Da tempo, la storia economica ha trovato un filone molto favorevole nello studio delle famiglie aristocratiche. Ciò è accaduto per diversi motivi. Innanzi tutto gli aggregati domestici patrizi ci hanno lasciato un’ampia e variegata serie di fonti, relative soprattutto agli aspetti economici del loro vivere; inoltre diverse ricerche precedenti avevano accertato come, in un panorama di ancien regime, lo studio di una famiglia considerevole consentisse di allargare l’analisi ad altre strutture, come il gruppo di riferimento e il quadro economico e sociale cittadino. È quello che ha fatto Matteo Troilo in questo volume dedicato alla famiglia Aldrovandi di Bologna e al patriziato cittadino bolognese. I metodi seguiti dall’a. sono essenzialmente due, ossia l’analisi accurata della documentazione contabile dell’archivio di famiglia e l’esame delle forme di solidarietà parentale che andavano al di là del semplice nucleo famigliare, per allargarsi spesso a tutto il ceto patrizio. Per tali motivi, secondo Troilo, i risultati del volume possono essere in buona parte utilizzati per dare vita ad un vero e proprio profilo economico e sociale delle famiglie patrizie bolognesi in età moderna.
Il libro si articola in cinque parti ognuna dedicata ad un particolare aspetto della vita economica della famiglia. Nella prima – la più corposa, che occupa ben due capitoli – si analizzano le dinamiche del patrimonio, che a cavallo tra ’600 e ’700 raggiunse dimensioni inimmaginabili in precedenza. I motivi di questo risultato furono molteplici, dalle alleanze matrimoniali alla presenza nella famiglia di un personaggio certamente eccentrico come il cardinale Pompeo Aldrovandi. Come sottolinea l’a. nell’introduzione, la ricostruzione in termini quantitativi del patrimonio è risultata tutt’altro che semplice, in quanto nella Bologna moderna mancavano strumenti fiscali adeguati, come i catasti, in grado di fornire un quadro immediato ed evolutivo dell’estensione e del valore delle proprietà. Per tali motivi l’a. ha dovuto utilizzare principalmente i documenti testamentari, come gli inventari, per quantificare in termini estensivi e monetari i beni famigliari.
La seconda parte è dedicata alle entrate e alle uscite, ed è qui che viene messo in luce l’altro aspetto dominante nell’agire economico della famiglia, ossia la difficoltà nel contenere le spese. Sono elementi che risultano centrali anche nelle altre tre parti, dedicate rispettivamente alla gestione agraria, ai debiti e alle spese di lusso. In ognuno di questi capitoli appare chiaro come la famiglia mantenesse un regime di spese incurante dei libri contabili, che appunto erano nettamente sbilanciati verso le uscite, una situazione che lo stesso a. ci ricorda di interpretare come normale nell’ancien regime. Alcuni fattori, infatti, permettevano alle famiglie aristocratiche di perpetuare tali situazioni, rimandando di fatto il problema ad un secondo momento. Uno di questi era l’appartenenza alla compagine senatoria, dato che – per ragioni di stabilità politica – le istituzioni politiche bolognesi influivano fortemente nella difesa patrimoniale delle famiglie più importati. L’altro fattore era la cooperazione famigliare, in primis quella praticata fra parenti stretti – si pensi ai costanti prestiti che il cardinale Pompeo fece nel tempo al fratello Filippo, senatore e ambasciatore bolognese a Roma –, ma che spesso si allargava a quella messa in campo dagli affini, soprattutto quando le altre famiglie imparentate – gli Albergati, i Magnani, i Pepoli – erano interessate a difendere i loro forti interessi economici.
Gli Aldrovandi arrivarono agli sconvolgimenti politici di fine ’700 fortemente indebitati e ciò li portò a ridimensionare il loro patrimonio attraverso vendite, ma anche – e questo viene più volte sottolineato dall’a. – con una nuova mentalità. Un nuovo modo di pensare che li portò dapprima ad utilizzare per la prima volta strumenti contabili unici, al posto dei singoli libri per proprietà, e poi a fondare una fabbrica di stoviglie di ceramica nei locali dell’imponente palazzo bolognese, per diversificare le loro attività economiche sino a quel momento legate all’agricoltura.
In sintesi, il volume di Matteo Troilo non solo colma una lacuna relativa al ruolo storico di un’influente famiglia cittadina – gli Aldrovandi –, ma amplia lo spettro delle valutazioni e delle riflessioni storiografiche alle dinamiche economiche cittadine nel ’600-700, e rilancia il tema del nucleo famigliare quale motore di iniziative imprenditoriali in età preindustriale.