W. George Lovell, Death in the Snow. Pedro de Alvarado and the Illusive Conquest of Peru. Montreal & Kingston: McGill-Queen’s University Press, 2022. 237 pp.
L’adelantado fu molto rattristato perché sapeva, dato ciò che aveva già visto sulle nevi, che ci sarebbero state certamente altre morti su per quelle montagne. […] Iniziarono l’ascensione della sierra come meglio poterono, senza vedere il sole, né il cielo, né altro che neve. La giornata fu talmente trista e ci fu una tale tormenta che per quanto io lo enfatizzi le mie parole non dicono nulla a paragone di ciò che realmente toccò sopportare ai cavalieri. […] Gli sventurati indios e indie al loro seguito gridavano perché costretti a morire così miseramente e lamentavano la propria sventura invocando con accenti terribili i loro antenati. […] Morirono in queste nevi quindici spagnoli e sei donne spagnole e molti negri e più di tremila indios e indie fra quanti ne erano partiti. Sembravano morti viventi, senza colore e senza forze, gialli e fiacchi che era una compassione vederli.
Pedro Cieza de León, Scoperta e conquista del Perù, Macerata, Quodlibet, 2020, pp. 399-401
Con queste parole Pedro Cieza de León, cronista della conquista del Perù, narrava pochi anni dopo gli eventi la fallimentare spedizione di conquista di Quito (Ecuador) dell’adelantado don Pedro de Alvarado, governatore del Guatemala e uno dei più temibili conquistadores spagnoli. È su questo episodio che si fonda lo studio di W. George Lovell, Death in the Snow, agile volume che racconta le dinamiche che portarono Alvarado a investire un’ingentissima quantità di denaro per armare una spedizione verso il Perù con l’approvazione ufficiale di Carlo V. La missione però ebbe esiti tutt’altro che felici, risolvendosi in morte e dolore per centinaia di persone senza nome, e in una resa pressoché incondizionata da parte di Alvarado di fronte ai conquistadores del Perù Francisco Pizarro e Diego de Almagro.
L’analisi di Lovell si dipana lungo l’arco di cinque sezioni suddivise in diciotto brevi capitoli puntuali e concisi che ricostruiscono con rigore storico la successione degli eventi. La prima parte, Rainbow of Illusions, introduce il profilo biografico di Alvarado: dai primi passi mossi nelle isole caraibiche, passando per le tragiche vicende occorse durante la conquista del Messico nella compagnia di Hernán Cortés, sino alla sanguinolenta spedizione di conquista del Guatemala, l’autore ci restituisce un ritratto che delinea perfettamente i contorni caratteriali, a tratti psicologici, di Alvarado, un uomo impaziente, impulsivo, bramoso di potere e di ricchezze. Una volta ottenuto da Carlo V e dal Consiglio delle Indie il titolo di adelantado (governatore) del regno di Guatemala, Alvarado rimase però insoddisfatto della scarsità di oro e argento del Centro America, in contrasto con quanto aveva visto in Nuova Spagna – ormai saldamente nelle mani di Cortés – e con tutti i racconti che giungevano alle sue orecchie da parte degli spagnoli che erano stati in Sud America. Le voci narravano infatti di inimmaginabili quantità di oro nella città di Quito, incastonata nel cuore delle Ande. Fu proprio questo uno dei motivi che spinse Alvarado a rientrare in Spagna: convincere Carlo V a concedergli l’autorizzazione ufficiale per armare una campagna di conquista, dapprima nei mari del Sud (oceano Pacifico) e poi nei territori sudamericani che non erano ancora ricaduti sotto la giurisdizione di Pizarro e Almagro, eventi cui Lovell dedica la seconda parte, Preparation. La terza sezione, Arrival, segue le prime fasi della spedizione nei territori inesplorati della costa ecuadoriana nella regione di Esmeraldas, con una finissima analisi dedicata alle difficoltà incontrate da parte dei conquistadores nei numerosi tentativi di orientarsi nel labirintico dedalo della natura del Nuovo Mondo, senza l’aiuto delle popolazioni indigene locali. La quarta sezione, Up, over, and down, è senza dubbio quella più avvincente nell’intera ricostruzione delle vicende: l’autore concentra il proprio sforzo analitico su quella che fu una vera e propria “corsa” verso Quito da parte delle diverse fazioni di conquistadores. Da un lato Alvarado affondava i suoi passi nelle nevi ghiacciate e inospitali ai piedi dei maestosi vulcani andini, incontrando la morte e la disperazione di una parte consistente della sua compagnia. Dall’altro lato Sebastián de Belalcázar, grazie all’aiuto degli alleati indigeni, riusciva agilmente a raggiungere Quito e a prenderne possesso in nome di Pizarro e di Almagro. Quando Alvarado riuscì a valicare il passo non poté fare altro che osservare la traccia dei cavalli dei suoi avversari, riconoscendo mestamente che era stato battuto sul tempo. La quinta e ultima parte del volume, Saving face, è dedicata all’incontro faccia a faccia che Alvarado richiese ad Almagro, il quale aveva ufficialmente fondato la città di Santiago de Quito il 15 agosto 1534. La riunione che si tenne il 26 agosto portò alla firma di un accordo di pace. Alvarado, che aveva promesso ricchezze e potere a tutti i suoi uomini, richiese che questi venissero trattati con il dovuto rispetto e che gli fosse riconosciuto un ruolo di primo piano: tra questi, ricorda Lovell, vi era anche un tale di nome Garçilaso de la Vega, padre del futuro autore dei Comentarios reales. Alvarado vendette le sue navi e i suoi averi a Pizarro per centomila pesos d’oro, una cifra simbolica che lo rimborsò solo parzialmente delle spese sostenute durante la spedizione, e all’inizio del 1535 salpò per fare ritorno in Guatemala. Nonostante la fallimentare spedizione a Quito, Alvarado non si diede per sconfitto e mise in piedi una nuova missione di conquista delle isole del Pacifico: tuttavia, nel pieno dell’organizzazione, il 24 giugno 1541 trovò la morte nelle montagne della Nuova Galizia, nei pressi di Tequaltiche.
Accompagnata da un ricco apparato di mappe e fotografie scattate direttamente dall’autore nei luoghi principali della spedizione di Alvarado, l’accurata narrazione di Lovell si basa su di un’ampia e solida bibliografia che spazia tra gli studi anglosassoni e quelli del mondo iberoamericano; lo sguardo viene rivolto anche agli studi di Francesca Cantù, storica che ha avuto il merito di riscoprire nelle collezioni della Biblioteca Apostolica Vaticana la terza parte dell’opera di Cieza de León, per secoli creduta dispersa. Inoltre, Lovell ha l’indubbio merito di fare ampio uso di fonti documentarie di prima mano conservate presso l’Archivo General de Indias di Siviglia. Di una di queste fornisce anche l’intera trascrizione in appendice: si tratta dell’appello degli uomini che accompagnarono Alvarado nella spedizione verso Quito, registrato dal notaio Hernando de Sosa l’11 gennaio 1534 nei pressi della Ysla de los Xagueyes (Realejo) in Nicaragua, da cui le navi salparono l’ancora. Il prezioso documento fornisce i nomi e cognomi di oltre 400 spagnoli che vi presero parte ma tace su tutte quelle persone, donne e uomini, indigeni e africani schiavizzati che non fecero mai ritorno in Guatemala e che riposano senza nome sulle nevi andine. È proprio questo in fin dei conti il grande silenzio che racconta Lovell in Death in the Snow.