La narrazione storica tramite l’audiovisivo sembra attirare sempre più pubblico: numerosi sono, per esempio, i prodotti di fiction con ambientazioni storiche, spesso declinati in serie o micro-serie e divulgati sulle numerose piattaforme di streaming. Questo non significa che la televisione tradizionale e i suoi programmi di racconto storico abbiano perso il loro pubblico, come ha dimostrato la mobilitazione contro la proposta di accorpamento di Rai Storia, il canale della rete pubblica dedicato alla storia, con Rai 5. In una settimana, nell’ottobre del 2020, sono state raccolte più di cinquanta mila firme di protesta, portando il Consiglio di amministrazione della Rai a fare marcia indietro [1]. D’altra parte, come vedremo, i programmi televisivi riguardanti la storia sono aumentati esponenzialmente negli ultimi vent’anni. Ma quale discorso storico viene proposto in televisione? E nello specifico, quale immagine del fascismo viene trasmessa nei programmi di storia?
Le riflessioni qui sviluppate si basano esclusivamente sulla programmazione della Rai per due motivi: in primo luogo, la Rai è l’unica emittente televisiva italiana ad aver raccolto il proprio materiale in un archivio consultabile; in secondo luogo, la rete pubblica mantiene il monopolio della produzione di programmi di divulgazione storica, mentre Mediaset e La7, dopo alcuni tentativi, hanno abbandonano l’argomento (Tarzia 2017). Infine, non è oggetto di questa analisi la programmazione di piattaforme private di streaming on demand, che tuttavia hanno un ruolo sempre più rilevante nel panorama della produzione documentaristica e di finzione a tema storico.
Il fascismo in televisione dalle origini ai primi anni Duemila
È stato sottolineato come in Italia la televisione abbia avuto un ruolo importante nella creazione di un’unità nazionale effettiva, costruendo un “codice di identificazione nazionale”, a partire dalla diffusione dell’italiano, fino alla costruzione di un immaginario comune lungo tutta la penisola (Anania 2003, 7). La presenza della storia nella programmazione televisiva ha contribuito a questo processo, sebbene si sia affermata quantitativamente tardi. De Luna ha spiegato l’incidenza di questa duplice azione di veicolo e costruzione di memorie con la pervasività nel quotidiano dell’audiovisivo (De Luna 2011, 229). La televisione opera come “agente di storia” (De Luna 2011, 156) e lo fa anche proponendo racconti sul passato, che, nel caso italiano, sembrano essere stati a lungo dominati da temi legati al fascismo, al nazismo, alla seconda guerra mondiale e alla Resistenza (Winterhalter 1996). Il peso e il modo in cui il racconto di questi argomenti si è evoluto nel tempo sono sintomatici di quanto siano stati a lungo un soggetto caldo e controverso. Come ha ben evidenziato Focardi, il discorso pubblico sul ventennio fascista in Italia è sempre stato influenzato dalla realtà politica del momento (Focardi 2020). Lo stesso vale per le sue rappresentazioni televisive. Non è possibile qui svolgere un’analisi dettagliata della produzione televisiva dalle origini a oggi: non mancano, chiaramente, le eccezioni, ma quello che ci interessa è individuare delle tendenze generali nell’approccio della Rai al fascismo e ai temi a esso collegati.
Il periodo che va dal 1954 all’inizio degli anni Sessanta è stato definito “della rimozione e dell’occultamento” in riferimento al silenzio della televisione sul periodo 1943-45 (Crainz e Gallerano 1987, citazione in Forcella 2006, 27) e questa rimozione è stata spiegata nella storiografia con la contingenza politica del momento, accompagnata da una diffusa esigenza di lasciarsi alle spalle il dramma appena concluso (Forcella 1996). Tra le eccezioni a questo diffuso silenzio vanno notati alcuni programmi prodotti in occasione degli anniversari della Liberazione che evitavano però un’analisi critica della Resistenza o del fascismo, e le dieci puntate di 50 anni di vita italiana tra cronaca e storia 1898-1948 di Silvio Negro, andate in onda alla fine degli anni Cinquanta, accusate di apologia di Mussolini dai commentatori dell’epoca (Crainz 1999). Va comunque considerato che non è possibile parlare di ricostruzione storica in senso stretto per il primo periodo: la guerra e il regime erano un tema troppo recente e con effetti diretti ancora forti sul presente per poter essere trattati con il distacco previsto dal metodo storico.
Il 1961 è stato interpretato da Roghi come anno di svolta nel segno di una rimodulazione dei contenuti sul recente passato e sulla programmazione a tema storico in generale, che viene a far parte di “un grande progetto di nazionalizzazione” (Roghi 2015, 109). In questo periodo vanno in onda per la prima volta programmi di approfondimento sulla Shoah, ma la quasi totalità dei programmi affronta a lungo lo sterminio come un tema fondamentalmente straniero, di cui gli italiani sono stati al più vittime (Perra 2010). Inizia anche la produzione di trasmissioni sul nazismo, con i documentari di Liliana Cavani, e il rapporto dei tedeschi con la propria memoria acquista sempre più spazio, che stride in confronto al silenzio sulle responsabilità italiane rispetto al fascismo, alle guerre di aggressione portate avanti durante il ventennio e alla Shoah. A questo proposito, Perra ha evidenziato come solo nel 1973 la Rai ha affrontato, seppur in modo edulcorato, la persecuzione degli ebrei in Italia (Perra 2010). Parallelamente, la Resistenza si impone nella televisione italiana degli anni Sessanta, in un tentativo retorico di costruzione di una memoria comune. I programmi televisivi di questo periodo toccano in alcuni casi aspetti innovativi, come il ruolo delle donne nella lotta antifascista [2], ma l’uscita dall’oblio della Resistenza si è dimostrato un artificio retorico incapace di rispondere alle profonde divisioni causate dal ventennio e della guerra civile (Crainz 1999). La tendenza generale della programmazione televisiva di questo periodo è segnata dal paradigma del ‘bravo italiano’ ed è interessante a questo proposito la riflessione sviluppata da Focardi sulle diverse - ma in una certa misura convergenti – origini del vizio del confronto tra ‘bravo italiano’ e ‘cattivo tedesco’ già nell’immediato dopoguerra (Focardi 2020).
A partire dal Sessantotto la storiografia conosce una nuova stagione di studi sul fascismo e la Resistenza, spostandosi su questioni come il consenso e l’ideologia fascista. Se queste ricerche sono state recepite solo parzialmente e tardivamente dalla Rai, tuttavia negli anni Settanta diminuisce l’impostazione pedagogica del primo periodo, a favore di documentari qualitativamente più complessi, sia sulla storia del fascismo (Nascita di una dittatura di Zavoli del 1972), sia sulla caduta del regime e sulla lotta di liberazione, con contributi meno retorici che in passato, che problematizzano la scelta resistenziale (Bernardi 2019; Gallerano 1996). È questo il decennio di massima diffusione della lettura antifascista. Il mito dei bravi italiani permane, ma acquisisce nuove sfumature: riguardo alla Shoah, per esempio, nella televisione italiana si diffonde la narrazione del salvataggio degli ebrei in chiave antifascista (Perra 2010).
Gli anni Ottanta segnano la rottura del paradigma antifascista: Bernardi ha parlato in proposito di anti-antifascismo (Bernardi 2019). La svolta si inserisce nel più ampio contesto sociale del riflusso, cioè le nuove condizioni sociali e culturali caratterizzate, dalla fine degli anni Settanta, dal rifiuto per la politica e la fine della militanza attiva. Dal punto di vista della comunicazione del passato, in questo periodo forte è stata l’influenza degli studi di Renzo De Felice sulla biografia di Mussolini e sul grado di adesione popolare al regime, pubblicati dalla metà degli anni Settanta e destinatari di dure critiche da parte di numerosi storici. La Rai, in particolare, ha risentito di questo cambiamento e ha veicolato contenuti che sono stati definiti ‘revisionisti’ sul fascismo e la Resistenza, riprendendo in alcuni documentari [3] le interpretazioni proposte da De Felice (Bernardi 2019). Emergono nuove tematiche, come il collaborazionismo e lo sterminio degli ebrei, ma il segno caratterizzante è la normalizzazione del regime, operata anche attraverso una nuova tendenza nella divulgazione televisiva: la personalizzazione delle vicende narrate, che sfocia più volte in ‘sfascistizzazioni’ del fascismo, in narrazioni in cui si raccontano storie, più che la storia. Riguardo alla vulgata sul fascismo negli anni Ottanta, Crainz ha parlato di dissoluzione del senso storico, operata tramite la banalizzazione del privato (Crainz 2000). Anche Lazzeri, in riferimento a questo periodo, ha evidenziato il nuovo interesse della televisione per la storia del fascismo e in particolare per la costruzione di “un rapporto consolatorio e pacificato con il passato” (Lazzeri 2004, 63). Vengono mandati in onda documentari e prodotti di fiction sulla vita di Mussolini e del suo entourage, che hanno l’effetto di umanizzare il fascismo, spostando l’attenzione dal contesto storico al quadro biografico e puramente privato [4].
Il decennio segna un incremento di interesse per il tema della persecuzione razziale: la Rai aumenta le trasmissioni sia sul tema in generale, sia sul caso italiano. Ancora una volta viene trasmessa la chiave di lettura degli ‘italiani brava gente’, salvatori di ebrei, negando in sostanza le responsabilità anche dei gerarchi fascisti nella Shoah (Crainz 2000, 470) [5]. Emerge però uno slittamento nella rappresentazione del tema: l’opera di salvataggio non è più giustificata da una scelta antifascista, quanto piuttosto da un intrinseco senso morale o cristiano (Perra 2010).
La fine della prima repubblica segna, nel dibattito pubblico, un inaudito uso politico della storia: lo sdoganamento dell’MSI porta alla ricerca di una nuova lettura del passato basata sulla “richiesta di una ‘pacificazione’ o ‘riconciliazione’ fra […] fascisti e antifascisti con l’obiettivo dichiarato di creare una ‘memoria condivisa’” (Focardi 2020, 204). Bernardi ha definito ‘schizofrenico’ il ruolo della storia in Italia a cavallo del nuovo millennio, quando si assiste a una crisi delle conoscenze storiche della popolazione, ma allo stesso tempo la storia continua a essere un argomento dibattuto dal grande pubblico e nel dibattito politico – sempre più in assenza di storici professionisti. Nel confronto politico è cresciuto l’utilizzo di categorie storiche (fascismo e antifascismo in primis) per avallare idee o screditare gli avversari, in un processo iniziato già negli anni Settanta (Bernardi 2019). Lo sdoganamento di un utilizzo anacronistico di concetti storici e la conseguente crisi delle conoscenze storiche ha raggiunto un picco alla fine degli anni Novanta. Bernardi ha collegato la marginalizzazione degli storici professionisti nel discorso sulla storia con la diffusione di narrazioni anti-antifasciste ricche di errori e manipolazioni revisioniste, a cui si aggiunsero attacchi contro la Resistenza (Bernardi 2019). Emblematico del periodo è il caso di Combat film di Leonardo Valente e Roberto Olla, andato in onda nel 1994, che suscitò un’eco di commenti sulla stampa e in televisione, ampiamente criticato per la rappresentazione di Mussolini come vittima, in un’operazione di decontestualizzazione antistorica.
La narrazione anti-antifascista è proseguita con l’insistenza dei governi di centro-destra sul tema delle foibe contrapposto, in una logica pareggiatrice, alle vittime del fascismo, arrivando anche sugli schermi televisivi attraverso alcune fiction di argomento storico, come il film Il cuore nel pozzo di Alberto Negrin, prodotto da Rai Fiction e Rizzoli Audiovisivi e mandato in onda su Rai 1 nel 2005 (con oltre 16 milioni di telespettatori), sulla scia della legge del 30 marzo 2004 che istituì il ‘Giorno del ricordo in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano dalmata e delle vicende del confine orientale’ [6].
Roghi ha sottolineato come, in questo periodo, è cresciuto il fenomeno della lettura ‘vittimistica’ della storia novecentesca, iniziata già negli anni Ottanta, a cui si aggiunge un interesse per gli aspetti più nascosti e privati del passato (Roghi 2015).
Gli studi più sistematici sulla comunicazione del ventennio fascista nelle trasmissioni televisive della Rai terminano le loro analisi attorno ai primi anni Duemila. Sul periodo successivo sono state svolte alcune riflessioni su programmi specifici, ma senza indagare il quadro di insieme. Riguardo al 70° anniversario della Liberazione nel 2015, in un’intervista a Repubblica di commento alle iniziative in programma, De Luna affermava:
Da una parte c’è un maggiore coinvolgimento delle istituzioni, che recuperano il 25 aprile nel suo significato fondante della democrazia. E sul piano del dibattito storico-culturale sembra attenuato il livore revisionista degli anni passati. La mia impressione è che sia la politica che la storiografia tendano a recuperare una memoria resistenziale depurata delle asprezze della guerra armata. L’enfasi viene posta sulla resistenza civile ossia sui gesti di solidarietà piuttosto che sulla scelta militante dei combattenti. Con il risultato di rendere questo spazio pubblico molto più inclusivo (Fiori 2015).
A proposito del revisionismo dei decenni precedenti, De Luna sottolineava come rimanessero ancora delle tracce: se il tentativo di equiparazione tra partigiani e fascisti era fallito, la lotta partigiana nell’opinione comune era ridotta a “basso esercizio di macelleria” (Fiori 2015). Il 25 aprile 2015 la Rai ha mandato in onda lo spettacolo Viva il 25 Aprile!, in cui la Resistenza veniva celebrata nella sua dimensione corale, come “memoria nazionale finalmente riconciliata” (Focardi 2020, 301). Secondo Bernardi il programma è risultato in una “celebrazione dell’antifascismo debole”, scevro della guerra civile e delle motivazioni delle scelte partigiane, “uno strano antifascismo senza fascismo” in cui tutti possono riconoscersi (Bernardi 2019, 295).
Al di là di questo singolo evento, resta però da studiare tutta la programmazione di natura più strettamente storica della Rai negli ultimi 20 anni. Il moltiplicarsi delle produzioni documentaristiche complica il controllo delle fonti e rende difficile avere un quadro di insieme. La presentazione della ricerca che segue (per ora puramente quantitativa) necessita quindi di un’introduzione metodologica sul materiale da analizzare [7].
Un’analisi quantitativa
Le Teche della Rai sono nate alla fine degli anni Novanta [8] con un duplice obiettivo: 1) catalogare e documentare in un archivio tutto il trasmesso televisivo storico e parzialmente quello radiofonico e fotografico, 2) archiviare i diritti di utilizzazione del materiale multimediale e ottimizzare le attività di ricerca interna ed esterna dei materiali (Scaramucci 2006). Grazie a questo progetto è stato realizzato il Catalogo Multimediale Teche, grazie al quale è possibile ricercare e visionare il materiale archiviato: riguardo ai contenuti televisivi, qui sono conservate per intero le registrazioni dei programmi andati in onda dal gennaio 1999 e una selezione del trasmesso precedente. La ricchezza del patrimonio conservato è tale da aver spinto l’Unesco a inserire le Teche Rai nell’archivio della memoria d’Italia [9]. La potenzialità dell’archivio è quindi elevata, soprattutto se si ricercano specifici filmati. Tuttavia, in caso di necessità di ricerche statistiche la ricerca si complica. Il materiale è infatti archiviato in modo disomogeneo: le informazioni sulle singole schede sono più o meno dettagliate, a volte è presente una descrizione sequenza per sequenza, altre volte nemmeno una descrizione sommaria. Frequentemente non viene seguito uno standard nella denominazione dei programmi a puntate alla voce ‘titolo’. Non sempre è riportato il canale di andata in onda. Inoltre, le singole trasmissioni sono divise per sequenze, che vengono restituite dal motore di ricerca anche quando si fa una navigazione per programma. La conseguenza è che ogni puntata può dar luce a un numero variabile di report. Infine, non sempre sono descritte le repliche. Tali scelte sono motivate dal fatto che l’archivio nasce prevalentemente per favorire il reperimento di specifici filmati per utilizzarli in programmi futuri e non per ricerche di tipo storiografico [10]. Ne consegue che per una ricerca più dettagliata è necessario un lungo lavoro di pulizia dei dati ottenuti dal motore di ricerca, i quali rimangono tuttavia sempre perfettibili. Infine, dettaglio fondamentale per una ricerca puntuale sui documentari storici che tenga conto anche dei materiali utilizzati, non sono archiviati i canovacci e le sceneggiature che fungono da base per il montaggio.
Analisi dei dati (1970-2019)
Questa premessa è necessaria per spiegare i numeri qui riportati: si è scelto di interrogare l’archivio per parole chiave, per tracciare la presenza di determinati temi nella programmazione televisiva. La ricerca effettuata in questo modo prevede la restituzione di risultati ogni volta che la parola ricercata compare nelle schede descrittive delle singole sequenze: i numeri sono pertanto molto più alti rispetto alle trasmissioni effettivamente andate in onda. Inoltre, non è stato possibile effettuare una ricerca per genere televisivo: se infatti le schede prevedono dei tag come ‘documentario’, ‘approfondimento culturale’ o ‘inchiesta’, questi non sembrano essere assegnati con rigore, altro sintomo della costruzione delle Teche per scopi operativi e non sulla base di criteri archivistici sistematici pensati per garantire l’attività di ricerca. Ne consegue che i risultati qui esposti rappresentano tutte le volte che le parole chiave ricercate compaiono nella descrizione di telegiornali, così come dibattiti di attualità oppure documentari storici. Tuttavia, si ritiene che essi possano rappresentare un’idea almeno approssimativa della presenza dei temi legati al fascismo nella televisione pubblica italiana dagli anni Settanta ad oggi.
Il primo dato (tabella 1) che è possibile ricavare da questo tipo di interrogazione delle Teche, è l’aumento esponenziale delle trasmissioni che trattano di storia del fascismo e del nazismo. I programmi che contengono ‘Mussolini’ nella descrizione, ad esempio, sono 202 nel decennio 1970-79, 279 nel decennio 1980-89 (aumento del 38%), per poi fare un salto a 783 negli anni Novanta (aumento del 180% rispetto al decennio precedente) e addirittura per arrivare a 9284 nell’ultimo decennio (+479% rispetto al periodo 2000-09). In questo caso, bisogna tenere conto che a partire dagli anni Novanta entrano in questo conteggio anche quelle trasmissioni che fanno riferimento ad Alessandra Mussolini e non al dittatore. Per quanto riguarda ‘fascismo’ e/o ‘fascista’ si passa da 355 risultati nel primo decennio considerato, con un aumento graduale, seppur sempre più intenso nei decenni successivi, fino ad arrivare a un’impennata del 711% in più del periodo 2010-19 rispetto al decennio precedente (10819 schede contro le 1333 del 2000-09). Similmente, anche nel caso di ‘Hitler’ e ‘nazismo’ si registra un aumento graduale negli anni, con un picco particolarmente evidente nell’ultimo decennio (+500% di risultati per ‘Nazismo’ rispetto al decennio 2000-09 e +446% per ‘Hitler’).
Andando ad indagare poi la presenza di trasmissioni che trattano dell’esperienza coloniale del fascismo (tabella 2), è evidente il peso marginale di questo tema rispetto alle narrazioni sul fascismo. Infatti, cercando le coppie ‘colonialismo’ e ‘Italia’, oppure ‘Impero’ e ‘fascismo’, si ottengono rispettivamente 2 e 4 risultati negli anni Settanta, poco più negli anni Ottanta e Novanta, 23 e 13 nel periodo 2000-09, per poi avere un aumento significativo nell’ultimo decennio, quando si arriva a 216 risultati per il primo binomio (+839%) e 281 per il secondo (+ 2062%). Il dato testimonia quindi un aumento dell’attenzione per la storia del colonialismo italiano e in particolare di quelle fasciste nell’ultimo decennio.
Diverso si dimostra l’andamento delle schede che contengono le parole ‘Olocausto’ e ‘Shoah’-‘Shoa’ (tabella 3) [11]. In questo caso emerge un aumento significativo dei programmi che riguardano in diversa misura il tema della distruzione degli ebrei europei già a partire dagli anni Novanta: questo dato è significativo del fatto che la televisione ha recepito l’interesse crescente per l’argomento. Se infatti, come ha sottolineato Perra, i temi legati alla Shoah cominciano a comparire nella programmazione televisiva già dagli anni Sessanta (Perra 2010), sebbene prevalentemente in programmi dedicati primariamente al nazismo o alla Resistenza, dai dati emerge come quantitativamente i prodotti televisivi sul tema siano aumentati significativamente a partire dagli anni Novanta. I termini sono stati indagati separatamente per far emergere una differenza anche nell’uso dei due lemmi nel corso del tempo. Se ‘Olocausto’ è utilizzato maggiormente nelle trasmissioni fino al 2009, il termine ‘Shoah’ assume sempre più importanza a partire dal nuovo millennio, per diventare nettamente prevalente nell’ultimo decennio.
In generale, quindi, si registra un aumento graduale delle trasmissioni riguardanti i temi indagati fino agli anni Duemila, dato dovuto anche alla crescita delle reti e delle ore di programmazione: il terzo canale della Rai è infatti stato inaugurato soltanto alla fine del 1979, con il nome di Tv3, che diventerà poi Rai 3 e si svilupperà a pieno soltanto negli anni successivi, caratterizzandosi come la rete prevalente per la divulgazione storica (Grasso 2019, 558-59; Bianchi 2006). Inoltre, un dato comune è rappresentato dal picco registrato nell’ultimo decennio, dovuto all’apertura, nel 2009, di un nuovo canale esclusivamente dedicato alla storia: Rai Storia, che attinge direttamente dalle Teche (Grasso 2019, 1248).
I documentari storici (1997-2019)
Dopo l’individuazione di alcune tendenze generali, le Teche Rai sono state indagate al fine di mappare alcuni programmi specificatamente dedicati alla storia degli ultimi due decenni. Come abbiamo visto, è in questo periodo che la presenza della storia in televisione registra un’impennata. Dalla fine degli anni Novanta, infatti, la Rai produce sempre più programmi a puntate esclusivamente a tema storico, che evolvono e si sviluppano ulteriormente dopo la nascita di Rai Storia (Tarzia 2017). I programmi qui presi in esame sono: La grande storia in prima serata, Correva l’anno, Passato e presente e Il tempo e la storia. Tutti vengono mandati in onda su Rai 3 e poi, con numerosissime repliche, anche su Rai Storia: i dati riportati riguardano soltanto la programmazione di Rai 3, dalla quale sono state tolte le repliche, per facilitarne la lettura. La raccolta dei dati è stata fatta ricercando il titolo delle varie trasmissioni nel motore di ricerca delle Teche Rai, in quanto non è stato possibile ottenere elenchi del trasmesso diversamente. Pertanto, per ogni programma sono stati ottenuti migliaia di risultati, corrispondenti a tutte le sequenze descritte di tutte le puntate e le repliche mandate in onda e registrate nel sistema. Si è poi proceduto alla pulizia dei dati, fino ad ottenere un valore per ogni singola puntata. Infine, a partire dai titoli e dalle descrizioni (quando presenti), si è proceduto all’assegnazione di etichette tematiche, per mappare la presenza di temi legati alla storia del fascismo nelle trasmissioni prese in esame (tabella 4).
La grande storia in prima serata va in onda a partire dal 1997, si tratta di una delle più longeve trasmissioni della televisione italiana dedicate alla storia, inizialmente curata da Nicola Caracciolo. Non prevede la presenza di uno studio, le puntate sono molto lunghe (a volte quasi due ore). Contiene prevalentemente filmati di repertorio. La narrazione avviene tramite una voce fuori campo, senza l’intervento di esterni e segue prevalentemente un andamento saggistico. È stato definito un modello ‘alto’, indirizzato a un pubblico colto già interessato alla materia (Tarzia 2017). Soprattutto nei primi anni, le puntate non seguono una periodicità fissa (e talvolta non sono nemmeno descritte come appartenenti alla stessa trasmissione nelle Teche). I dati raccolti nella tabella 4 riguardano il periodo 1997-2019. La programmazione è interamente dedicata alla storia del Novecento e il fascismo, la Seconda guerra mondiale, il nazismo e i temi a essi strettamente collegati risultano essere il tema maggiormente raffigurato (quasi il 50% del totale). Di questi, la metà riguarda nello specifico il ventennio fascista. Circa un quinto dei documentari è costruito in forma biografica e diversi sono quelli che si focalizzano sugli aspetti più privati e nascosti delle vicende, scorrendo i titoli ad esempio si notano I misteri del nazismo (2001), Nazismo: immagini segrete (2002), Carteggio Churchill-Mussolini: l’ultima verità (2004), Mussolini: marcia, morte, misteri (2012) oppure Hitler: illusione e inganno (2013).
Correva l’anno è trasmesso a partire dall’anno 2000, tuttavia è stato preso in esame il periodo 2001-2019, in quanto le prime puntate non sono descritte nelle Teche. Il programma va in onda in seconda serata e dura 45 minuti, anche in questo caso è presente la voce fuori campo, ma si aggiunge il commento finale di uno storico (Paolo Mieli). Il montaggio è più rapido rispetto a La grande storia e risulta quindi in un tono generale più leggero. È stato definito un format alto, ma allo stesso tempo divulgativo (Tarzia 2017). Come La grande storia, ripercorre quasi esclusivamente la storia del Novecento, non segue però una struttura strettamente cronologica. Spesso vengono proposti cicli tematici, spazia quindi molto di più negli argomenti trattati. Il fascismo (12% del totale) e i temi ad esso collegati (circa 30%) sono qui molto meno presenti. Tra i cicli proposti sono da segnalare quello dedicato al processo di Norimberga, andato in onda nel 2006 in cui ogni puntata era dedicata a un gerarca nazista coinvolto nel processo e lo Speciale fascismo, in cui vengono affrontati diversi aspetti del regime: le guerre fasciste, il caso Rosselli, il rapporto tra il fascismo e la chiesa, le opere pubbliche, le leggi razziali e gli ebrei, la cultura, lo sport, l’impero fascista. Spicca, in questo ciclo che sembra mirare a un racconto a tutto tondo del fascismo, la puntata Le figlie del regime – Le donne di Mussolini, interamente dedicata alla vita privata del dittatore e alle donne che ne hanno fatto parte, cedendo ancora una volta all’approccio intimistico che abbiamo visto essere una costante dagli anni Ottanta in avanti. Infine, va notato come la metà dei documentari che toccano i temi qui presi in esame partano da una prospettiva biografica, narrando le vicende degli uomini (e molto più raramente delle donne) protagonisti della storia.
Il tempo e la storia è andata in onda su Rai 3 dal 2013 al 2017. La conduzione è stata del giornalista Massimo Bernardini per tre stagioni e poi è passata alla storica Michela Ponzani nell’ultimo periodo. Le puntate, di circa 50 minuti, prevedono uno studio con il presentatore (poi presentatrice) a intervistare uno storico esperto della materia trattata. Il programma è realizzato con la consulenza di un comitato scientifico composto da 14 accademici. Come si legge nella presentazione del programma, i temi spaziano molto di più rispetto ai due casi precedenti: “Il Tempo e la Storia ripercorre le tante vicende che hanno segnato l’umanità nelle diverse epoche e in ogni parte del mondo. Un viaggio a tutto tondo nei fatti e nelle vicende che hanno scritto la storia antica, l’era medievale, l’età moderna e quella contemporanea” [12]. Anche in questo caso, comunque, il Novecento rimane il periodo più affrontato con 488 puntate su 657 prese in esame. I temi legati al periodo fascista sono il 25% del totale, ma le puntate specificatamente dedicate al fascismo sono poco più del 10%.
Passato e presente rappresenta l’eredità di Il tempo e la storia, sono state analizzate le puntate dal 2017 al 2019. È condotto dallo storico Paolo Mieli e prevede la presenza di tre giovani studenti di storia che dialogano sul tema della puntata con uno storico di professione: l’enfasi è posta sull’autorevolezza dello storico interpellato, che ha il compito di problematizzare e creare collegamenti tra quanto si vede nelle scene di filmati di repertorio accompagnati da voce narrante e nelle interviste. Va in onda su Rai 3 a ora di pranzo, e poi in replica su Rai Storia in prima serata. Come nel programma che lo precede, i temi spaziano oltre il Novecento, che mantiene comunque un peso ampiamente maggiore rispetto agli altri periodi storici (75%). L’incidenza quantitativa del periodo legato al fascismo si attesta sulle stesse percentuali de Il tempo e la storia, privilegiando soprattutto aspetti legati alla seconda metà del XX secolo e alla storia della cultura. La struttura dialogica del programma permette di rendere più vivo il racconto, favorendo un approccio attento e distaccandosi dall’impostazione didattica dei documentari tradizionali. In Passato e presente, come ne Il tempo e la storia, l’approccio biografico è notevolmente ridimensionato, pur non scomparendo del tutto, a favore di uno sguardo più ampio sugli avvenimenti.
Conclusioni
Senza addentrarsi in un’analisi contenutistica dei programmi, è possibile rilevare come il personaggio di Mussolini sia ancora ampiamente al centro della narrazione sul fascismo dei due programmi più longevi: La grande storia in prima serata e Correva l’anno, che seguono un’impostazione classica, con il commento degli storici integrato nel documentario o inserito come postilla finale. Inoltre, in tutti i programmi il tema delle imprese italiane in Africa è affrontato in pochissime occasioni e poco più spazio viene dedicato alla Resistenza, mentre le storie dei gerarchi fascisti, la figura di Mussolini e la seconda guerra mondiale rappresentano gli argomenti più trattati.
Un secondo punto da notare è il fatto che in tutti i programmi analizzati vengono utilizzati filmati originali, estratti di film di fiction e interviste successive, senza distinzione e senza riferimenti alle fonti. Lo spettatore non ha modo di sapere da chi e per quale scopo sono state girate le immagini e che valenza hanno come fonte. D’altra parte, neanche le Teche Rai permettono di rintracciare l’origine dei video utilizzati. A questo proposito sono interessanti le riflessioni sviluppate da Roghi, autrice di documentari Rai, proprio sulla ricerca e la scelta del materiale visivo [13]. L’articolo di Roghi su questo tema rimane però un unicum tra gli autori Rai, mentre un approfondimento sarebbe doveroso per problematizzare la veridicità del trasmesso documentaristico [14].
Un terzo elemento di riflessione riguarda il peso degli storici nella programmazione a tema storico. Riguardo al periodo tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del nuovo millennio, Bernardi ha parlato di “cacciata degli storici” dal discorso pubblico sulla storia, con esiti nel calo della conoscenza storica generale e nella diffusione del revisionismo, in particolare relativamente al fascismo e alla Resistenza (Bernardi 2019). Restando nell’ambito documentaristico, Crainz nel 2001 commentava il ruolo di consulente ricoperto dagli storici nella produzione Rai, sottolineando il ruolo spesso marginale in cui essi erano relegati e quindi la loro ininfluenza nel determinare la qualità del risultato finale (Crainz 2001). Il format dei programmi più recenti, al contrario, prevede l’intervento di storici direttamente in studio, soprattutto in Passato e presente, garantendo maggiore autorevolezza (almeno formale) agli esperti. Recentemente Rai Storia ha avviato anche un nuovo format, Storie contemporanee (prima stagione 2020), in cui la storica e conduttrice Michela Ponzani dialoga con tre studiosi in ogni puntata per presentare le loro ricerche più recenti. Queste scelte fanno pensare che, almeno relativamente a questo format, la Rai sia orientata verso un livello alto di divulgazione. Resta da analizzare però che tipo di analisi del passato viene effettivamente proposta in questi programmi, oltre al ben più ampio tema dell’uso pubblico della storia nei talk show e nei prodotti di fiction nell’ultimo ventennio.
Bibliografia
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Sitografia
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- http://www.teche.rai.it/chi-siamo-2/ (consultato il 13/12/20).
Note
1. https://www.change.org/p/fabrizio-salini-gi%C3%B9-le-mani-da-rai-storia (consultato il 16 dicembre 2020).
2. Il riferimento è a Le donne della Resistenza di Liliana Cavani (1965). Gli aspetti trattati e le modalità sono comunque molti; in generale, per una panoramica dettagliata sulla presenza della Resistenza nella televisione italiana fino agli anni Ottanta, vedere: Crainz et al. 1996.
3. Ad esempio, il documentario Tutti gli uomini del duce” di Nicola Caracciolo (1982).
4. È il caso, ad esempio, del documentario Tutti gli uomini del duce di Nicola Caracciolo, del 1982.
5. I riferimenti qui sono a Il coraggio e la pietà del 1986 e Galeazzo Ciano. Una tragedia fascista, del 1997, entrambi di Caracciolo.
6. Focardi sottolinea come queste produzioni sono state realizzate col patrocinio e per impulso del deputato di AN Maurizio Gasparri, allora ministro delle Telecomunicazioni. Si veda: Focardi 2020, 213 e anche: Bernardi 2019, 283.
7. La ricerca d’archivio presso le Teche Rai qui presentata si è conclusa a ottobre 2020 e le considerazioni che seguono si riferiscono allo stato dell’archivio a quella data. Si ringraziano per l’accesso le Teche Rai Emilia Romagna e in particolare la dott.ssa Isabella Martoni.
8. La Direzione Teche è stata istituita nel 1997. Si veda: Scaramucci 2006.
9. http://www.teche.rai.it/chi-siamo-2/ (consultato il 11/12/22).
10. Dello stesso avviso è Anania. Si veda: Anania 2003.
11. Oltre alla parola ‘Shoah’ è stata ricercata anche la variante ‘Shoa’, effettivamente utilizzata in alcune schede delle Teche.
12. http://www.raiscuola.rai.it/tempo-storia-archivio/default.aspx (consultato il 18/12/2020).
13. https://laricerca.loescher.it/anatomia-di-un-documentario-di-storia-i-medici-del-reich-i-parte/ e https://laricerca.loescher.it/anatomia-di-un-documentario-di-storia-i-medici-del-reich-ii-parte/ entrambi consultati il 3/1/2021.
14. A questo proposito, si veda ad esempio l’interessante operazione di riflessione sulla fonte audiovisiva svolta da Mark Cousins nel documentario Marcia su Roma (2022).