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Xosé Manuel Núñez Seixas, “Guaridas del Lobo”

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Xosé Manuel Núñez Seixas, Guaridas del Lobo. Memorias de la Europa autoritária 1945-2020. Barcelona: Editorial Crítica, 2021. 312 pp.

In Guaridas del Lobo. Memorias de la Europa autoritária 1945-2020, lo storico gallego Xosé Manuel Núñez Seixas, uno dei maggiori studiosi del nazionalismo spagnolo, prende in esame, con un approccio comparativo, il dibattito pubblico sui luoghi a cui è legata la memoria dei più importanti dittatori che si avvicendarono alla guida degli stati dell’Europa occidentale e di quella orientale nel “Secolo breve”. Luoghi che rappresentano le “tane del lupo” (guaridas del lobo) che danno il titolo al libro e in cui oggi si consuma fisicamente il nostro incontro con un tragico passato, spesso scomodo.

Dopo un’introduzione dedicata ai motivi che hanno spinto l’a. alla scrittura di questo libro, il testo si apre con un primo capitolo dedicato a Hitler e Mussolini. Proprio la presenza di quest’ultimo rende questo capitolo quello che maggiormente può attirare l’interesse del pubblico italiano. Partendo dal modo in cui “il corpo del duce” è entrato nell’immaginario collettivo del dopoguerra, l’a. analizza come Predappio si sia affermato quale luogo di culto per i nostalgici e come, nel tempo, le amministrazioni locali abbiano tentato di sventare l’affermazione di un sacrario fascista nell’Italia repubblicana. In questo senso, molto interessante appare l’analisi del dibattito sulla possibile creazione di un centro studi sul fascismo nell’ex Casa del fascio della città natale di Mussolini, che negli ultimi anni ha contrapposto intellettuali, storici e politici italiani.

Il secondo capitolo è dedicato ai luoghi della memoria dei dittatori degli stati autoritari o collaborazionisti, tra cui risultano molto interessanti i paragrafi dedicati a Pilsudski, Pétain, Horthy, e soprattutto a Salazar. Le pagine riguardanti i luoghi riconducibili al dittatore portoghese appaiono significative in quanto si connettono direttamente ai paragrafi precedenti su Mussolini. Anche per Santa Comba Dão, il paese natale del dittatore portoghese, l’a. fa un approfondita disamina del dibattito sulla possibile creazione di un centro studi dell’Estado Novo, che, come nel caso di Predappio, ha creato un acceso scontro tra gli storici. Questi ultimi infatti risultano divisi tra chi è a favore del progetto e chi invece lo ritiene pericoloso, visto che negli ultimi anni un’estrema destra nostalgica sta riscuotendo consensi tra la popolazione dello stato iberico.

Il terzo capitolo è decisamente quello più sentito da Núñez Seixas, poiché analizza le problematiche inerenti ai luoghi della memoria di Francisco Franco. Dopo aver illustrato come, a differenza degli altri dittatori, il luogo di nascita del Caudillo non costituisca un centro di attrazione per nostalgici e turisti, l’a. si concentra sulla Valle de los Caídos e sul palazzo di Meirás. Se nell’introduzione al capitolo l’a. ricorda la traslazione della salma di Franco dalla Valle al cimitero del Mingorrubio (El Pardo) avvenuta nell’ottobre del 2019, nel primo paragrafo si concentra sul dibattito inerente la significazione della Valle dalla sua inaugurazione fino alla conclusione della transizione alla democrazia dello Stato spagnolo negli anni Ottanta. Nel paragrafo successivo l’a. ci rende conto delle vicende riguardanti la residenza estiva del Caudillo, il Pazo de Meirás, rimasta nelle disponibilità della sua famiglia per molti anni dopo la morte nel 1975. Il terzo paragrafo si confronta con il dibattito politico che portò alla riesumazione del corpo di Franco, alla riconsegna allo Stato del Pazo de Meirás nel 2020 e alla proposta da parte del governo di Pedro Sanchez di una nuova legge della memoria volta «alla proibizione delle fondazioni pubbliche che esaltino la dittatura e al rinforzo del contenuto educativo riguardo la memoria democratica» [166]. Il capitolo si conclude con la memoria degli altri Caudillos tra cui José Antonio Primo de Rivera.

L’ultimo capitolo è invece incentrato sulla memoria dei dittatori comunisti. Ovviamente a dominare sono i luoghi legati alla figura di Stalin, a cui sono riservate circa venti pagine, mentre più brevi sono i paragrafi dedicati a Tito, Hoxha e Ceausescu. Proprio il paragrafo su quest’ultimo, intitolato El síndrome de Drácula, risulta essere uno dei più interessanti: l’a. discute su come i luoghi legati al dittatore rumeno vengano oggi sfruttati più in ottica commerciale, che allo scopo di dare una lettura critica della dittatura comunista.

Nell’epilogo l’a., dopo aver rimandato ad altri esempi di mausolei e luoghi della memoria dei dittatori di Asia e America latina, trae le proprie conclusioni sull’uso pubblico e politico di questi spazi. Egli sottolinea soprattutto le difficoltà della risignificazione dei luoghi legati al ricordo dei diversi dittatori, a causa del turismo di massa e di una Public History “fai da te”, spesso supportata da informazioni fuorvianti disponibili sui social media. L’a., dunque, richiama all’importanza degli storici, che, in ottica interdisciplinare, hanno il compito di entrare nel dibattito pubblico sui luoghi della memoria, per dare ai cittadini strumenti adatti per la comprensione del loro reale significato.

Il libro ha il pregio di comparare in maniera rigorosa casi decisamente differenti, ma che rimandano spesso ad esperienze condivise su scala continentale. Sebbene i paragrafi dedicati ai luoghi della memoria dei singoli dittatori siano piuttosto corti, va apprezzata la capacità di sintesi dell’a., che ben riesce a dare al pubblico una visione d’insieme dei casi oggetto di studio. Il testo, comunque, oltre fornire delle risposte sul tema delle “memorie scomode”, stimola ulteriori questioni che meriterebbero futuri approfondimenti. Per esempio, ci si può chiedere come l’evolversi dell’idea della morte civile e di quella religiosa abbiano impattato sulla memoria dei dittatori dopo la loro dipartita. Per quanto riguarda il caso italiano, andrebbe valutato quanto abbia inciso sulla memoria di Mussolini e, di conseguenza, sui luoghi di culto a lui legati la retorica pubblica della morte impostasi dopo la Prima guerra mondiale, ritualizzata con la scelta e l’inumazione del milite ignoto ed esaltata durante il fascismo con il rito dell’appello, ma anche attraverso l’edificazione di monumenti e sacrari. Un altro tema concerne l’idea della morte celebrata nel contesto della religione politica e in quale misura si sia fusa con quella cattolica, tanto da creare, nell’Italia del secondo dopoguerra, una nuova dimensione di tale idea, dove sacro e profano si compenetravano nelle celebrazioni pubbliche, come nel caso del funerale dei giocatori del grande Torino dopo la tragedia di Superga. Come accennato dall’autore, di questa commistione tra religione politica e religione cattolica è un esempio Villa Carpena, nel secondo dopoguerra dimora di Rachele Guidi, moglie del Duce, e oggi museo privato, volto alla celebrazione di quest’ultimo e della sua famiglia. Nella villa, accanto ad abiti e oggetti di Mussolini, sono infatti esposti anche diversi simboli cattolici, che rimandano a una fede difficile da riscontrare nella parabola biografica dell’ex direttore dell’«Avanti!», ma che rende la memoria del duce più accettabile in un paese cattolico come l’Italia. Partendo da queste considerazioni sul caso italiano, si potrebbe approfondire infine quanto la commistione tra sacro e profano abbia orientato la narrazione dell’attuale memoria degli altri dittatori europei nel XX secolo, al fine di comprendere meglio perché alcuni luoghi a essi legati abbiano creato nell’immaginario collettivo un’aurea mistica, che ne fa percepire la presenza a decine di anni dalla loro morte*.

* La realizzazione di questa recensione è stata possibile grazie al contratto Ramón y Cajal: RYC2020-030220-I.