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Studi e ricerche

Streghe o povere vecchiette? Il medico Johann Wier (1515-1588) contro la caccia alle streghe

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Mai potrò ringraziare a sufficienza Dio Ottimo Massimo per aver elargito alla mia penna una tale ricchezza di argomentazioni che, con la loro diffusione, sono riuscito a mitigare la crudeltà che infierisce sul sangue innocente e a porre un freno a quel massacro di esseri umani che non è altro che opera del demonio nella sua atrocità truculenta e nella sua tirannia[1].

Così, con queste parole, vantandosi di essere riuscito a fermare la strage di streghe grazie alle argomentazioni che Dio aveva elargito alla sua penna, Johann Wier iniziava il De lamiis (Sulle streghe), sintesi del più ponderoso De praestigiis daemonum ac incantationibus (A proposito degli inganni dei demoni e degli incantamenti)[2]. Era il 1577 e l’autore si avviava verso l’ultimo decennio della sua vita attiva.

Wier: dalla prassi alla teoria

Wier era nato a Grave, nel Brabante settentrionale, nel 1515, in una terra di frontiera, dove tradizioni e idee diverse si influenzavano reciprocamente[3]. Proveniva da una famiglia benestante: il padre, infatti, era un mercante ed è proprio attraverso l’attività paterna, che già nei primi anni di vita, Wier entrò in contatto con il soprannaturale, e il racconto che ne lascia testimonia tutta la serenità dell’uomo del proprio tempo, ben radicato nelle credenze della sua epoca. Secondo il suo resoconto, la vita della famiglia d’origine era scandita dall’arrivo di mercanti, di volta in volta preannunciato da uno spirito familiare che faceva cadere, nel magazzino, un sacco di luppolo. L’aneddoto che appare curioso e stravagante è, invece, estremamente significativo, poiché mostra come Wier credesse fermamente alla presenza e all’attività demoniaca. Ed è proprio quest’aspetto di credulità che rende la sua presa di posizione contro la punizione delle streghe ancora più interessante. Ma è necessario analizzare il percorso di studi e di vita che avrebbe portato alla maturazione di quelle idee.
Intorno ai 15 anni, fu scelto come allievo da Cornelio Agrippa di Nettesheim, personaggio assai discusso del Rinascimento, in contatto con Erasmo e con i principali dotti dell’epoca, addirittura consigliere presso la Corte imperiale e poi di Margherita d’Austria. Autore di diverse opere, tra cui il De vanitate scientiarum (Della vanità delle scienze) e il De occulta philosophia (Della filosofia occulta), per i quali fu fortemente attaccato e accusato di essere un mago, trascorse gli ultimi anni della sua vita in Francia costretto alla solitudine, impegnando le giornate a corrispondere con la fitta rete di suoi interlocutori sparsi in tutta Europa. Agrippa educò Wier agli ideali rinascimentali di sapere, in modo che non trascurasse alcun aspetto dello scibile umano, ma soprattutto rappresentò sempre un modello di vita e sapienza, un vero maestro[4]. Inoltre, per quanto concerne la questione della caccia alle streghe, Wier restò impressionato dal racconto della difesa assunta da Agrippa, nel 1519, in favore della presunta strega di Metz: la donna era stata accusata di stregoneria solo perché figlia di strega. Scontrandosi con l’inquisitore domenicano, Agrippa sostenne che se si fosse accolta l’accusa di stregoneria su quella base, si sarebbe implicitamente negato il valore del battesimo. Il sacramento avrebbe dovuto, infatti, ‘liberare’ l’infante dalla sottomissione al diavolo prevista dalla madre, dal momento che il patto con Dio prevaleva rispetto a quello con Satana[5]. Agrippa riuscì con questa argomentazione a vincere la causa: ciò mostra come si fosse in una fase già avanzata della caccia alle streghe rispetto alla trattazione del Malleus Maleficarum (Martello delle streghe) dei domenicani Krämer e Sprenger[6]. Pur essendoci già state delle fasi precedenti di caccia alle streghe, è però nell’età moderna che il fenomeno acquisisce i tratti noti. La caccia si fondava sul principio tratto dalle Scritture, in particolare da Esodo, che non bisognava far vivere la strega, colpevole in primis del patto con Satana. Quindi, se ne deduceva la trasgressione del mandato divino da parte dei difensori delle streghe e di chiunque non favorisse o peggio ostacolasse la persecuzione[7]. Ma alla trattatistica che incoraggia e sollecita la caccia, progressivamente si affianca (e talvolta si oppone criticamente) una riflessione sulle implicazioni sottese ad essa, in particolare sull’onnipotenza divina e sulla teodicea, oltre che sulla demonologia: quali sono i limiti dell’azione demoniaca e quindi delle streghe? Perché Dio permette alle streghe di nuocere alle sue comunità? Domande cui anche Wier avrebbe cercato di rispondere.
Torno, però, prima alla sua biografia: dopo essersi congedato dal maestro, Wier studiò medicina a Parigi e in altre città francesi, entrando in contatto con il vivace clima di rinnovamento culturale e conoscendo direttamente le ricerche pionieristiche di Andreas Vesalius sulle pratiche autoptiche, e di Miguel Servet, altra figura esemplare del Cinquecento per il connubio di riflessione teologica e scientifica. Wier esercitò poi la professione in Gheldria, dove fu coinvolto in un caso di possessione demoniaca di massa nel 1548 ad Arnhem. Per rivelare l’assurdità e l’illusorietà del fatto, Wier volle sottoporre a verifica una delle convinzioni più diffuse: si credeva che gli indemoniati potessero trattenere nei loro stomaci oggetti affilati che mai avrebbero potuto volontariamente essere ingoiati, senza causare gravi danni. Così Wier tastò e torse gli stomaci di molti presunti indemoniati, in maniera da sollecitare l’espulsione di tali oggetti: nessuno accusò forti dolori, né espulse alcunché. E così riuscì a dimostrare, di fronte agli occhi di tutti, la falsità della possessione demoniaca. Nel 1550 gli echi della sua fama lo fecero chiamare presso la Corte del duca Guglielmo V di Jülich-Kleve, in cui Erasmo aveva riposto grandi speranze: si trattava di un vero e proprio laboratorio politico e religioso poiché, in un periodo insanguinato da guerre di religione, lì si tentava la difficile strada della coesistenza pacifica tra confessioni diverse[8]. Il progetto di Guglielmo V aveva attirato presso la sua Corte alcuni tra i maggiori dotti europei dell’epoca. Gli effetti di queste frequentazioni poi avrebbero avuto ulteriore sviluppo grazie al fratello di Wier, Mathias, mistico, certamente in corrispondenza con Hendrik Niclaes, uno dei fondatori della Famiglia dell’amore, interessante gruppo che proponeva la pacifica convivenza religiosa, e ciò spiegherebbe, insieme al magistero di Agrippa, l’attitudine religiosa di Wier, dichiaratamente cattolico, ma con notevoli divergenze rispetto alla Chiesa di Roma[9]. Dunque, la propensione alla tolleranza e la spiccata attenzione alle leggi di natura cominciano a diventare delle caratteristiche importanti del pensiero di Wier, che si giova per la sua battaglia anche di un contributo proveniente dalla penisola italiana. Nel 1558, infatti, il medico napoletano Giovan Battista Della Porta pubblica la Magia naturalis, dove, tra le altre cose, riporta la famosa ricetta dell’unguento con cui le streghe si cospargevano per recarsi al sabba: Della Porta era riuscito a scovare una strega e, insieme ad altri testimoni, aveva assistito al sonno profondo nel quale ella era sprofondata, dopo essersi spalmata dell’unguento. Al risveglio, la strega, che ovviamente non si era mossa dal letto, aveva raccontato del viaggio al sabba. Così Della Porta aveva scoperto le proprietà allucinogene dei componenti l’unguento e smentito ogni capacità soprannaturale[10]. Wier, che si proponeva di far uscire l’umanità dal labirinto di incantesimi e illusioni demoniache, riprese anche queste conclusioni dellaportiane[11]. Perciò, nel 1563, pubblicò la sua opera principale, il De praestigiis daemonum ac incantationibus, a Basilea, presso Johann Oporinus, editore prediletto da molti ‘eretici’[12]. Nei successivi venti anni uscirono altre cinque edizioni, frutto di continue revisioni da parte dell’autore. E poi anche traduzioni in francese ed in tedesco.

Demoni, maghi e streghe

Come intese presentare la sua interpretazione del fenomeno stregonesco? Intanto, sin dal titolo, volle concentrarsi maggiormente sugli artefici, i demoni, e non le streghe. Cercò di demolire l’edificio teorico seguendo quattro argomentazioni principali, teologica, filosofica, medico-scientifica e giurisprudenziale-legale: per l’aspetto teologico, avrebbe chiamato a testimone le Sacre Scritture per svelare gli inganni demoniaci; mentre, grazie alla filosofia, avrebbe indicato le ragioni naturali con cui i demoni illudevano e pervertivano l’immaginazione delle streghe, poi, con la medicina e la scienza, avrebbe individuato alcune malattie come origine di certi disturbi per cui le donne anziane erano predisposte all’azione dei demoni; ma, soprattutto, basandosi sul diritto penale e sulla giurisprudenza avrebbe discusso della diversa pena che ‘meritavano’ maghi, streghe e venefici. Secondo Wier, il diavolo con il suo esercito governava il mondo delle tenebre e traeva vigore dalle menti offuscate, quindi con l’aiuto e la guida della luce del raggio divino e con la forza della ragione, si poteva illuminare la strada per contenere il regno delle tenebre e degli inganni. Le tenebre erano il labirinto nel quale si muoveva l’inganno del diavolo, per questo Wier aveva voluto rendere intelligibile l’ordito sotteso all’inganno. La materia si presentava complessa e intricata, per cui, adottando un criterio di selezione dall’argomento principale a quelli subordinati, decise di trattare prima dei poteri del diavolo, della sua origine e dei limiti imposti da Dio: se ne ricava una demonologia che, anche se tradizionale, aveva interessanti presupposti filosofici e per le fonti platoniche adottate. Poi, seguendo la gerarchia degli argomenti e delle cause, Wier si occupò di maghi e streghe congiuntamente, degli indemoniati e di coloro che credevano di essere vittime dei malefici; della guarigione degli indemoniati e dei maleficiati. Infine, rivolse la sua analisi della questione della punizione da infliggere alle streghe, ‘sedotte dal diavolo o mosse dalla melancolia’ e ai maghi sacrileghi. Dalla causa prima, il diavolo, alle conseguenze ultime dell’azione di questo, il medico proponeva un percorso per uscire dall’«incantamentorum labyrinthus»[13]. Già con queste prime conclusioni, Wier dava risposta agli interrogativi relativi al perché Dio permettesse al diavolo di nuocere all’umanità.
Il filo disteso per uscire dal labirinto, inoltre, si impreziosiva dell’analisi filologica delle Scritture: così, per primo Wier giungeva a distinguere maghi, streghe e venefici e poteva sostenere che le streghe fossero vittime dell’azione demoniaca poiché erano delle povere donne melanconiche. Queste esigevano cure mediche, non certo di essere uccise[14]. A suo avviso, la melanconia, ossia la prevalenza dell’umor nero, rendeva le donne anziane particolarmente fragili e predisposte all’azione demoniaca: con una dettagliata descrizione, osservava come il demone riuscisse a illudere la povera vecchierella di aver poteri soprannaturali. Talvolta, ad esempio, il demone avvertiva dell’arrivo di un temporale e così la povera donna, con riti e pratiche, credeva di poter produrre ella stessa l’arrivo della pioggia, e si vantava minacciando i suoi vicini, ma si trattava soltanto di illusioni e prestigi, non di poteri reali. Per non dire dell’impossibilità di altri fatti, come la metamorfosi, l’omicidio, il congiungimento con il demone… tutte fantasie, illusioni demoniache di cui le povere donne si convincevano, ma si trattava sempre di atti che non trovavano alcun minimo fondamento nelle leggi di natura[15]. Il demone individuava una vittima debole e malata che poteva con estrema facilità soggiogare, permeandone la capacità immaginativa; per questo Wier affermava che il patto tra la strega e il demone è nullo. Uno dei due contraenti, la strega, è incapace, dal momento che la sua volontà è sedotta e non libera. Molto diverso è il coinvolgimento dei maghi; Wier riteneva, infatti, che i maghi cercassero di sottomettere i demoni al fine di impadronirsi di tecniche e conoscenze atte a cambiare il corso della natura:

i maghi prendono le mosse per loro impulso da un’arte che hanno appresa da maestri o libri appositamente ricercati, e sono spinti ad essa da un’inclinazione a indagare propria della loro natura; mentre le streghe ricevono il loro impulso dall’esterno, giacché non hanno alcuna istruzione, né alcun precettore, né alcuno ne cercano: è il diavolo che si insinua nell’animo di quelle che ritiene di poter facilmente ingannare con i suoi strumenti di illusione[16].

Un’altra categoria ancora era quella dei veneficii, che, invece, per Wier, sono colpevoli di attentare alla salute attraverso veleni, spesso naturali. È proprio sulla base di questa tripartizione che si fondano le conclusioni sulla diversa pena. La pena di morte, concludeva Wier, doveva essere riservata solo agli omicidi dal momento che il monito di Esodo, 22, 18 non era rivolto alle streghe. Questa conclusione era corroborata anche dal richiamo alla versione greca dei Settanta, dove il termine era maschile e non femminile.
Secondo Wier, infatti, «la strega è per lo più una vecchierella stupida di mente, ignorante, illetterata, sedotta dallo spirito demoniaco che la incanta coi suoi prodigi, invasa e corrotta dal demonio, ma soltanto col pensiero e le immaginazioni fallaci»[17]. Questa definizione, da sola, non era sufficiente a smontare l’assunto della realtà del fenomeno stregonesco: la prova più importante addotta dai ‘cacciatori di streghe’ era che, in tutta Europa, si trovavano, come attestavano i diversi trattati, confessioni di streghe sui loro poteri e conseguenti crimini. A questo Wier rispondeva che l’uniformità delle confessioni derivava dall’uniformità delle domande che erano poste seguendo i formulari diffusi in tutta Europa[18]. E certo criticava anche i metodi con cui si arrivava alle confessioni, dal momento che la tortura costringeva le povere vecchiette a confessare e ad assumere su di sé colpe immense: «riescono ad estorcere confessioni di delitti inauditi e spesso non riscontrabili in natura». Inoltre, le confessioni non sono altro che «deliri di follia, e non semplici amenità. C’è da dolersi che gli occhi di uomini sapienti siano stati avvolti a tal punto da fitte tenebre da permettere che anche per un solo momento questi inganni li strappassero alla retta ragione e alla fede»[19]. Si delinea così anche la critica ai metodi inquisitoriali:

Per concludere egregiamente gli atti di questa truculenta tragedia, vengono chiamati inquisitori, sanguinati al massimo grado, i quali per mezzo di pozioni riescono ad estorcere confessioni di delitti inauditi e spesso non riscontrabili in natura…[20]

La difesa delle streghe patrocinata da Wier culmina con il richiamo ad un’opera erasmiana contro l’Inquisizione, Apologia adversus articulos aliquot, per monachos quosdam in Hispaniis exhibitos, dove si mette in discussione  la liceità della punizione degli eretici, esortando alla tolleranza[21]. Su questa scia, il medico brabantino ammonisce: «Dio non guarda solo e sempre al fatto compiuto, guarda all’animo e alla volontà; e chi oserà dunque affermare che quelle miserabili vecchierelle son da punirsi più gravemente dei maghi?»[22]. Cosa fare dunque delle streghe che comunque si sono allontanate dalla Chiesa? Wier scrive:

Ad una simile femmina invasata dal demonio, se resipiscente, una volta che sia riconfermata sulla ferma base della fede in Cristo si può imporre anche, se le sue possibilità lo permettono, una pena pecuniaria ad aiuto dei poveri, o qualsiasi altra ad arbitrio del giudice, non tuttavia la pena capitale[23].

Nei casi più gravi, si sarebbe potuto pensare persino a un temporaneo esilio.
Pur credendo all’esistenza dei demoni (perché già nel Cinquecento c’era chi non vi credeva più)[24], Wier fu il primo in Europa a sostenere la difesa delle streghe dalla pena di morte, fondandosi su un ventaglio argomentativo così ampio e a proporre una lettura delle loro confessioni come estorte e soprattutto come sintomo della loro patologia, la melanconia. Per questa ragione, per aver definito le streghe come delle vecchierelle bisognose di cure, a fine Ottocento la sua opera fu ripubblicata nell’ambito dei nascenti studi sull’isteria e sulla psicoanalisi[25]. Ma anche i coevi dedicarono molta attenzione a Wier con notevoli polemiche, tra le quali spicca quella di Jean Bodin, che ritardò la pubblicazione della sua Démonomanie des sorciers per confutare le opinioni del medico brabantino[26].

Note

* Università del Molise

[1] J. Wier, Le streghe, a cura di A. Tacus, con un saggio di M. Isnardi Parente, Palermo, Sellerio, 1991, 51.

[2] Ioannis Wieri, De Lamiis Liber. Item de Commentitiis jejuniis, Basileae, Oporinus, 1577.

[3] Su Wier, si rinvia al mio Johann Wier. Agli albori della critica razionale dell’occulto e del demoniaco, Firenze, Olschki, 2003.

[4] Su Agrippa, cfr. P. Zambelli, L’ambigua natura della magia. Filosofi, streghe, riti nel Rinascimento, Venezia, Marsilio, 1996², M. Van Der Poel, Cornelius Agrippa, the Humanist Theologian and his Declamations, Leiden, Brill, 1997; Ch.I. Lehrich, The language of demons and angels: Cornelius Agrippa's occult philosophy, Leiden, Brill, 2003; V. Perrone Compagni, Ermetismo e Cristianesimo in Agrippa. Il De triplici ratione cognoscendi Deum, Florence, Polistampa, 2005 e P. Rossi, Il tempo dei maghi. Rinascimento e modernità, Milano, Raffaello Cortina, 2006.

[5] Agrippa von Nettesheim, Opera, Lugduni, per Beringos fratres, s.a., 754.

[6] Si veda la recente edizione e traduzione inglese, Malleus Maleficarum, edited and translated by Ch.S. Mackay, Cambridge, Cambridge University Press, 2006 e H.P. Broedel, The Malleus Maleficarum and the construction of witchcraft: theology and popular belief, Manchester, Manchester University Press, 2003.

[7] Su questo punto, si rimanda agli atti del convegno, promosso da D. Corsi e M. Duni e svoltosi a Firenze nell’ottobre del 2006, «Non lasciar vivere la malefica». Le streghe nei trattati e nei processi (secoli XIV- XVII), di imminente pubblicazione presso la Firenze University Press.

[8] Per questo aspetto, rimando al mio Johann Wier cit., 59-68.

[9] Sulla Famiglia dell’amore, cfr. A. Hamilton, The family of love, Cambridge, James Clarke & Co, 1981 e il recente volume nella Bibliotheca dissidentium, 22: The family of love. 1, Hendrik Niclaes, ed. by A. Hamilton, Baden-Baden, Koerner, 2003.

[10] Cfr. G. Ernst, I poteri delle streghe tra cause naturali e interventi diabolici. Spunti di un dibattito, in M. Torrini (ed.), Giovan Battista della Porta nell’Europa del suo tempo, Napoli, Guida, 1990, 167-93 (ora in Ead., Religione, ragione e natura. Ricerche su Tommaso Campanella e il tardo Rinascimento, Milano, Angeli, 1991, 167-90), il mio Della Porta e l’Inquisizione, «Bruniana & Campanelliana», V (1999), 415-35 e O. Trabucco, Il Corpus fisiognomico dellaportiano tra censura e autocensura, in I primi Lincei e il Sant'Uffizio: questioni di scienza e fede, Roma, Bardi, 2005, 236-70, oltre alla recente Edizione nazionale delle opere per le Edizioni Scientifiche Italiane, avviata nel 1996. Una lettura interessante è proposta da V. Ferrone, I caratteri originali del naturalismo nel Mezzogiorno. L’eredità di Della Porta, in Id., I profeti dell’Illuminismo, Roma-Bari, Laterza, 2000, 35-51.

[11] J. Wier, Le streghe cit., 76-80.

[12] Su Oporino, si veda M. Steinmann, Johannes Oporinus: ein Basler Buchdrucker um die Mitte des 16. Jahrhunderts, Basel-Stuttgart, Helbing u. Lichtenhahn, 1966, passim e ora C. Gilly, Die Manuskripte in der Bibliothek des Johannes Oporinus, Basel, Schwabe, 2001.

[13] Sull’importanza della medicina nelle cause di stregoneria, si rimanda a V. Lavenia, "Contes des bonnes femmes”? La medicina legale italiana, Naudé e la stregoneria, in «Bruniana et Campanelliana» X (2004), 299-318.

[14] M. Isnardi Parente, Le “vecchierelle pazze” di Johann Wier, in J. Wier, Le streghe cit., 7-41, passim.

[15] R. Klibansky, E. Panofsky, F. Saxl, Saturno e la melanconia. Studi di storia della filosofia naturale, religione e arte, Torino, Einaudi 1983; W. Schleiner, Melancholy, genius, and utopia in the Renaissance, Wiesbaden, Harrassowitz 1991; C. Bartram, Melancholic imaginations’ witchcraft and the politics of melancholia in elizabethan Kent, «Journal of european studies», 33(2003), 203-11; M. Simonazzi, La malattia inglese. La melanconia nella tradizione filosofica e medica dell'Inghilterra moderna, Bologna, il Mulino, 2004; A. Gowland, The worlds of renaissance melancholy: Robert Burton in context, Cambridge, Cambridge University Press, 2006.

[16] J. Wier, Le streghe cit., 118.

[17] Ivi, 56.

[18] Sull’importanza della confessione nel processo per stregoneria, cfr. ora T. Robisheaux, The Queen of Evidence: The Witchcraft Confession in the Age of Confessionalism, in Confessionalization in Europe, 1555-1700. Essays in Honor and Memory of Bodo Nischan, Aldershot, Ashgate, 2004, 175-205. Testimonianza coeva della centralità della confessione nell’istituzione del processo si trova nell’opera del cattolico Peter Binsfeld, Tractatus De confessionibus maleficorum et sagarum, Augustae Treuirorum, ex officina typographica Henrici Bock, 1596. Su Binsfeld, cfr. J. Dillinger, sub voce, in Encyclopedia of Witchcraft. The Western Tradition, ed. by R. Golden, Santa Barbara, ABC-Clio, 2006, I:122-25.

[19] J. Wier, Le streghe cit., 91.

[20] Ivi, 106.

[21] Erasmus, Apologia adversus articulos aliquot, per monachos quosdam in Hispaniis exhibitos, in Desiderii Erasmi Roterodami Opera omnia emendatiora et auctiora, ad optimas editiones praecipue quas ipse Erasmus postremo curauit summa fide exacta, doctorumque virorum notis illustrata, a cura di Jean Le Clerc, voll. 11, Lugduni Batauorum, cura & impensis Petri Van Der Aa, 1703-1706, IX, cc. 1015-1094.

[22] J. Wier, Le streghe cit., 119.

[23] Ivi, 112.

[24] Cfr. M. Duni, Under the Devil’s Spell. Witches, Exorcists, and the Inquisition in Renaissance Italy, Syracuse, Syracuse University Press, 2007.

[25] Rimando al mio Johann Wier cit., 17-24.

[26] Sulla Démonomanie des sorciers cfr. D. Quaglioni, La Démonomanie e i suoi lettori, introduzione al mio Bodin in Italia: la Demonomanie des sorciers e le vicende della sua traduzione, Firenze, CET, 1999 e A. Suggi, Introduzione, in J. Bodin, Demonomania de gli stregoni, rist. anast., Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2006. Sulla fortuna di Wier, rimando al mio Prime testimonianze della circolazione del De Praestigiis Daemonum di Johann Wier in Italia, in «Bruniana & Campanelliana» VI (2000), 561-68 e a Johann Wier cit., ad indicem.