Enrico Zanette, “Criminali, martiri, refrattari. Usi pubblici del passato dei comunardi”, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2014, pp. 168.
Il libro di Enrico Zanette, risultato di un lavoro di ricerca dottorale, analizza le biografie e le autobiografie di alcuni protagonisti della Comune di Parigi, redatte e pubblicate tra il 1871 e il 1886. Le narrazioni delle esistenze dei comunardi sono prese in considerazione dall’autore non come semplici racconti di vite esemplari, ma come forma di comunicazione politica, come «veicoli di modelli e simboli che suggeriscono e ispirano convinzioni, pratiche quotidiane e comportamenti». Il lasso temporale di osservazione dell’autore si concentra sugli scritti composti tra il periodo immediatamente successivo alla conclusione dell’esperienza comunarda, in Francia e in Italia, sino al momento di declino dell’interesse nei confronti di tale avvenimento, la fine degli anni Ottanta del XIX secolo.
Così, le prime biografie analizzate dall’autore, quelle apparse in Francia all’indomani della repressione, scritte dai vincitori e dunque anti-comunarde, permettono non solamente la delegittimazione politica degli avversari, ma anche una tipologizzazione del rivoluzionario come violento, mitomane, folle. All’opposto, in Italia, nella stampa italiana dissidente, le biografie apparse nelle rubriche periodiche de «Il Gazzettino Rosa» e soprattutto de «La Plebe», propongono modelli esemplari «per la ridefinizione degli indirizzi e tradizioni politiche del movimento rivoluzionario italiano». Il rivoluzionario è allora principalmente un martire, non più un criminale o un demone, tratteggiato con le caratteristiche di una persona normale alla cui esistenza è possibile ispirarsi. Caso unico in Europa, le biografie «italiane» permettono di cogliere la ricezione dell’avvenimento della Comune di Parigi all’interno della comunità socialista italiana, desiderosa di riabilitare l’immagine dei comunardi, stigmatizzata dalla stampa conservatrice, per creare un mito positivo della rivoluzione del 1871.
A questa analisi delle modalità di narrazioni biografiche che compongono la prima parte del libro, segue l’osservazione degli unici due casi, tanto esemplari quanto celebri, di scrittura autobiografica (che l’autore distingue come genere letterario a parte rispetto alla massa di memorie, testimonianze, ricordi specificamente dedicati alla Comune) compiuta dai comunardi. Si tratta da una parte dell’autobiografia romanzata, in tre volumi distinti, di Jules Vallès (l’Enfant, Le Bachelier, L’insurgé), dall’altra del vero e proprio racconto della propria vita di Louise Michel (Mémoires de Louise Michel, écrits par elle-même). Vallès, giornalista, fondatore-direttore de Le Cri du Peuple e membro eletto della Comune, racconta la propria esperienza di vita, durante l’esilio forzato a Londra a partire dal 1872, attraverso un alter ego letterario, il protagonista della trilogia, Jacques Vingtras. È sul periodo dell’infanzia che Zanette pone l’accento per evidenziare il messaggio politico legato al racconto della vita di Vallès. Non si diventa rivoluzionari per adesione a un’ideologia politica, ma attraverso l’esperienza quotidiana dell’oppressione che Vallès, come molti altri con lui, ha potuto conoscere sin da bambino, subendo l’autorità ottusa, tirannica e incapace di affetto dei genitori. Si diventa révolté, dunque, per ribellarsi alla propria condizione di oppressi, attraverso la cognizione della propria sofferenza che conduce a un moto di reazione, alla collera.
Pubblicati nel 1886 e redatti l’anno precedente, quando la rivoluzionaria godeva già di una grandissima fama alimentata dalla deportazione in Nuova Caledonia, i Mémoires di Louise Michel si presentano, al contrario, come un’autentica narrazione di sé. Idolatrata negli ambienti rivoluzionari internazionali, demonizzata dai detrattori, Michel era la vierge rouge per i primi, e la louve sanguinaria, incarnazione della Comune, per i secondi. Come per Vallès, anche nell’opera di Michel la ricostruzione del proprio passato spiega la necessità della rivoluzione. Tuttavia se nel primo questa è il «risultato di una mobilitazione spontanea di una «federazione dei sofferenti», nella seconda è un processo naturale di evoluzione sociale, simile e vitale come la trasformazione di una crisalide in farfalla. E come avviene per l’insetto che si libera a forza del proprio involucro per spiegare le proprie ali, come la giovane Louise imprigionata nella crisalide della propria condizione di donna, così la rivoluzione si compie attraverso una rottura con lo stato di costrizione precedente. Da cui l’adesione alla violenza rigeneratrice della rivoluzione sostenuta da Michel e rifiutata invece da Vallès.
Criminali, martiri, refrattari si pone, dunque, come una riflessione non sulle vite dei comunardi, o sulla narrazione della Comune – gli avvenimenti storici in effetti sono marginalmente evocati o restano sottintesi sullo sfondo – ma sulla valenza che un’esistenza narrata, sia in prima persona o servendosi di un alter ego, sia da terzi, possa assumere per trasmettere un messaggio politico. La ricaduta dell’avvenimento, la sua esaltazione o demonizzazione nelle coscienze dei contemporanei, sono dunque misurabili attraverso la rielaborazione delle storie di vita di coloro che presero parte alla Comune di Parigi. Biografie di singoli individui, dunque, che raccontano tuttavia la storia di un personaggio capace di incarnare un’intera generazione, quella dei bohémiens, dei déclassés, dei refrattari, attraverso l’identificazione dell’esperienza del vivere con la pratica politica, per mezzo di una concezione dell’esistenza come manifesto politico.