Le oscenità della guerra sono ormai parte integrante delle nostre esistenze, catturano la nostra attenzione con le immagini di una carneficina ogni giorno più cruenta. Di fronte a un tale scenario, riecheggiano le parole pronunciate da Churchill nel 1914: «andiamo tutti alla deriva in una specie di stupore catalettico. È come se sul tavolo operatorio fosse disteso qualcun altro e non noi». La volontà di imprimere una distanza decisiva fra "noi e l'altro" è forse catalogabile fra le strategie attuate per glissare sulle responsabilità o per sfuggire al raccapriccio provocato dalle contingenze belliche? È umano elaborare strategie di sopravvivenza necessarie al superamento delle difficoltà; se però l'obiettivo è resistere alle distruzioni materiali e morali provocate dalla guerra, non rimane che l'oblio a segnare il passo.
La totale dimenticanza, sintomatica della volontà più o meno cosciente dei protagonisti di sottrarsi alla sofferenza, ha investito nel caso della Grande Guerra anche gli storici. Esemplare è l'omissione della massa dei soldati e di morti che a lungo ha caratterizzato gli studi. La svolta storiografica degli anni '60, beneficiando della sensibilità di studiosi orientati a distaccarsi dalle ricostruzioni "diplomatiche e militari" per fare, invece, una "storia politica della Grande Guerra" (P. Melograni, La storia politica della Grande Guerra 1915-1918 , 1969), ha fatto sì che i soldati e la loro esperienza di vita nelle trincee fossero portati al centro di nuove indagini. Raccogliendo la definizione di Prost e Winter, che in Penser la Grande Guerre assimilano l'assenza dei soldati ad una forma di esclusione, si può affermare che anche il libro qui proposto tende a tracciare le linee di un processo di esclusione, quella delle volontarie della Croce Rossa, dalla storia e dalla memoria.
Bartoloni ricostruisce la storia del Corpo delle infermiere volontarie avvalendosi di un ricco corpus documentario, tra cui l'interessante materiale depositato negli archivi militari. Ripercorrere l'attività svolta dalle crocerossine permette all'a., da un lato, di analizzare il lavoro che queste svolsero nell'assistenza ai feriti; dall'altro, di definire i caratteri emancipatori di un'attività, che - promuovendo la conquista di una maggiore consapevolezza di sé - ha permesso nel dopoguerra a tante giovani di avvicinare la politica, collaborando alla riforma del settore infermieristico (p. 19).
Chiara Saraceno, nell' Introduzione a Donne e guerra di J.B. Elshtain, ha sottolineato come i conflitti impongano una sospensione delle regole, come se le identità si scongelassero, approfittando di possibilità fino a quel momento proibite. Così, la militarizzazione del Corpo delle volontarie e l'opera che esse prestarono negli ospedali militari sono state alla base di un profondo cambiamento delle identità femminili. All'inizio del conflitto, "l'andare in guerra" ha rappresentato per molte la possibilità di partecipare attivamente all'onore e alla grandezza della patria, proprio come gli uomini; lo sviluppo degli eventi, però, ha avviato un radicale mutamento di tale percezione. La vicinanza alla sofferenza ha fatto sì che in molte sorgesse un intimo rifiuto della guerra in quanto fonte di morte e distruzione. Inoltre, l'attività di assistenza sanitaria, prestata alla luce di una formazione professionale adeguata, ha dato loro occasione di denunciare le gravi carenze dell'apparato medico militare. La fine del conflitto e il ritorno alla normalità risvegliarono nelle volontarie un forte sentimento di orgoglio: si erano dimostrate capaci di sostenere la fatica e l'impegno richiesto dal lavoro infermieristico (p. 218).
Se la recente storiografia sulla Seconda Guerra mondiale ha concesso molto spazio all'analisi delle memorie e delle scritture femminili, lo stesso non si può affermare per la Grande Guerra. Bartoloni ha portato all'attenzione proprio le memorie delle infermiere volontarie. L'esperienza vissuta le ha legittimate a scrivere, contribuendo alla costruzione di una propria memoria di guerra. Una memoria difficilmente accettata nell'Italia del dopoguerra, ma comunque espressione di quella nuova immagine di sé che la guerra aveva contribuito a produrre.
Bisogna rilevare che le relazioni sull'attività svolta al fronte non produssero un fenomeno di proporzioni ragguardevoli. I pochi contributi rimasti non sono stati sufficienti alla creazione di una memoria solida, al cui affievolimento hanno contribuito, non da ultime, le aspre reazioni dei "compagni d'armi". Molti giovani volontari, infatti, si arruolarono nella speranza di costruire un uomo nuovo, forte e virile, mentre le memorie delle volontarie confermavano solo in parte questa immagine. Le infermiere hanno descritto l'eroismo, ma anche le debolezze e la vulnerabilità dei soldati, contribuendo all'indebolimento di un'identità maschile già lacerata (p. 224).
Il rifiuto della memoria delle volontarie è espressione del rifiuto per la nuova figura femminile emersa dal conflitto, che non coincide con l'immagine di donna che il reduce vorrebbe trovarsi accanto al ritorno. Pur avendo partecipato al conflitto, dunque, le crocerossine vengono escluse dal mito dell'esperienza bellica. Come è emerso dalla riflessione di G.L. Mosse, questo fu un mito maschile, volto a dare sicurezza agli uomini, esaltandone i valori e auspicando il ritorno alla normalità. Pertanto, l'emarginazione delle crocerossine dalla leggenda combattentistica è servita a ribadire che la guerra era stata un affare da uomini. Italiane alla guerra , analizzando il ruolo svolto dalle donne nell'assistenza, offre un interessante contributo agli studi sul primo conflitto mondiale.