Intervista a Jerzy Tomaszewski dell’Istituto di Storia dell’Università di Varsavia
a cura di Carla Tonini
Professor Tomaszewski, dove si trovava alla vigilia delle elezioni polacche del giugno 1989?
Insegnavo storia contemporanea a Scienze politiche. Fino al 1977 avevo insegnato nel Dipartimento di Agraria della Scuola Superiore di Pianificazione. Di formazione sono storico dell'Economia; tra i miei primi lavori vi è uno studio sulla Banca commerciale italiana e le Assicurazioni Generali di Trieste. La scuola di Agraria era un posto decente, ma il lavoro era noioso. Agli studenti non interessava niente della pianificazione. Avevo iniziato già da qualche anno a occuparmi delle minoranze nazionali; nel 1985 fu pubblicato il mio libro sulle minoranze in Polonia tra le due guerre e fui invitato a insegnare all'Istituto di Storia di Scienze politiche. Il libro finì al macero, ma il fatto di poter scrivere degli ebrei tra le due guerre mondiali, era un segnale del cambiamento di atmosfera in Polonia e, in generale, in tutto il Blocco sovietico. Nello stesso periodo presi parte a una conferenza di storici in Bulgaria, durante la quale furono dibattute questioni che solo qualche anno prima sarebbero state inammissibili. Anche in Cecoslovacchia c’era molto scontento. Nelle conversazioni private si evitavano temi scottanti ma c’era molto interesse per la Polonia.
Come giudicava al tempo il regime comunista?
Come un regime che aveva fallito in campo economico e aveva bisogno di grandi riforme. Ma questo lo sapevamo dal 1968. Nel '68 ero a Praga e ricordo le conversazioni sulla necessità di avviare il decentramento in campo economico. Già allora l'incapacità del sistema era evidente. Negli anni '80 la situazione in Polonia era catastrofica e il colpo di stato con cui il generale Jaruzelski eliminò Solidarnosc, non diminuì la consapevolezza che il regime aveva urgente bisogno di riforme. Nell'88, la nomina di Rakowski a primo ministro suscitò molte speranze. Il suo governo approvò la legge sulla libera iniziativa economica, iniziò la commercializzazione delle imprese, introdusse la libera circolazione di valuta straniera, dando inizio alla transizione in campo economico. Tutto ciò avveniva senza la partecipazione della società, che nel 1987 aveva manifestato la sua indifferenza disertando il referendum con il quale il governo chiedeva l'approvazione di un pacchetto di drastiche riforme in campo economico.
Come si arrivò alla Tavola rotonda dell'aprile '89?
Sia nel partito che in Solidarnosc (allora in clandestinità) si formò un gruppo, piccolo ma importante, pronto a discutere sul futuro del paese e ad assumersi la responsabilità del cambiamento. Nel partito questo gruppo comprendeva, oltre a Jaruzelski, Rakowski, Kiszczak; in Solidarnosc comprendeva Mazowiecki, Geremek, Kuron, Michnik. Mazowiecki ha grandi meriti. Era a favore di cambiamenti nella sfera politica, ma era anche molto cauto, perché apparteneva alla generazione che ricordava la sconfitta del '68 a Praga. Walesa, che ha un talento politico straordinario, possiede un carisma particolare, alla fine degli anni '80 era un personaggio noto in tutto il mondo. Era perciò il candidato ideale a svolgere il ruolo di leader politico, ma le decisioni erano prese dal gruppo dei suoi consiglieri, soprattutto da Mazowiecki e Geremek. Nel partito vi erano forti resistenze al dialogo con i rappresentanti dell'opposizione e alla rilegalizzazione di Solidarnosc: nell'agosto del 1988 già si parlava di Tavola rotonda, in ottobre il tavolo di forma circolare era pronto, ma si dovette smontarlo e rispedirlo in magazzino. All'interno di Solidarnosc il gruppo dei radicali - Gwiazda, Jurczyk - era contrario a ogni compromesso con il potere e si preparava a boicottare eventuali trattative. L'impasse fu rotto quando Jaruzelsi, Kiszcak e Rakowski minacciarono di dimettersi se il partito non avesse approvato l'inizio dei colloqui della Tavola rotonda.
I risultati delle elezioni polacche del 1989 furono un vero shock. Nessuno si aspettava una vittoria così schiacciante di Solidarnosc. Come spiega questa incapacità sia del governo sia dell'opposizione di interpretare gli umori della società?
La direzione del partito comunista era convinta che avrebbe vinto le elezioni in Polonia del 1989: gli accordi garantivano ai suoi rappresentanti il 65% dei posti in parlamento; solo le votazioni per il senato erano libere. Inoltre, i rapporti inviati dalla polizia segreta parlavano di un forte calo di consensi di Solidarnosc, di una organizzazione in crisi. E' vero che Solidarnosc perdeva consensi. Io facevo parte della commissione di Dipartimento e so quanta fatica facevamo a riscuotere le quote di iscrizione al sindacato e quanto la nostra sopravvivenza era dovuta all'arrivo di pacchi dall'Occidente, ma anche dalla Germania orientale e dalla Russia. A un certo punto i pacchi dall'estero erano così tanti che alle poste centrali di Varsavia dovettero aprire un ufficio apposito. Dall'altra parte il partito era in disfacimento dal 1980, quando metà dei suoi membri restituì la tessera.
L'apparato fu contento quando Jaruzelski attuò il colpo di stato, ma la base e i giovani funzionari di medio livello sapevano che l'economia era un disastro e che bisognava cambiare. La polizia segreta faceva arrivare alla direzione del partito le notizie che questa voleva sentire; la verità è che il colpo di stato dell'81 fu solo un diversivo e che la società non accettava più il regime. Personalmente, nel gennaio 1989, guardavo con speranza alla Tavola rotonda e respiravo un'aria diversa. All'Università consigliai di abbonarsi a Gazeta Wyborcza (la Gazzetta elettorale, oggi il maggior quotidiano polacco, n.d.r), che ormai si comprava regolarmente nei chioschi e di lasciar perdere Zycie Warszawy, il quotidiano del partito nella capitale.
Quest'anno i polacchi festeggiano, per la prima volta e in grande pompa, il 4 giugno 1989, ormai considerato l'anniversario della caduta del comunismo. All'epoca quale fu la percezione generale?
Di grande gioia per la vittoria elettorale. Ero felice per Mazowiecki. Vi furono manifestazioni di strada, ma nessuno pensava alla "fine del comunismo". C'era ancora molta incertezza. Nel governo Mazowiecki, che nacque nel luglio 1989, i ministeri chiave erano guidati dai comunisti. La Russia restava un'incognita, dalla quale ci si poteva aspettare di tutto. Gradualmente la gente si abituò al fatto che le cose erano cambiate davvero: Jaruzelski, che era stato eletto presidente della Repubblica, non interferiva nell'attività del governo e, quando Walesa pretese elezioni presidenziali anticipate, si dimise senza fare storie. Posso dire poco dell'atmosfera post elettorale, perché in estate partii per il Giappone. A Sapporo, dove tenevo un corso di storia della Polonia, il rettore mi chiese quali fossero le prospettive di cambiamento per il regime romeno e ricordo che risposi: "più tardi, più tragico".
Venti anni dopo, qual'è il suo giudizio sul regime comunista?
La politica dominava sull'economia, molto più che in passato. La ricostruzione post-bellica non sarebbe stata possibile senza intervento statale. A Varsavia gli impresari uscirono nudi dall'insurrezione del '44. Nelle regioni occidentali ex tedesche c'erano le ditte, ma non c'era chi potesse dirigerle. Non c'era capitale e senza stato non si poteva fare nulla. Positiva fu anche la riforma agraria che parcellizzò il latifondo, così come l'introduzione del diritto al lavoro e del fondo per le ferie dei lavoratori. Lo stalinismo fu una tragedia. Fu importata letteratura economica sovietica senza nessun valore. Brus scriveva ma non aveva nessuna influenza. All'inizio poi mancavano i quadri, che cominciarono a funzionare solo dopo il '56, un anno importante che aprì nuove prospettive. Il mio collega tornò a lavorare nella piccola città in cui era nato, diventò direttore di banca e creò un gruppo di riformatori. In certe città, come a Łòdz vi erano buoni quadri, in altre meno. Sotto il comunismo i contadini e i membri delle minoranze ebbero accesso all'istruzione, soprattutto attraverso l'Esercito che apriva la strada agli Istituti superiori.
L'avanzamento sociale era visibile specialmente nella minoranza bielorussa, prima della guerra molto povera e arretrata culturalmente. Dopo la seconda guerra mondiale, gli ucraini che rimasero in Polonia (150.000 persone n.d.r) furono deportati nelle città delle regioni occidentali del paese e questo li ha favoriti. Anche i bielorussi che vivevano vicino alla frontiera sovietica scappavano, andavano in città, cambiavano nome. Le generazioni post-belliche erano molto dinamiche, si autoselezionavano. Negli anni '60, i bielorussi ottenevano i risultati migliori negli esami di ammissione all''Università. Il '68, con la campagna antisemita e l'atmosfera xenofoba che dominava nel paese, fu una catastrofe per tutte le minoranze. Negli anni '70 ricominciò lo sviluppo culturale, nacque un'ottima ucrainistica, il dipartimento di storia a Bialystock si occupava dei bielorussi, in Slesia viene fondata una casa editrice locale.
Da questo punto di vista, la nascita di Solidarnosc ha costituito un passo indietro; vi era molto nazionalismo, i bielorussi erano discriminati, trattati da cittadini di seconda categoria. Oggi non c'è più paura e possiamo vedere i frutti di ciò che è stato seminato negli anni del regime.