Peter Thonemann (ed.), "Attalid Asia Minor: Money, International Relations, and the State", Oxford, Oxford University Press, 2013, 368 pp., 60 ill., ISBN 978-0-19-965611-0.
La storia del regno di Pergamo rappresenta un unicum fra i regni di epoca ellenistica: esso sorse e visse per gran parte della sua storia come una sorta di principato semi-indipendente all’interno del ben più vasto impero seleucide. Fu solo dopo la vittoria romana su Antioco III che si elevò, grazie a favorevoli condizioni della pace di Apamea, al rango di vera e propria potenza, rimanendo tale fino alla estinzione della dinastia attalide e alla conseguente annessione dei possedimenti pergameni a Roma nel 133 a.C. Questo volume, composto (tranne due eccezioni) da una serie di papers presentati originariamente nel 2010 nel corso del seminario “The Attalids and their Neighbours, 188-133 a.C.”, coordinato dalla Oxford Ancient History sub-faculty, si concentra proprio sugli ultimi 55 anni di vita del regno di Pergamo. Il sottotitolo risulta particolarmente chiarificatore. Scorrendo l’indice, si può dividere idealmente il volume in due sezioni, contenenti quattro contributi ciascuna: la prima facente riferimento alla parte international relations and the state del sottotitolo, la seconda all’attributo money, nella sua accezione più materiale, in quanto gli interventi interessati riguardano soprattutto problematiche di carattere numismatico, anche se, come è logico, non è raro che queste due “sezioni” si intersechino e contribuiscano a completarsi a vicenda.
Il primo contributo (The Attalid State, 188-133 BC, pp. 1-47) è opera del curatore stesso. Thonemann parte dalla problematica accennata in apertura, ovvero che Pergamo si trovò improvvisamente a gestire da un giorno all’altro un territorio che era decuplicato rispetto ai suoi confini originari. Lo stesso Attalo I, primo della dinastia ad assumere il titolo di basileus, che pure aveva condotto un’effimera campagna di conquista nell’Asia Minore cis-taurica, approfittando dei conflitti dinastici dei Seleucidi, avrebbe governato un territorio la cui estensione era paragonabile a quello di una grande polis. Il suo successore, Eumene II, si trovò invece improvvisamente a gestire un territorio di circa 80000 km2 (pp. 1-2).
Thonemann qui si concentra sui profondi cambiamenti che interessarono il nuovo stato così formatosi, dal punto di vista sia dell’amministrazione che dell’economia che dell’ideologia propagandistica. In merito a questo ultimo punto, l’autore introduce il discorso sul cistoforo, la nuova moneta coniata sotto Eumene II, tema ricorrente per gran parte del volume.
Il secondo contributo, ad opera di John Ma (The Attalids: A Military History, pp. 49-82), vuole allontanarsi dall’immagine tradizionalmente attribuita agli Attalidi di patrocinatori delle arti ed evergeti per porre l’accento sull’aspetto militare della dinastia. Dopo una breve rassegna dei conflitti in cui Pergamo si trovò coinvolta nel corso della sua storia, in cui l’autore sottolinea come in 144 anni di vita il regno partecipò a ben 24 guerre dove il sovrano in persona rivestiva spesso un ruolo di primo piano (p. 55), ci si concentra sulle colonie militari, da cui gli Attalidi avrebbero prelevato gran parte degli effettivi del loro esercito, che sembra dovesse essere di modeste dimensioni (pp. 59-62). Ad interessare Ma sono soprattutto il caso della Mysia, regione che i re di Pergamo avrebbero usato ampiamente come bacino di reclutamento, e le colonie macedoni, popolate da discendenti di coloni impiantati dal Monoftalmo. Da segnalare l’utilissima appendice contenente le fonti epigrafiche utilizzate (pp. 77-82).
Il paper successivo, ad opera di Boris Chrubasik (The Attalid and the Seleukid Kings, pp. 83-119), si concentra sullo studio dei rapporti fra Pergamo e il regno seleucide, tripartendoli idealmente in passato (281-230 a.C.), presente (216-193 a.C.) e futuro (circa 187-175 a.C.). Le relazioni fra le due realtà, cominciate già con Filetero, fondatore della dinastia attalide, alla vigilia della battaglia di Curupedio nel 281 a.C., non si deteriorarono se non con Antioco Ierace, ma dovettero rinsaldarsi a seguito della rinascita seleucide in Asia Minore, che, se da un lato aveva posto un freno alle ambizioni espansionistiche di Attalo I, dall’altro aveva aiutato Attalo stesso a fronte della crescente rivalità dei dinasti confinanti di Ponto e Bitinia. Chrubasik sottolinea che è solo nel 192 a.C., che la rottura fu totale, in quanto Eumene II, conscio del fatto che il suo regno aveva conosciuto una prima espansione grazie ad una debolezza dello stato seleucide durante la lotta fra Antioco Ierace e Seleuco II, avendo visto in Roma l’unica potenza in grado di espellere l’autorità seleucide dall’Asia Minore, mandò il fratello Attalo, futuro Attalo II, a denunciare l’arrivo di Antioco III in Grecia. A conclusione del suo intervento, Chrubasik ricorda come l’espulsione dei Seleucidi dall’area non implicò affatto la cessazione degli interessi degli stessi per l’Asia Minore, come dimostrerebbe la volontà di Seleuco IV di accorrere in aiuto al Ponto proprio contro Pergamo (pp. 109-110).
Il contributo successivo, a cura di Philip Kay (What Did the Attalids Ever Do for Us? The View from the Aerarium, pp. 121-148), analizza il rapporto fra Pergamo e Roma, che era de facto la creatrice del regno asiatico, concentrandosi in particolare sui motivi della mancata annessione di un’area rinomata per le sue ricchezze. Fra le ragioni addotte vi è un iniziale disinteresse di Roma verso il Mediterraneo orientale e le sue ricchezze, viste le massicce indennità di guerra che pervenivano in quegli anni alla Repubblica da Cartagine e della Siria.
Più tecnici risultano i tre contributi successivi, opera rispettivamente di Andrew Meadows (The Closed Currency System of the Attalid Kingdom, pp. 149-205), François de Callataÿ (The Coinage of the Attalids and Their Neighbours: A Quantified Overview, pp. 207-244) e di Richard Ashton (The Use of the Cistophoric Weight-Standard Outside the Pergamene Kingdom, pp. 245-264), che formano un discorso unitario attorno al cistoforo, la nuova moneta introdotta da Eumene II e che andò a sostituire quella precedentemente in uso: il filetero (dal nome del fondatore della dinastia, il cui ritratto appariva sulla moneta). Il discorso sul cistoforo, caratterizzato da un peso minore rispetto allo standard attico usato in gran parte del mondo ellenistico e dall’assenza, nei suoi tipi monetali, di qualsivoglia riferimento alla dinastia attalide, si concentra in particolare, ma non solo, sul problema della introduzione: nella decade 170-160 a.C. per Meadows, che usa come dati i tesoretti monetari; attorno al 180 a.C. per gli altri studiosi, che prediligono le testimonianze o delle contromarche apposte alla moneta pervenuta come indennità di guerra e recante le iniziali delle città che per prime coniarono cistofori (de Callataÿ), o sull’uso di un peso monetale simile a quello dei cistofori in centri esterni al regno di Pergamo (Ashton).
Il contributo finale, ad opera di Selene Psoma (War or Trade? Attic-Weight Tetradrachms from Second-Century BC Attalid Asia Minor in Seleukid Syria after the Peace of Apameia and their Historical Context, pp. 265-300), cui seguono tre appendici, si concentra sui rapporti fra Pergamo e la Siria dopo Apamea, ma non solo: grande spazio è infatti dato alle relazioni fra gli Attalidi e le poleis d’Asia Minore e sulle motivazioni che spinsero la dinastia pergamena ad utilizzare la moneta civica di suddette poleis come moneta “di stato” per le relazioni esterne a seguito della introduzione del cistoforo, che era destinato prevalentemente per la circolazione interna.
In conclusione, è da segnalare un nitido apparato iconografico, composto da cartine, immagine, grafici e tabelle, che, assieme a bibliografia e indice delle cose notevoli, arricchisce ulteriormente questo prezioso volume.