Premessa
L'accesso alle risorse culturali è oggi un fenomeno di vasta portata che mette in relazione un gran numero di istituzioni culturali, con un pubblico vasto, aumentando in maniera esponenziale la
complessità del rapporto tra prodotto culturale e il suo pubblico. Si tratta di un fenomeno di massa caratterizzato da un pubblico molto lontano da quello dei primi musei, composto da nobili o da
conoscitori dell’alta borghesia, che possedevano le conoscenze necessarie a comprendere appieno le opere esposte.
Il modello contemporaneo di visita è spesso basato sul consumo passivo di contenuti e non pare in grado di soddisfare gli obiettivi di apprendimento e diletto fissati da ICOM per i musei. A ciò si
aggiunge un pubblico dalle mutate aspettative: qualcuno è solo curioso, sollecitato da vasti interessi culturali, e in cerca di contenuti seri ma con una mediazione leggera, altri sono desiderosi
di entrare in un dialogo costruttivo con i contenuti e le istituzioni e di svolgere un ruolo attivo piuttosto che passivo durante la visita mentre una parte del pubblico desidera partecipare alla
vita dell’istituzione e di essere preso sul serio, discutendo sui contenuti, condividendoli ed intervenendo su di essi.
Le tecnologie digitali e, in particolare, le tecnologie mobile sono spesso additate come fattori imprescindibili per il cambiamento, ma l'impiego di questi strumenti nel settore culturale
è tutt'altro che semplice, nonostante vanti ormai circa sessanta anni di storia.
Il primo dispositivo portatile usato all’interno di un’istituzione culturale è stato infatti testato nel 1952 allo Stedelijk Museum di Amsterdam: le descrizioni audio delle opere in quattro lingue
(olandese, inglese, francese e tedesco) venivano inviate da un trasmettitore, attraverso ricevitori con cuffia, ai visitatori che si muovevano in sincrono, seguendo le indicazioni ricevute.
Di certo l’esperienza olandese ha segnato l’avvio dell’utilizzo di tale tecnologia nel settore culturale, definendo il paradigma fruitivo dell’audioguida, e facendo della portabilità una delle
caratteristiche distintive dei primi dispositivi personali a supporto della visita.
L’evoluzione tecnologica ha poi trasformato tali dispositivi in digitali e multimediali e, dai primi anni 90 del secolo scorso, palmari, telefoni cellulari, lettori MP3 hanno conquistato il settore
culturale.
La tecnologia mobile, nella definizione di portatile, personale e digitale fa quindi il proprio ingresso nei musei e nelle istituzioni culturali circa venti anni fa, apportando, come
principale cambiamento, il passaggio dal tour lineare ad una scelta casuale dei contenuti, oltre ovviamente alla possibilità di veicolare contributi ulteriori all’audio descrizione.
La successiva ondata di innovazione si è poi registrata con l’introduzione di nuove potenzialità, in particolare la possibilità di localizzare geograficamente i dispositivi, di navigare sul web
ovunque ci si trovi e di installare facilmente applicativi: è l’era degli smartphone e dei tablet che sono entrati prepotentemente nel mercato a partire dai primi anni del nuovo
millennio.
Per fornire un’idea concreta dell’enorme successo avuto dal celebre smartphone di Apple nel settore culturale basta citare uno studio recente che ha censito, nell’agosto del 2010, quindi a
tre anni dal lancio dell’iPhone, ben 360 applicazioni dedicate ai musei, che significa in media una nuovo prodotto ogni tre giorni.
Nonostante la grande differenza tra i primi dispositivi mobili e gli attuali smartphone, la valorizzazione dell’esperienza di visita con tali dispositivi, letta nel contesto
dell’evoluzione storica e tecnologia, non sembra comunque essere radicale: spesso, infatti, le potenzialità offerte da tali dispositivi non sono sfruttati appieno, e il modello di visita proposto
rimane ancorato al tour, in cui la guida umana è sostituita da quella digitale.
Interattività, connettività, localizzazione, feedback e social media sono gli strumenti messi in campo dall’evoluzione tecnica per musei ed istituzioni culturali, funzionalità che
richiedono, per essere sfruttate appieno, una nuova mentalità che guardi non tanto alla tecnologia in sé quanto piuttosto alle pratiche che esse abilitano e a come queste pratiche possano essere
integrate.
Proprio le nuove pratiche abilitate dalla tecnologia mobile nel settore culturale sono qui discusse con il triplice filtro esplicitato nel titolo, indagando come sia mutata la fruizione
dei luoghi, la relazione con i visitatori e la gestione delle narrazioni.
Tecnologia in movimento e lo spazio aumentato
Senza dubbio una delle caratteristiche fondamentali della tecnologia mobile è quella di potenziare la fruizione culturale in loco, conservando la centralità del bene oggetto di
esposizione e preservando quella ricchezza sensoriale che deriva da un contatto diretto con beni, ambienti, luoghi.
La tecnologia, quindi, arricchisce e non sostituisce la visita, come invece avviene per i musei virtuali o per tutte le attività che prevedono la sola fruizione a distanza, aprendo la strada a
forme alternative di apprendimento, che fanno della relazione diretta con il bene il proprio punto di forza.
L’apprendimento in loco, situato e potenziato (augmented learning) sfrutta infatti numerose peculiarità della tecnologia mobile a supporto dell’acquisizione di nuove competenze:
portabilità, garantita dalle ridotte dimensioni e peso; interazione sociale, diretta e mediata; sensibilità al contesto, grazie alla capacità di rispondere agli stimoli dell’ambiente; connettività
e infine individualità, assicurata dalla personalizzazione del dispositivo e dei contenuti.
Sono quindi le caratteristiche intrinseche dei dispositivi mobile ad attivare nuove dinamiche di fruizione ed apprendimento, che ruotano attorno al binomio localizzazione e connettività,
le due caratteristiche fondamentali dei location based services ‒ LBS, servizi in grado di personalizzare contenuti ed attività in base all’effettiva posizione dell’utente.
Basati sulla posizione sono ad esempio tutti percorsi, o, meglio, le scene costruite attraverso la piattaforma "7scenes", prodotta dall’omonimo spin-off
della società no profit olandese Waag Society, che permette di collegare dati multimediali ai luoghi, trasformando la città in un ipertesto, in cui i
luoghi possono essere collegati ad informazioni contestuali e da esse potenziati.
Il progetto «La città violata» ad esempio, che ha visto la collaborazione del Museo di storia dell’Aja con Waag Society, lega quattro diverse narrazioni che raccontano le devastazioni subite
durante la Seconda guerra mondiale attraverso altrettante storie personali, ambientate nei luoghi che hanno vissuto quegli eventi tragici.
Anche il progetto «LfAC – Looking for Achille Castiglioni», sviluppato con lo Studio Museo Achille Castiglioni e 7scenes, propone un percorso libero di visita dei luoghi che hanno ospitato o ancora
mostrano progetti di architettura, di allestimento o di design del maestro italiano, veicolando informazioni contestuali, video e contributi audio ai visitatori.
Attraverso i servizi geolocalizzati i luoghi si popolano di informazioni, che si depositano virtualmente sulla mappa, definendo un panorama misto in cui, alla realtà contingente, si aggiungono e si
offrono agli utenti testi, immagini, suoni, video, attività che appartengono al mondo digitale.
Un livello ancora superiore di commistione tra reale e virtuale è ottenuto con i browser di realtà aumentata come Layar e Junaio che permettono di visualizzare attraverso l’obiettivo e lo
schermo di smartphone e tablet un mondo virtuale perfettamente sovrapposto alla realtà, definendo di fatto una nuova dimensione ibrida, giocata tra le due polarità.
Le applicazioni nel settore culturale sono svariate. Basti pensare al progetto «Street Museum» curato dal
Museo della città di Londra che rende visibili, attraverso smartphone, foto storiche nel luogo esatto dove furono scattate; progetto analogo a quello proposto dal Powerhouse Museum di
Sidney che, in collaborazione con Layar, porta il proprio archivio storico fuori dal museo nello spazio ibrido tra reale e virtuale.
Tecnologia mobile e dimensione relazionale della visita
Il potenziamento della fruizione culturale e turistica con la sovrapposizione di informazioni ai luoghi non è l’unico portato della tecnologia mobile. Non bisogna infatti dimenticare che i
dispositivi portatili sono di norma dotati di connettività al web e a tutto ciò che esso contiene ed offre, compresi gli strumenti comunemente indicati con il termine web 2.0, siano essi
blog, siti di social networking, forum e così via.
Tali strumenti permettono al visitatore di partecipare alla vita dell’istituzione, di esprimere commenti e preferenze, di discutere sui contenuti, di condividerli e perfino di crearli: coloro che
prima erano i visitatori o i destinatari di un prodotto culturale si trovano ora nella possibilità di rivestire un ruolo nuovo, quello di creatori o, meglio, di co-creatori di contenuti legati a
quello stesso prodotto culturale.
Il valore aggiunto della tecnologia mobile in questo campo è la possibilità di compiere queste attività non solo in tempo reale ma anche durante la visita stessa. Con tali strumenti un visitatore
della Pinacoteca di Brera, di fronte ad un Tintoretto, può avanzare una domanda su un forum di amanti dell’arte, ricevendo potenzialmente risposte in tempo reale da numerosissimi utenti da
ogni parte del mondo.
Non a caso sono sempre più numerose le istituzioni culturali che utilizzano strumenti quali Facebook e Twitter per aprire un canale preferenziale di comunicazione con i propri visitatori,
instaurando una relazione diretta con loro.
Si tratta quindi di strumenti che, da un lato, accrescono il potenziale di apprendimento e di conoscenza mentre, dall’altro, permettono di instaurare nuove relazioni tra gli attori coinvolti nella
fruizione culturale, cioè le istituzioni, con i beni che conservano, e visitatori.
Volendo schematizzare questo modello di relazioni facilitate ed accresciute dalle tecnologie digitali possiamo parlare di rapporto tra contenuti e contenuti (e quindi fra istituzioni), tra
contenuti e visitatori e infine tra visitatori e visitatori.
Attraverso la tecnologia mobile possiamo ad esempio mettere in relazione e confrontare opere molto distanti geograficamente, richiamando sul nostro smartphone le immagini di
pitture o sculture che trattano lo stesso tema dell’opera che stiamo osservando dal vivo, semplificando e rendendo immediati, seppur meno ricchi di fascino, confronti possibili solo con mostre
temporanee e movimentazione delle opere.
I contenuti, i beni, possono quindi essere confrontati, grazie alle tecnologie digitali, ma anche aggregati in percorsi personalizzati per ogni utente, come avviene nel progetto sperimentale
«CHIP ‒ Cultural Heritage Information Personalization», sviluppato per il Rijksmuseum di Amsterdam, che prevede la possibilità di pianificare e
personalizzare la propria visita al museo on-line, avere supporto informativo localizzato durante la visita stessa e ripercorrere virtualmente il percorso a visita conclusa [Wang et. al.
2009]; o ancora il progetto «Steve», che propone il social tagging, ossia un processo collaborativo di etichettatura delle opere, compiuto dagli utenti e non da esperti, e finalizzato a
migliorare la navigabilità e l’accesso al patrimonio digitale.
La messa in rete e in relazione delle opere non è certamente un’attività fine a stessa, ma volta a potenziare le opportunità offerte agli utenti, modificando di fatto la relazione tra i visitatori
e i beni, a cui possiamo aggiungere un terzo modello di relazione abilitato dalle tecnologie digitali, quello tra visitatori stessi, che sfruttano i dispositivi per condividere contenuti e
commenti, opinioni e definizioni o creare contenuti essi stessi.
Si tratta di una relazione sociale indiretta, mediata dalla rete e dai dispositivi digitali, che ha però il pregio di mettere in contatto diversi utenti tra loro sulla base dei contenuti culturali
e di veicolare un senso di presenza sociale, la sensazione di essere circondati da altre persone con gli stessi interessi.
In altri casi invece la tecnologia mobile si propone come vero e proprio catalizzatore di relazioni sociali dirette durante la visita culturale: è il caso dei giochi educativi compiuti con
dispositivi mobili e spesso rivolti a famiglie.
Si tratta di esperienze di gruppo in cui la socialità è favorita dalla necessità di svolgere insieme un compito, come avviene per il progetto «Kurio»,
sviluppato alla Simon Fraser University. Piccoli gruppi familiari sono coinvolti nella visita del museo di Surrey attraverso un gioco collaborativo in cui ogni componente del gruppo impersona un
ruolo ed è chiamato a dare il proprio contributo per procedere nella trama. Ogni ruolo comporta uno specifico strumento mobile con peculiarità proprie e solo la collaborazione tra i
diversi componenti porta alla soluzione degli enigmi proposti.
Tecnologia e narrazioni
Mobile gaming è il termine inglese che descrive l’esperienza del museo di Surrey e di molti altri progetti che condividono l’utilizzo di dispositivi mobile per coinvolgere i
visitatori in attività di gioco, di norma basate su un forte impianto narrativo.
La storia, la narrazione è un mezzo spesso utilizzato per coinvolgere il visitatore in attività di apprendimento culturale e le tecnologie mobile si prestano perfettamente allo scopo: la già citata
piattaforma 7scenes, ad esempio, si presenta come piattaforma per la narrazione mobile, in grado cioè di legare storie ai luoghi, e di permetterne la fruizione localizzata.
Si tratta di storie e narrazioni che mantengono il visitatore in posizione di spettatore oppure storie che coinvolgono l’utente come protagonista: nel primo caso i dispositivi diventano strumenti
per veicolare testi, immagini, registrazioni audio o video che raccontano e spiegano fatti; nel secondo caso, invece, si attivano dinamiche di interazione più complesse e i visitatori sono spesso
chiamati ad impersonare ruoli, a seguire una trama e a compiere azioni.
Un esempio di applicazione ascrivibile alla prima categoria é la già citata esperienza «La città violata» che si serve di quattro racconti in prima persona per ricordare le devastazioni subite
dalla città olandese. Anche il progetto curato da Valentina Nisi, «The media portrait of the Liberties», rientra in tale categoria: video clip girati nel quartiere Liberties di
Dublino e tratti dal romanzo «Around the Banks of Pimlico» di Mairin Johnston, sono trasferiti sui dispositivi degli utenti mentre visitano il quartiere.
A metà tra spettatore e protagonista è invece il ruolo proposto da «WhaiWhai», un progetto editoriale italiano che guida i visitatori alla scoperta di diverse
città italiane e straniere. Si tratta di una guida con pagine scombinate, che solo l’uso della tecnologia digitale può riordinare, per seguire trame misteriose ordite da celebri scrittori: il
connubio tra un diario cartaceo e telefono cellulare trascina il visitatore in un’esperienza emotiva, giocata tra la lettura di un’opera letteraria e la partecipazione attiva sulle tracce di un
enigma da risolvere.
La discriminante tra un’esperienza narrativa passiva, da spettatore, e una attiva, da protagonista, è chiaramente l’azione, spesso stimolata da dinamiche di gioco e competizione: «Frequency 1550», ad esempio, è un gioco di ruolo in realtà aumentata sviluppato da Waag Society, per far conoscere la storia medievale della città di Amsterdam a
ragazzi in età scolare. Gli studenti, nei panni di pellegrini in cerca di una sacra reliquia, si muovo nella realtà ibrida tra la Amsterdam odierna e quella del 1550, che rinasce grazie
all’utilizzo di smartphones: lo spazio urbano diventa il terreno di gioco e i gruppi di studenti, guidati dai dispositivi digitali, si muovono al suo interno verso la soluzione della
storia.
Frequency 1550 e WhaiWhai sono strutturati come una caccia al tesoro, in cui la trama conduce i visitatori verso enigmi da risolvere per procedere nella visita: si tratta di esperienze in cui il
coinvolgimento emotivo è perseguito attraverso la storia, che si avvale di tecniche narrative per fornire informazioni, che vengono successivamente verificate e consolidate con quesiti a cui i
giocatori devono rispondere.
Considerazioni e questioni aperte
In conclusione alla breve panoramica proposta sui modelli alternativi di utilizzo delle tecnologie digitali e, in particolare, di quelle mobile, per potenziare la fruizione culturale, si
possono avanzare alcune considerazioni di carattere generale.
Un primo aspetto da sottolineare è che i dispositivi mobile, grazie alla loro connettività e portabilità, stanno ricucendo quel divario che si era venuto a creare tra il bene reale e la
sua copia digitale, virtuale, fruibile solamente in remoto, dietro il monitor di un pc: la separazione si è fatta ora più fluida, e la visita, così come il contatto diretto con il bene,
stanno riacquisendo la centralità che meritano, senza però perdere il valore aggiunto derivante dall’utilizzo della tecnologia.
Un secondo fattore da non trascurare è che il mobile gaming, inteso come strumento di fruizione e di apprendimento legato ai beni culturali, si sta configurando come possibile modello
alternativo, ma non esclusivo, di conoscenza dello spazio espositivo e urbano, che unisce le peculiarità del gioco ad esigenze educative.
Le esperienze presentate, inoltre, sono tutte caratterizzate da un utilizzo delle tecnologie digitali non fine a se stesso, non piegato cioè alle ultime novità del settore senza motivate necessità.
La tecnologia mobile non è il fine dei progetti descritti, ma agisce da innesco dell’atto progettuale, offrendo opportunità che gli sviluppatori possono sfruttare per prefigurare scenari
innovativi di fruizione. Si tratta di un circolo virtuoso in cui le tecnologie, da un lato, si piegano alle esigenze del progetto e, dall’altro, indirizzano le scelte progettuali grazie alle
potenzialità che offrono.
La regia delle esperienze di fruizione supportate dalla tecnologia mobile è ancora in gran parte nelle mani di curatori, esperti ed accademici ma si stanno compiendo i primi passi su di
una strada alternativa, quella della creazione partecipata dei contenuti.
Sono due polarità in qualche modo opposte, ma non esclusive l’una dell’altra, che aprono a numerose sfumature e ad esperienze che facciano dialogare le due posizioni. La questione aperta, che
curatori e progettisti devono affrontare, è quindi la corretta gestione del rapporto tra la qualità dei contributi individuali e la libertà partecipativa degli utenti, tenendo fermo, come scopo
ultimo, un utile accrescimento della cultura collettiva.
Tra queste pieghe si nasconde forse una nuova figura professionale o, semplicemente, un ruolo nuovo e, se vogliamo, ancora più impegnativo per curatori e designer, che sono chiamati a
creare non solo o, non più solamente, una comunicazione univoca, rivolta ad un visitatore passivo, ma a stimolarne la partecipazione, sia essa la creazione di contenuti, la libera espressione di
opinioni o il coinvolgimento in attività che si giocano nello spazio ibrido tra il reale e il virtuale.
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