Storicamente. Laboratorio di storia

Biblioteca

Donatella Di Cesare, “Marrani. L’altro dell’altro”

PDF

Donatella Di Cesare, “Marrani. L’altro dell’altro”, Torino, Einaudi, 2018, 113 pp.

Per parlare di Marrani. L’altro dell’altro, si dovrebbe partire proprio dall’ultima parte del titolo. L’alterità, senza voler incorrere in precipitose generalizzazioni, pare essere una condizione indagata in modo ampio e multidisciplinare. Ma se è concessa una minima atomizzazione, bisogna ammettere che esista anche un’alterità subalterna allo stato generale e duale di “altro”. L’a. indaga la condizione del marrano, convertito al cristianesimo dall’ebraismo, come figura seminale per comprendere l’equilibrio del dualismo tormentato, la cui lacerazione dispiega effetti non scontati.

Il marrano è l’opposto del vuoto d’identità. Egli è, di contro, esempio di una coabitazione non semplice fra due identità che s’incontrano, si frantumano, si ricompongono. Dalla ricomposizione nasce una sintesi che è destinata a rendere la sua determinatezza imposta (ebreo non ebreo) sempre nuova. Scomodando Sartre, il marrano travalica le definizioni date all’interno delle Réflexions sur la question juive del filosofo francese, in cui si affermava, fra le altre cose, che l’ebreo esiste proprio in virtù dell’altro, del non ebreo che discerne fra giudei e gentili.

Il libro ci illustra invece una storia di conversioni forzate e disprezzo, in cui i massacri nelle juderìas seguitano il sistematico tentativo di escludere gli ebrei dalla società spagnola attraverso il concetto di purezza del sangue, terribile antisemitismo ante litteram. La persecuzione si fa dunque più profonda, ineludibile e subdola, perché non vi è più via di fuga: il vulnus è umorale, sanguigno, e il battesimo non può sanarlo.

A ciò si aggiunge il rifiuto del mondo ebraico di comprendere le ragioni dei confratelli sefarditi; i marrani sono accusati di apostasia e transfuga. L’a. ne delinea in breve la storiografia, da Cecil Roth a Yosef H. Yerushalmi, entrambi in bilico su una frattura, fra il mito dell’ebreo sefardita, colto e raffinato (come non ricordare in questo senso le parole autobiografiche di Elias Canetti) e condanna irriducibile nei confronti dei conversos.

Lo stesso Maimonide, figura centrale dell’ebraismo medievale, si era probabilmente convertito all’islam alcuni secoli prima del fenomeno marrano e indicava il martirio della fedeltà al giudaismo come una via eccezionale e personale, incompatibile con le moltitudini. In fondo, suggerisce l’a., si può sempre ritornare al punto di partenza, anche nel caso di una conversione. Il tema del ritorno, tratto tipico del messianismo ebraico, si può applicare anche alla fattispecie del culto? Si può fuggire interiormente per poi ritornare alla propria fede originaria? Lo chiede l’a. ed è allora in modo non scontato che si inserisce nella narrazione l’episodio biblico di Ester, la regina ebrea moglie del re persiano Assuero, che salva gli Israeliti da uno dei primi tentativi di sterminio.

Per i marrani le sorti ribaltate dall’intervento dell’assimilata regina (fra l’altro ben ricordate proprio nella tradizione sefardita dalla ballata coplas de purim) divengono simbolo del riscatto, di una piccola liberazione dalla schiavitù di un culto imposto. Ester si dimostra solo esteriormente dimentica della propria origine, sublimando così il ritorno messianico. Tema, questo, che diventa più forte dell’esodo; diventando uno dei tratti peculiari della cultura marrana.

Ma è nel capitolo L’altro dell’altro che ci appare chiaramente quanto fosse ibrida la condizione dei marrani che gli spagnoli tentavano di assimilare. L’intenzione ultima di preservare la purezza cattolica dal corrompimento ebraico fallisce: non basta più creare nuevos cristianos, bisogna anche separarli da quelli viejos. Se prima l’altro, e cioè sostanzialmente l’ebreo che in Europa ne ha sempre avuto il primato, era un elemento esterno la conversione lo aveva portato ora all’interno della società cristiana.

I marrani vivono quindi una situazione di obbligata ambiguità, ed è da questa indeterminatezza che iniziano a ragionare sul loro bagaglio identitario, indagando la propria natura di “eccedente” della Storia e donando al pensiero europeo il dilemma fondamentale della modernità. L’a. ci vede giusto quando scrive che la condizione marrana annuncia la modernità, ma perché forse è nell’ebraismo la sua radice ultima. Un tratto che ci pare fosse stato percepito già un secolo fa, anche ingenuamente, dal sociologo Veblen in un dimenticato articolo intitolato «The Intellectual Pre-eminence of Jews in Modern Europe». Il marrano supera il convenzionale perché rappresenta una marginalità figlia della sua Unbefangenheit, la totale mancanza di vincoli e giudizi preconfezionati.

Il marranismo è dunque la condizione umana che più di ogni altra corrisponde alla concezione sintetica degli opposti: assevera e sconfessa in uno e a un sol tempo, rimodulando il senso autentico dell’ebraismo. La cultura marrana diventa allora incessante reinvenzione, non escludendo le identità passate tende sempre a riproporle. La nuova identità assume quindi il tratto del simile, cioè dell’eternamente nuovo, mai dell’identico, del piatto o del pedissequo. I marrani, per l’a., sono dunque caratterizzati dalla generazione di processi progressivi tipici della modernità. Sono, se si vuole, destinati ad aprire uno spazio duale in cui si manifesta una sorprendente azione creatrice.

Non a caso l’a. cita Montaigne, Teresa d’Avila e Spinoza e i percorsi d’indagine della loro intimità. Il marranismo permise al primo di cambiare la filosofia politica attraverso il rifiuto di limitare la complessità del mondo a opposizioni nette; la seconda influirà sul cattolicesimo rigettando ogni identità totale; il terzo cambierà il pensiero europeo, divenendo il primo intellettuale della modernità. Ma la storia generale dei marrani è una storia di inabissamento, se ne illustrano le modalità e i riti, puntualizzando che il marranismo diviene quasi una religione misterica, a cui si accede da adulti per preservarne segretezza e incolumità. Nel contesto gentile i marrani cercano di salvare piccole isole di tradizione ebraica, spesso amalgamate, ibridate o del tutto inedite rispetto sia al cristianesimo sia all’ebraismo. La via d’uscita marrana è dunque una risposta affermativa alla doppia negazione di non essere né cristiani né ebrei.

Ci si chiede allora quanto di queste vicende siano attuali? Chi sono oggi quelli che sono costretti a nascondersi o a scindersi in virtù di “conversioni” obbligate, non strettamente ascrivibili al fattore religioso? Sinonimo di maiale, marrano assunse una connotazione negativa: se ne traccia infatti anche la storia dello scivolamento verso la semantica del tradimento, della ribalderia e dell’inaffidabilità.

E tuttavia nelle ultime pagine di Marrani s’apre uno spiraglio: il marranismo ha avuto e può avere una sua rivincita. Grazie alla sfuggevolezza è sopravvissuto anche a scapito della sua autocoscienza. Sebbene Derrida nelle Aporie affermasse che quando si scopre di essere marrani, allora non lo si è più, crediamo invece che la condizione del marrano sia il proseguimento dell’«eccomi sono qui» abramitico: il marrano è fondamentalmente esplicabile con «sono ancora qui» o «tuttavia sono qui», una risposta che può essere data solo in virtù della sua doppia identità. D’altronde chi scrive è di origine calabrese e non può non immaginare che dietro molti cognomi tipici della Calabria centrale (Guarascio, Loria, Sabato, Pinto) si celino marrani dormienti in attesa della “chiave del segreto”.