«La ragione per la quale ho deciso di scrivere questo libro è essenzialmente la stessa che, da 30 anni, mi ha portato allo studio della storia contemporanea in generale e della storia dell’Estado Novo in particolare […]: tentare di capire le ragioni della durata del regime salazarista, la più longeva dittatura europea del XX secolo» (p. 13). Con questa frase iniziale Fernando Rosas dà il senso al lavoro di una vita, sintetizzato nella sua ultima opera: Salazar e o poder. A arte de saber durar. Non una biografia di António Oliveira Salazar, ma lo studio di un fronte politico guidato dal poco appariscente professore di Economia e Finanza dell’Università di Coimbra e dei fattori storici che spiegano come egli sia riuscito a mantenere la guida del governo portoghese per 36 anni consecutivi, dal 1932 al 1968.
Rosas ha diviso l’opera in tre capitoli. Il primo è stato dedicato al rapporto tra Salazar e la politica; al suo disgusto verso ogni forma di parlamentarismo e alla paura degli effetti delle ondate rivoluzionarie, che dal 1917 si stavano propagando in gran parte d’Europa, creando una vera e propria “politica del disordine”. A questa il capo del governo lusitano oppose un regime guidato da un’oligarchia creata dallo Stato e difesa, nei suoi privilegi, dalle forze armate e dalla Chiesa cattolica.
Nel secondo capitolo l’autore descrive come la corrente salazarista si sia imposta all'interno gruppo dirigente della dittatura e come Salazar abbia preso le redini del regime, diventandone l’indiscutibile leader. A rendere interessante tale parte del libro è il fatto che questo epilogo non fosse per nulla scontato all’indomani del golpe militare del 28 maggio 1926. A ribaltare lo status quo erano stati, infatti, i militari, sostenuti da una coalizione eterogenea, che si era costituita con l’unico scopo di mettere fine al potere del Partito democratico (Pd), che dal 1910 guidava il paese. In una prima fase, i cattolici si erano mantenuti distanti dal movimento golpista, salvo poi avvicinarvisi dopo il successo del colpo di Stato. A rappresentarli proprio Salazar, il quale veniva invocato, in ambito conservatore, come l’uomo giusto per rimettere in sesto le disastrose economie portoghesi. Chiamato al governo già nel 1926 – ma accettò la carica di ministro delle Finanze solo nel 1928 – Salazar era giunto a Lisbona, soprattutto per ricoprire un ruolo tecnico. In poco tempo, però, si impose come capo politico. Rosas, in questo caso, mette l’accento sull’abilità dell’accademico di Coimbra nel creare un sistema di equilibrio tra le diverse forze che sostenevano la dittatura, le quali avevano visioni differenti su come quest’ultima dovesse evolversi. Per fare ciò, Salazar costruì una macchina statale che gli permise di controllare tutte queste correnti, dando tenuta e continuità temporale al suo governo.
Proprio il concetto di “durare al potere” rappresenta il fulcro del terzo capitolo. La capacità di durata dell’Estado Novo viene studiata attraverso i vari fattori che secondo Rosas la determinarono: l’uso della violenza preventiva e repressiva, l’appoggio delle forze armate, la vicinanza della Chiesa cattolica, il corporativismo, ma anche la costruzione di un sistema di tendenza totalitaria. Le pagine dedicate al progetto totalitario salazarista rappresentano uno dei passaggi fondamentali di questo volume, perché caratterizzano in modo differente un regime, che è sempre stato considerato dagli storici stranieri lontano da una concezione totalitaria. Nel fare ciò, Rosas appare molto convincente, tanto che porta a chiederci quanta poca conoscenza vi sia al di là dei confini lusitani rispetto all’Estado Novo salazarista. Effettivamente, se pensiamo solo al nostro paese, possiamo dire di poter contare sulla punta delle dita i libri di studiosi italiani sull’argomento; come possiamo constatare la quasi totale assenza di traduzioni delle opere fondamentali dei maggiori storici lusitani riguardanti la dittatura portoghese. Mentre Francisco Franco e il regime spagnolo godono di una discreta copertura editoriale in Italia, ma anche nel resto d’Europa, Salazar e l’Estado Novo sono relegati a pochi volumi e a poche righe sui manuali di Storia contemporanea. A questo proposito verrebbe da chiedersi se il Portogallo, ancora nel novecento, non fosse una realtà rilevante a livello mondiale, se non altro per il suo immenso patrimonio coloniale. Per tali motivi, oltre che a consigliare la lettura di Salazar e o poder. A arte de saber durar ne auspichiamo la pubblicazione nella nostra e in altre lingue, per meglio arricchire la conoscenza della storia contemporanea di quel piccolo lembo di terra che divide il nostro continente dall’Atlantico, ma che tanto ha significato per la storia globale.