Luigi Provero, “Le parole dei sudditi. Azioni e scritture della politica contadina nel Duecento”, Spoleto, CISAM, 2012, XXI - 489 pp.
Il libro, maturato nel corso di un decennio, segna un'evoluzione evidente negli interessi dell'a. Formatosi alla scuola medievistica torinese di G. Tabacco e, quindi, di G. Sergi, egli è apprezzato soprattutto per lavori di ricerca e sintesi intorno alle strutture locali e sovralocali del potere e ai raccordi vassallatici entro l'aristocrazia del pieno Medioevo. Ora la sua attenzione si volge dalle forme istituzionali alle dialettiche politiche fra signori e comunità rurali. Tuttavia, la riflessione storiografica che sostiene l'opera vuole risolversi anzitutto in una proposta di metodo, come emerge anche solo da una fugace illustrazione dei contenuti del volume.
Il titolo già contiene l'ipotesi di partenza della ricerca: che sia cioè possibile individuare una politica propriamente contadina nelle campagne del Piemonte meridionale duecentesco, ricostruibile seguendo l'elaborazione di discorsi politici. La parola, in quanto azione consapevole, emerge quindi da scritture che si configurano al tempo come testimonianza di azioni e azioni esse stesse. Lette a partire da un'impostazione prasseologica – il debito verso la storiografia delle pratiche, e verso A. Torre su tutti, è esplicito –, sapientemente smontate e riferite ai loro specifici contesti, le fonti paiono in grado di restituire l'agire concreto di soggetti storici interessati a piegare situazioni circostanziate ai loro fini contingenti. Anche la viva voce dei contadini, che produttori di documentazione non sono a queste altezze cronologiche, appare allora percepibile laddove si apra uno spazio di confronto con i signori: nei villaggi e nei tribunali. Si configurano in questo modo due azioni distinte, alle cui espressioni sono dedicate le prime due parti del volume: la negoziazione politica con il signore e la deposizione testimoniale in suo favore.
A livello locale, i rapporti di potere trovano un esito caratteristico nelle carte di franchigia, intese qui in senso informale come tutti gli atti che stabiliscano prerogative e limiti di intervento di signori e comunità. Questi testi, in effetti, non appena si abbandoni una logica puramente oppositiva, si mostrano in una dimensione genuinamente politica di contrattazione fra parti di ineguale forza, ma comunque interessate a trovare punti di convergenza. «Strumenti della politica locale», le franchigie permettono di seguire l'elaborazione di articolati e puntuali equilibri intorno ad alcune questioni centrali del conflitto (procedure giudiziarie, beni comuni, prelievo, servizi militari, ecc.). Nel vivo delle dinamiche concrete, signoria e comunità perdono il carattere diafano di modelli istituzionali: si complicano, si disarticolano, si coimplicano continuamente. La frammentazione e la diversità – di giurisdizioni, di spazi fisici, di ambiti sociali – sono i dati di fondo di queste campagne, e le convenzioni paiono esattamente avere la funzione di gestire la differenza più che creare omogeneità. Se alcune linee di tendenza sono ravvisabili (conflitti sulle esenzioni delle clientele militari, sul controllo dei beni comuni e della mobilità contadina), è soprattutto la crescita istituzionale delle comunità il frutto del confronto politico con i signori, e, con essa, la formazione di élite e gerarchie all'interno dei villaggi.
Le liti di giurisdizione offrono un'occasione differente alla società locale per agire politicamente. Sostenere un signore in tribunale è di per sé un modo per rafforzare una relazione privilegiata. Ma offre anche la possibilità di perseguire finalità proprie. I sudditi, in queste circostanze, si mostrano non soltanto indispensabili per fondare le affermazioni signorili, ma soprattutto capaci di seguire oscillanti linee argomentative nella selezione dei «segni del controllo» dei poteri locali (giurisdizione, protezione, prelievo fondiario) e di saper trattare i significati da attribuire ad azioni ambivalenti, sospese fra la rapina e il prelievo legittimo. A mostrarsi in difficoltà sembra tuttalpiù la signoria medesima, che appare molto limitatamente radicata nella realtà del villaggio e si trova costantemente costretta a ricorrere alla mediazione degli strati superiori della società locale – è significativo che le maglie dell'inquadramento distrettuale (il c.d. processo di incellulamento) sembrano lontane dall'essere chiuse ancora a metà del secolo XIII. Ma, nonostante la convergenza su linguaggi e strategie politiche sostanzialmente condivise fra signori e contadini, si fa pure intravvedere un carattere tipico delle campagne di antico regime, l'opposizione fra una cultura fondata sulle pratiche socialmente riconosciute, e una cultura dei diritti giuridicamente definiti.
Nella terza parte del libro, le forme documentarie cessano di orientare, già per se stesse, la politica contadina: viene dunque a cadere una corrispondenza stretta fra azioni e scritture. Attraversando trasversalmente franchigie e testimoniali, l'a. individua alcuni «percorsi» possibili dell'azione politica che conducono ora entro il processo di costruzione comunitaria, ora nello scambio e nel conflitto fra signori e società locale. Oltre alla revisione di tematiche classiche della storiografia – il ruolo delle chiese per le identità di villaggio, la decima come suggerimento di territorialità – questa sezione offre, in particolare, l'opportunità di cogliere un proprium della coscienza politica contadina. Nella concezione sia del giusto prelievo, sia del confine spaziale, riemerge infatti con chiarezza una cultura che pone l'uso sociale alla base del diritto, eventualmente in aperta tensione con astrazioni giuridiche di elaborazione colta. Tuttavia, non manca di farsi strada, nelle campagne duecentesche, la nozione cittadina di residenza come fondamento di appartenenza e dipendenza, per rispondere alle esigenze tanto signorili quanto contadine di contenimento della mobilità di una popolazione in aumento.
La ricerca procede attraverso un finissimo lavoro di decostruzione e ricostruzione delle fonti, che vengono chiamate a spiegare i quadri locali, le opzioni dei soggetti, e, soprattutto, sé stesse. Ne risultano primariamente vivide immagini della società rurale, continui suggerimenti e suggestioni e una piena coscienza della ricchezza, della vitalità della documentazione.
Si potrebbe forse rimproverare a un libro tutto teso alla concretezza la difficoltà a cogliere i profili sociali dei protagonisti – contadini vale qui in senso etimologico: né cittadini, né nobili – e la genericità di una cultura contadina che, in fondo, pare articolarsi sulla distinzione fra potere legittimo e arbitrario, sul concetto di scambio reciproco fra signori e sudditi, sul valore sociale della gestualità. Ma, al di là dell'oggettivo rilievo di queste ricerche nell'ambito del dibattito medievistico, pare soprattutto importante constatare che esse propongono di leggere, nelle azioni degli uomini, altrettanti contributi alla costruzione sociale del loro mondo.