Carol Atack, “The Discourse of Kingship in Classical Greece”, London ‒ New York, Routledge, 2020, VII-242 pp.
Il volume di Carol Atack è opera di un’attenta conoscitrice del pensiero antico, con uno sguardo speciale, attestato da tutta la sua recente bibliografia, sul V/IV secolo a.C. di Isocrate, Senofonte e Platone. L’a. ci consegna una panoramica sul discorso, inteso foucaultianamente come pluralità di voci di un’unità storica circoscritta e riconoscibile (p. 3), intorno alla regalità e alla sua configurazione teoretica nella classicità greca. Si propone, inoltre, di non perdere di vista l’ovvio ma complesso contesto in cui tale realtà determinò la messa in moto delle idee esaminate: «how ancient authors explored ideas of kingship as a political role fundamental to the construction of civic unity» (dalla quarta di copertina). Come da titolo, la ricerca è condotta lungo un arco temporale importante: dalle conoscenze autoptiche di Erodoto sino alla riflessione etica e politica di Aristotele, passando per la grande speculazione ateniese. Il soggetto è affrontato, oltre che in veste storica, nel suo valore di logos filosofico immanente a realtà civiche destinate a confrontarsi con l’idea di regalità mitiche (§2), anche fondanti (§3), oppure esotiche e paradigmatiche (§1, §5), o come utile strumento per un’analisi e una risemantizzazione dei valori politici consolidati (§4, §6, §7). Così facendo, l’a. adotta una prospettiva trasversale e d’ampio respiro (l’Index of passages cited, alle pp. 231-237, è cospicuo), interrogando storici, tragici, oratori, pensatori presocratici, successivi filosofi etc. e realizzando, in sintesi, uno studio sulla prevalenza di miti politici concernenti la regalità al centro del pensiero democratico greco.
L’interessante introduzione (pp. 1-9) riprende il concetto jaspersiano di “età assiale”, che ipotizza la possibilità di riconoscere in buona parte del I millennio a.C. un determinante paradigma storico di rottura e cambiamento per tutte le culture; nel discorso di V/IV secolo a.C. sulla regalità, e contestualmente all’Achsenzeit, vi sarebbe un’espressione del passaggio dell’istituzione monarchica da una natura divina a una eroica. La sintesi dell’a. attira abilmente l’attenzione sui legami tematici teorico-politici tra simbolismo monarchico, identità civica, mito e presenza immaginaria di re storici (come gli Achemenidi), anche avvalendosi in breve delle suggestioni di numerosi pensatori, fra cui Castoriadis, Lefort, Cassirer e Ricoeur.
Il primo capitolo, King and cosmos in Herodotus, giustamente introduttivo in quanto esplora i modelli del potere monarchico nelle Storie di Erodoto come un momento iniziale della teoria politica ateniese, è un excursus su re e despoti (soprattutto Deioce, Amasi e Psammetico, ma anche Ciro, Dario, Serse, Candaule, Creso etc.) in un’opera non priva di concetti eraclitei ed empedoclei. Nello specifico, la distinzione tra buoni e cattivi sovrani come emblemi di un ciclo di unità, ordine (cosmos), divisione e declino, in alterità “metaumana” secondo la formulazione ripresa da Graeber e Sahlins, è funzionale alle parti successive. Il secondo capitolo, Monarchy on the democratic stage, riprende una simile ambivalenza nello studio del dramma ateniese. Mentre Teseo ed Eretteo, mitici re d’Atene che l’a. accosta alle categorie di roi-citoyen e roi-hoplite di Vidal-Naquet, assumono su di sé la sostanziale positività della polis contemporanea e dell’autoctonia, un’ampia gamma di monarchi più o meno chiaroscurali, da Agamennone a Pelasgo al fantasma di Dario, da Creonte a Edipo, cui si aggiunge il divertente contrasto tra Filocleone e Bdelicleone se il cittadino di Atene sia un re da supplicare o schiavo dei demagoghi nelle Vespe di Aristofane, rendono più ambiguo per analogia il problema della partecipazione democratica in ambientazione mitica, ossia in presenza di “uomini forti” anche semanticamente. Nel capitolo The discourse of kingship in classical Athenian thought si passa da storici locali del passato remoto dell’Attica (attidografi), compilatori di liste reali, a un brillante focus su Teseo in Isocrate, re e cittadino modello, in continuità con la parte sul teatro. Invece, nei capitoli Kingship and Socratic thought e Virtue and monarchy l’a. opera una distinzione sull’utilizzo di storie di re come paradigmi di teoria politica: l’uso di individualità esemplari ed estranee alla polis, come Ciro, in Antistene e Senofonte e l’opposta tendenza in Platone. L’etica del principio monarchico esposta da Senofonte nella Ciropedia (esaminata nel dettaglio) e nell’Economico, così come nelle orazioni encomiastiche in cui Isocrate appare in rapporti con i signori di Cipro e sembra proporre l’antesignano degli specula principis, è comparata al re-filosofo platonico inteso come una presa di distanze da ogni precedente e coeva imagery sulla regalità. Quest’ultimo, complesso assetto teorico è approfondito in Kingship in Plato’s later political thought, riguardante soprattutto il Politico, Timeo, Crizia e le Leggi, ove l’autorità regia è contestuale all’aurea aetas che in un certo senso la giustifica e trasfigura. In quella che l’a. legge come una rottura rispetto ai modelli idealizzati di virtù regia mitostorica in Senofonte e Isocrate, per Platone «the human virtue king is an epistemic impossibility» (p. 152). L’a. dimostra una notevole padronanza di questi difficili dialoghi, e non a torto conclude che i re ellenistici sarebbero poi assurti a “divinità mortali” in virtù di una percezione più prossima al pensiero di Senofonte e Isocrate «in terms of the achievement of virtue characterised more broadly and conventionally than Socratic intellectualist version of virtue as knowledge» (p. 173). Il capitolo conclusivo, ‘Total kingship’ and the rule of law, tratta principalmente della pambasileia nella Politica di Aristotele, termine d’origine religiosa traducibile anche come “monarchia assoluta” e riferito a un regime in cui, secondo le parole del filosofo, «il re governa su tutto secondo la propria volontà» (Pol. 3.16.1287a8). Per illustrare gli argomenti aristotelici qui analizzati quasi riga per riga, l’a. riprende e integra dagli autori esaminati in precedenza, ma senza indulgere nel cherry-picking, gli esempi storici che il filosofo omise. Ad Aristotele è riconosciuta una prosecuzione del tentativo platonico di superare la consolidata concezione erodotea, senofontea, isocratea etc. del re come individuo ontologicamente, epistemologicamente ed eticamente separato dai sudditi, cioè dotato di una natura divina, nonché di conoscenze e caratteristiche personali inattingibili (p. 9). Argomentando positivamente circa la possibilità di riconoscere nelle obiezioni di Platone e Aristotele (e nell’esistenza stessa di una messa in discussione della regalità nei secoli interessati) un sintomo della “età assiale” riproposta, forse un po’ timidamente, nell’introduzione, l’a. ci consegna uno studio che, indipendentemente dall’idea jaspersiana, interesserà di certo i frequentatori della storia, della filosofia e della letteratura antica.