioè a stemperare gli eccessi degli “uffici tempi e metodi” – a quello di un’analisi completa del lavoro di fronte ai cambiamenti imposti dalle evoluzioni tecnologiche: «L’objectif de la sociologie du travail n’est pas de dégager la forme idéale d’organisation productive; il est de montrer comment ces questions fondamentales se posent chaque fois dans des termes nouveaux au fur et à mesure des transformations techniques, économiques et sociales» (192).
L’ultimo capitolo, Travail et socialisation, analizza il rapporto tra sociologia ed evoluzione del mondo operaio. In particolare viene fatto notare come spesso la sociologia, come la storia, sia stata influenzata da una visione distorta dell’operaismo, che, fino a tutti gli anni ’60 del Novecento mitizzava la figura dell’operaio. Al tempo stesso è innegabile il contributo che gli studi sociali hanno apportato alla comprensione dell’evoluzione del lavoro, dei movimenti sociali, e dell’azione sindacale. Un risalto particolare, in questo senso, è attribuito al lavoro di S. Mallet, La nuova classe operaia. Mallet, infatti, nel periodo di passaggio tra anni Sessanta e Settanta colloca un cambiamento radicale della figura dell’operaio divenuto, a seguito del massiccio impiego di tecnologie nell’industria, un «proletario in camice bianco»: «l’ingénieur du bureau d’étude, inséré dans le planning de son laboratoire de recherches, est totu aussi ‘proletaire’ que le surveillant-tableau de l’entreprise automatisée» (320).
Il volume è completato da un’ampia bibliografia sulla sociologia del lavoro in Francia e sul dibattito internazionale intorno alla nascita degli studi sul lavoro durante il XIX e XX secolo.