Storicamente. Laboratorio di storia

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Maurice Dobb. Alcune questioni di storia del capitalismo

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Introduzione di Franco Cazzola

Nel marzo 1962 lo storico inglese Maurice Dobb fu invitato da Paolo Fortunati, allora direttore dell’Istituto di statistica dell’Università di Bologna, a tenere tre conferenze su temi di storia del capitalismo, alcuni anni dopo la traduzione italiana[1] dei suoi Studies in the Development of Capitalism apparsi nel 1946 (London, Routledge & Kegan Paul). Gli Studies dello storico marxista inglese avevano rappresentato un punto di partenza importante per la messa a punto di rilevanti questioni che riguardavano origini e sviluppo del capitalismo industriale dalla dissoluzione dei rapporti feudali alla drammatica crisi che aveva investito il sistema capitalistico nel corso degli anni ’30 e il cui esito catastrofico nel conflitto mondiale ne sottolineava le interne contraddizioni e le forti spinte alla concentrazione monopolistica.

Il testo delle tre conferenze uscì tradotto in italiano nel 1962[2] sulla rivista «Statistica» (anno XXII, pp. 147-196), che si pubblicava nell’Istituto bolognese.

Perché dunque riproporre oggi su questa rivista una riedizione delle conferenze bolognesi dello storico inglese? La ragione principale credo vada ricercata nel fatto che a distanza di mezzo secolo non si può dire ancora sopito il dibattito tra storici che, pur in modo critico, non intendono negare (o rinnegare) la fecondità interpretativa della visione marxiana della storia e l’analisi con essa coerente del sistema sociale capitalistico. Non v’è dubbio che sono chiaramente datate ed obsolete gran parte delle letture marxiste “ortodosse” imposte o suggerite agli storici dei paesi che avevano vissuto sotto regimi comunisti. Altrettanto datata è la visione pessimistica di Dobb sulle capacità del sistema capitalistico di uscire dalle crisi sempre più gravi scatenate dalle sue tendenze interne e dalla caduta tendenziale del saggio di profitto. Si tenga poi nel giusto conto il fatto che la ricerca storico-economica allora a disposizione dello storico inglese, si può dire fosse tutto sommato ancora molto circoscritta: da Pirenne a Postan, da Sombart a See, da Bloch a Mantoux , da Cunningham alla letteratura economica sulla depressione degli anni ’30. Ciò nonostante, il desiderio di interpretare le origini e il successivo affermarsi di quel sistema economico-produttivo e sociale che qualcuno - come chi scrive - si ostina ancora a chiamare capitalismo incontra ancora, rileggendo queste pagine e il libro di Dobb, non pochi motivi di riflessione e nuovi stimoli per il proprio lavoro.
La storia economica è disciplina che si trova oggi ad avere un peso sempre più trascurabile nelle facoltà universitarie in cui si formano gli economisti. Viene spesso meno nei programmi ogni richiamo alla riflessione sui movimenti di lungo periodo dell’economia europea e mondiale, a tutto vantaggio di visioni specialistiche e contemporaneistiche. Il succedersi nel tempo di sistemi economici diversi da quello capitalistico; il problema del sorgere del sistema di fabbrica e del lavoro salariato e lo stesso problema storico dell’accesso di nuovi paesi allo sviluppo economico cedono così il passo, a storie dell’impresa e degli imprenditori (Business e Entrepreneurial History), alla storia delle banche e della finanza, oppure a modelli formali mutuati dalla econometria ed applicati a realtà storiche concrete. Si tratta senza dubbio di approcci interessanti e talvolta fecondi, ma che\- a mio vedere - assomigliano molto ad innesti di nuove varietà su un ceppo a cui viene meno la linfa vivificatrice della discussione e del dibattito.

Ma veniamo ora al tema delle tre conferenze bolognesi.

"La transizione dal feudalesimo al capitalismo"

La prima rilevante questione riguarda, nell’opera di Dobb, le forze motrici che portarono al declino del feudalesimo in quella fase storica caratterizzata dalla «transizione» verso il capitalismo. La visione dello storico inglese su questo punto è netta: la transizione dal feudalesimo non riguarda tanto le forme giuridiche da questo assunte ma alla sua sostanza come sistema economico e sociale e come modo di produzione, i cui rapporti sono dominati dal servaggio. Quali le forze disgregatrici del sistema e quali le strade con cui si affermarono i nuovi rapporti basati sul lavoro salariato? Tra la dissoluzione del sistema feudale e l’affermazione del capitalismo industriale trascorsero alcuni secoli. Proprio su questo punto si aprì con ampio spettro una discussione nella storiografia dei primi anni ’50 che vide contrapposte opinioni nel merito della categoria storiografica della transizione. Da un lato le tesi “monetariste” che vedevano nella crescente circolazione del denaro e nella ripresa del commercio il principale agente dissolutore (Paul. M. Sweezy, H. Pirenne, ma ancor prima Gustav Schmoller). Dall’altro lato le idee di Dobb e altri sulle ragioni essenzialmente interne al sistema prima tra le quali la sua inefficienza come modo di produzione. In queste conferenze bolognesi Maurice Dobb risponde a diverse obiezioni che gli erano state mosse, puntualizzando in primo luogo che il lungo periodo della transizione deve essere visto come articolato in due fasi cronologiche distinte: nella prima vanno individuate le forze storiche e gli agenti disgregatori del sistema feudale di sfruttamento del lavoro capaci di provocarne la crisi; nella seconda fase occorre stabilire quando e come sorsero, dalla disgregazione feudale, i modi borghesi e capitalistici di produzione. Per lo storico inglese l’intervallo tra il declino del feudalesimo e la maturazione del capitalismo con la “rivoluzione industriale” era talmente lungo da dover rifiutare esplicitamente le opinioni di quella parte della storiografia marxista secondo cui forme capitalistiche di produzione erano nate “nel grembo della società feudale”, come sosteneva a quel tempo il manuale sovietico di economia politica. Che l’uso della moneta e il capitale commerciale avessero un ruolo nella disgregazione della società feudale può essere concesso ma non necessariamente vanno visti come diretti progenitori del capitalismo, tanto più che il servaggio che si affermò nell’Europa orientale a partire dal XVI secolo non era certo incompatibile con lo sviluppo del commercio a distanza di cereali e prodotti agricoli da parte dei signori feudali; anzi, in molti casi proprio il commercio favoriva il rafforzamento dei legami servili. Neppure dimostrato, a giudizio di Dobb, era il ruolo del capitale mercantile nella transizione, data la stretta alleanza che sovente si stabiliva fra grandi mercanti e classe feudale. Occorreva dunque ricercare all’interno del modo di produzione feudale le cause della disgregazione, a cominciare dalla differenziazione sociale dei contadini, dalla resistenza e dalle rivolte del mondo rurale e dalla «lotta dei piccoli produttori per allentare i vincoli dello sfruttamento feudale». Si può notare che questa chiave di lettura verrà riproposta quindici anni più tardi da Robert Brenner con un articolo su «Past & Present»che riapriva il dibattito storiografico sulla transizione a partire dai mutamenti che avvennero nella società contadina e nella composizione di classe nelle campagne europee[3].
Dobb richiama perciò l’affermazione marxiana circa «la via veramente rivoluzionaria» con cui il capitale si impadronisce della produzione», cioè quando il produttore diviene un mercante e un capitalista, e non quando il mercante acquista semplicemente il controllo della stessa. Non si può tuttavia parlare, per Dobb, di un modo intermedio di produzione, come sostenuto da Paul M. Sweezy che aveva proposto il concetto di «produzione precapitalistica di beni».

"Introduzione alla rivoluzione industriale"

La seconda conferenza è dedicata alla cruciale successiva questione della nascita del capitalismo industriale. Dobb inizia subito contestando i tentativi di abbandono del termine “rivoluzione industriale” per sostituirla con più neutri indicatori statistici, come ad esempio il concetto di take off , ossia decollo, proposto dall’americano Walt Rostow, come se lo sviluppo storico fosse riconducibile a serie statistiche. Ma egli rifiuta anche le tesi che il capitalismo nasca con la rivoluzione industriale, concentrando perciò l’analisi sul periodo preparatorio della stessa. Dal tardo ‘500 e lungo il XVII secolo prendono intanto forza i sistemi dell’industria a domicilio, mentre viene indebolito il sistema produttivo artigianale-corporativo delle città. La pressione demografica sulla terra del XVI secolo aveva accelerato questo processo, nonostante la proletarizzazione della classi contadine fosse ancora parziale, mentre i debiti e la crescente complessità dei mezzi di produzione rendevano anche i lavoratori a domicilio sempre più dipendenti dai mercanti-imprenditori che fornivano ad essi la materia prima e ne ritiravano il lavoro fatto. Il processo avviato doveva comunque subire una interruzione durante quella che è stata da vari storici indicata come “crisi generale del XVII secolo” e dunque si potrebbe parlare di un “falsa partenza” della rivoluzione industriale. Un altro elemento su cui richiamare l’attenzione è posto dallo sviluppo del mercato interno, mentre l’influsso dei mercati “esterni” come quelli coloniali nell’epoca del mercantilismo non necessariamente si traduce in stimolo per il capitalismo industriale.
Maurice Dobb introduce a questo punto e discute un altro concetto marxiano, quello di “accumulazione primitiva” del capitale, da vedere non come semplice ammassamento di oggetti di ricchezza durevoli, che finirebbe però per deviare o ritardare l’investimento produttivo. Ad esempio, il semplice trasferimento di terreni ad una classe di nuovi proprietari a danno della classe feudale non può essere considerato sinonimo di creazione di capitale reale. L’arricchimento non sarebbe dunque condizione sufficiente per lo sviluppo dello spirito capitalistico come suggeriscono autori importanti come Max Weber e Werner Sombart. L’accumulazione originaria o primitiva, va vista piuttosto come un processo sociale di concentrazione di mezzi di produzione e al contempo di spoliazione della classe dei piccoli produttori, facendo emergere così la borghesia da un lato e il proletariato dall’altro. Ma lo stesso arricchimento borghese, conclude Dobb, non è di per se stesso sufficiente se la ricchezza accumulata non viene impiegata per promuovere lo sviluppo della produzione. Se questa disponibilità di ricchezze e di patrimoni di origine mercantile fosse di per sé in grado di avviare la rivoluzione industriale, quando dovremmo allora considerare in atto questa fase finale di “realizzazione” durante la quale le ricchezze accumulate dalla borghesia si convertono in capitale produttivo? Dobb sottolinea che occorrerà ricercare l’affermazione del capitalismo e l’impiego crescente di lavoro salariato nei mutamenti che investono il corpo stesso della produzione con l’emergere di imprenditori e di innovatori sia in campo industriale, sia, soprattutto, in campo agricolo.

"Alcuni aspetti del capitalismo nel XX secolo dopo la prima guerra mondiale"

La terza conferenza bolognese di Maurice Dobb viene dedicata a riflessioni sull’evoluzione del sistema capitalistico nella prima metà del secolo XX e ai mutamenti indotti dalla devastante lunga depressione degli anni Trenta. In che misura, si chiede lo storico inglese, il capitalismo del ‘900 poteva considerarsi altra cosa da quello del secolo precedente, caratterizzato dalla rivoluzione industriale? Il quesito prende le mosse da un famoso libro uscito proprio nei primi anni Trenta di Adolf Berle e Gardiner Means, The Modern Corporation and Private Property (1932), col quale i due studiosi americani segnalavano l’avvenuta concentrazione della ricchezza in un ristretto numero di grandi corporations e soprattutto l’avvenuta separazione della proprietà dal management e dal governo delle stesse. Per Dobb la trasformazione monopolistica dell’economia capitalistica ha semplicemente spostato su scala mondiale i rapporti di dominio, coinvolgendo le aree sottosviluppate. Per quanto l’analisi di Dobb risulti in proposito molto datata e riferita allo schema dualistico che si profilava alla metà del secolo XX tra paesi sviluppati e paesi sottosviluppati, si può dire che egli avesse comunque individuato alcuni nodi centrali del problema, la cui attualità non pare ancora tramontata. Il primo nodo riguarda le ragioni di scambio[4], fra prodotti industriali e risorse primarie che sottolineano la forma di dominio raggiunta del capitalismo industriale sul resto del mondo. La questione, come sappiamo, rimane al centro dei periodici rounds del GATT e dell’organizzazione mondiale del commercio, e vede contrapporsi la necessità di esportare dei paesi in via di sviluppo e le chiusure protezionistiche dei paesi sviluppati. Il secondo investe la natura della «vera e propria rivoluzione tecnica» di cui Dobb avvertiva l’arrivo con lo sviluppo dell’automazione. La terza questione riguarda infine il ruolo centrale che esercita ormai lo stato nel governo dell’economia e nella stessa diretta gestione di imprese, soprattutto dopo l’applicazione di politiche Keynesiane indotta dalla grande depressione che si era verificata tra le due guerre mondiali e dalla stessa economia di guerra.
L’evoluzione economica degli ultimi cinquant’anni ha sottratto gran parte dell’attualità di queste intuizioni che Dobb proponeva alla riflessione all’inizio degli anni ’60, prima della crisi petrolifera, dell’abbandono dell’oro come strumento di governo dei sistemi monetari, dell’inflazione come sistema di riduzione dei salari reali e della cosiddetta globalizzazione. In sede storica le questioni poste dagli Studies di Maurice Dobb non restano per questo meno interessanti e meno degne di essere sottoposte al vaglio della corrente storiografia.

Le tre lezioni bolognesi di Maurice Dobb, 24-27 marzo 1962:

  1. La transizione dal feudalesimo al capitalismo
  2. Introduzione alla rivoluzione industriale
  3. Alcuni aspetti del capitalismo nel XX secolo dopo la prima guerra mondiale

Note

[1] Il titolo della traduzione italiana è Problemi di storia del capitalismo, Roma, Editori Riuniti, 1958. Di questa opera sono seguite due altre edizioni nel 1969 e nel 1980. Entrambe recano una introduzione di Renato Zangheri, che aggiorna i dati dell’intenso dibattito internazionale che aveva trovato spazio in riviste come «Science and Society» e «Past & Present».

[2] Con il titolo Alcune questioni di storia del capitalismo, «Statistica», anno XXII (1962), pp. 147-196. Dobb diede alle stampe il testo inglese, qualche anno dopo, in Dobb, Papers on Capitalism, Development and Planning, London 1967.

[3] The Brenner Debate. Agrarian Class Structure and Economic Development in pre-Industrial Europe, a cura di T.H Ashton e C.H.E. Philpin, Cambridge, 1976 (trad. it.: Il Dibattito Brenner. Agricoltura e sviluppo economico nell’Europa preindustriale, Torino, 1989).

[4] La traduzione italiana delle conferenze riporta il termine rapporti di scambio ma il contesto inglese si riferisce ai terms of trade, che nel corrente linguaggio degli economisti dovrebbe essere più correttamente tradotto con ragioni di scambio,intendendo con questo il rapporto fisico o in valore tra prodotti industriali e materie prime (es. automobili/petrolio).