«E nel difficile e accidentato cammino verso la conquista da parte delle donne della cittadinanza sociale e politica, la vicenda milanese e lombarda è indubbiamente sembrata peculiare» (p. II). Così Maria Luisa Betri sintetizza il valore documentario, ma anche storiografico, di questi due intensi e fittissimi volumi, finanziati dagli enti locali, e realizzati grazie alla defatigante e meritoria opera di circa quaranta schedatori. Il punto di partenza, lo ricordano anche le due curatrici, è da individuare nella eccezionale valorizzazione delle cosiddette «forme primarie di scrittura» avvenuta da un decennio a questa parte nell’ambito della storiografia sull’800 e il primo ’900. Da lì, l’intenzione temeraria quanto encomiabile di censire la presenza femminile ovunque – fondi pubblici e fondi privati – essa avesse lasciato la pur minima traccia scritta. E le sorprese, che poi corrispondono ad altrettanti punti di forza dell’opera, non mancano di certo. Per esempio, veniamo a sapere che furono centinaia e centinaia le donne lombarde sottoposte ad interrogatorio per cause politiche (500 gli «esami» relativi unicamente al moto del 6 febbraio 1853); veniamo a sapere che tante lombarde esercitarono i propri diritti per scongiurare le «retorsioni» a danno degli espatriati. Ma entriamo pure a contatto con un vivace mondo di attrici, cantanti, ballerine e comparse; con la società della Corte asburgica e le sue serate danzanti; con centinaia di giovani di varia estrazione sociale iscritte nei luoghi più vari dell’istruzione pubblica e privata o petenti una licenza per l’insegnamento elementare. Non da ultimo, spuntano carte di donne celebri, dalla Belgiojoso alla Bono Cairoli, da Jessie White Mario a Bianca Milesi Mojon ad Adelaide Ristori, per non fare che i nomi più illustri. Hanno dunque ben ragione la prefatrice e le curatrici a sostenere che si tratta di un censimento che molto potrà dare alla storiografia. Non solo alla storia specifica delle donne lombarde, qui ripercorsa in tutte le sue innumerevoli articolazioni. Ma anche alla storia «generale», con un’apertura a trecentosessanta gradi che spazia dalla politica alla società, alla economia, alla demografia. Con qualche curiosità ulteriore degna di approfondimento: come ad esempio il felice connubio tra donne e conoscenze mediche testimoniato dai fondi della Biblioteca del Museo Civico di Storia naturale. Quarantadue nel totale gli enti conservatori presi in considerazione: non potevano mancare l’Archivio di Stato e l’Archivio storico civico di Milano; l’Archivio storico diocesano e le Civiche Raccolte storiche del Museo del Risorgimento; le biblioteche Ambrosiana, Braidense e Sormani; ma c’è stato posto anche per depositi più peculiari come quello del Pio Albergo Trivulzio, dell’Istituto dei ciechi e della Camera di Commercio della capitale lombarda. Nel complesso i fondi analizzati risultano essere più di duecentocinquanta. Invitando le studiose e gli studiosi a immergersi in queste pagine riempite di caratteri minuscoli come di informazioni preziosissime, non possiamo mancare di rallegrarci all’annuncio che l’opera sarà continuata con altri tomi dedicati all’età liberale. Ribadendo gli encomi già tributati alle curatrici, pensiamo di far bene chiudendo questa breve nota con i nomi delle schedatrici e degli schedatori più prolifici: Sara Adamo, Antonella Bianchi, Paola Bianchi, Maria Cristina Brunati, Cristina Cenedella, Barbara Giacchi, Carla Giunchedi, Clara Moschetta, Enrica Panzeri, Alessandra Porati, Elena Puccinelli, Enrico M. Riva. A loro e agli altri collaboratori va tributato un caloroso ringraziamento per quanto di informazioni, di dati, di considerazioni, un lavoro archivistico di tanta mole potrà apportare allo stato delle conoscenze sulle donne, sulla politica e sulla società lombarda dell’età del Risorgimento, al di là di ricostruzioni aprioristiche, notizie incerte, assunzioni stereotipate.
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