Visioni e politiche del territorio
Per una nuova alleanza tra urbano e rurale
a cura di Paola Bonora

 
Politiche e progetti di territorio per il ripopolamento rurale
Alberto Magnaghi

Abstract

This essay suggests projects and policies aimed at bringing rural areas back to life, to raise the rural population in an environment and landscape which come back to be considered as common goods rather than ownable, alienable things, as such subjects of reproduction of life and collective wealth. Therefore, they should be submitted to collective agreements wherein every stakeholder can find its good values in the production of environmental and landscape surplus as outcomes of the cooperative territorial process. From this perspective, regional, environmental and landscape planning are becoming the central focus in the definition of tools, conditions and resources for the self-sustainable development of a region and its local urban systems. The recovery of the value and sense of the rural areas, that does not mean a purely defensive capacity for resisting land consumption but concerns the proactive construction of landscape and quality of living, should be the base for a new bio-regional balance and a new multi-dimensional alliance between city and countryside, as living and interacting subjects.

Il ruolo degli spazi aperti nel progetto di riqualificazione delle urbanizzazioni contemporanee

Assistiamo oggi ad una profonda crisi, per gli squilibri che hanno mitigato (ma non risolto) e per l’incapacità di contrastare l’abbassamento della qualità della vita nelle urbanizzazioni contemporanee, dei modelli di pianificazione “ecocompatibili” che hanno affiancato l’uso del territorio come supporto tecnico di attività economiche con qualche reperto urbano territoriale da conservare per contrappeso (monumento, centro storico, bene archeologico, bene paesaggistico) tutelandolo dalle regole dello “sviluppo” del resto del territorio; che hanno trattato l’ambiente come vincolo (ecocompatibilità), con alcune emergenze naturali da tutelare (aree protette); che hanno preservato il paesaggio nelle aree turistiche; che hanno votato il territorio agricolo, nei modelli produttivi agroindustriali, interamente al mercato, desertificandolo nella sua capacità di riproduzione delle risorse produttive [Bevilacqua 2006], limitandosi a recuperare le aree di abbandono agroforestale, in funzione della compensazione ambientale.

Con la crisi strutturale di questi modelli, territorio, ambiente e paesaggio (o meglio, ciò che ne resta, prevalentemente nelle aree marginali e periferiche, fra le macerie dell’urbanizzazione contemporanea) vengono assunti in molti piani e progetti come la base materiale e culturale per costruire modelli socioeconomici che, proprio sulla valorizzazione delle peculiarità patrimoniali locali, fondano la propria sostenibilità e durevolezza, e attivano energie endogene per elevare il benessere, la qualità della vita e produrre ricchezza durevole [Magnaghi 2010]. In questi modelli socioeconomici del futuro, territorio, ambiente e paesaggio tornano ad essere considerati nella loro qualità di beni comuni non appropriabili, non alienabili, in quanto soggetti della riproduzione della vita e della produzione della ricchezza collettiva; da sottoporre dunque a patti collettivi nei quali ogni attore socioeconomico trovi le sue ragioni di convenienza nella produzione di valore aggiunto territoriale, ambientale e paesaggistico. In questa prospettiva la pianificazione e la progettazione del territorio, dell’ambiente e del paesaggio divengono centrali nel definire strumenti, condizioni, risorse per lo sviluppo autosostenibile di una regione e dei suoi sistemi locali, territoriali e urbani.

In questi percorsi di ridefinizione dei campi della pianificazione un ruolo centrale vengono ad assumere i progetti, i piani e le politiche sugli spazi aperti: la centralità dell’azione del piano si sposta dal riequilibrio dei fattori di crescita esponenziale dell’urbanizzazione (servizi, trasporti, residenze, etc.), al progetto degli spazi aperti per contenere e riqualificare i modelli insediativi diffusi che hanno pervaso con la “forma metropoli” l’intero territorio regionale: blocco del consumo abnorme di suolo agricolo, riqualificazione delle periferie urbane, riconnessione delle reti ecologiche, riequilibrio dei bacini idrografici, riorganizzazione di sistemi urbani policentrici, ridefinizione dei rapporti sinergici e di complementarietà fra città e campagna, chiusura locale dei cicli dell’alimentazione, dei rifiuti, dell’energia, riorganizzazione di sistemi economici a base locale, riqualificazione del paesaggio e cosi via. Solo riconnettendo lo spazio urbano al suo territorio rurale si può affrontare strategicamente la chiusura dei cicli dei rifiuti, dell’acqua, dell’alimentazione (reti corte), la riqualificazione della connettività ecologica e del paesaggio, la riqualificazione delle periferie degradate; la riduzione dell’impronta ecologica.

Questo atto di restituzione di forza progettuale e morfogenetica agli spazi aperti attiva anche il processo di trasformazione delle regione metropolitane verso le “bioregioni urbane” [Magnaghi e Fanfani 2010]. Trasformazione nella quale le aree marginali e periferiche, i sistemi vallivi profondi, che danno storicamente identità ai sistemi urbani di pianura, riacquistano centralità nel garantire la riorganizzazione di relazioni di reciprocità, non gerarchiche, fra sistemi urbani e spazi aperti agro-forestali per realizzare nuovi equilibri ecosistemici, energetici, alimentari e funzionali.

Un esempio di questo rovesciamento di ruolo fra spazi urbanizzati e spazi aperti è già presente nel progetto di risanamento dell’area ad alto rischio della regione urbana di Milano [Magnaghi 1995]. Nella fig. 1 la “figura territoriale” della regione urbana è ridefinita evidenziando e connettendo a sistema gli spazi aperti residuali, lasciando sullo sfondo grigio il territorio edificato. Gli spazi aperti (spazi agricoli e forestali, riviere fluviali, canali, zone umide, laghi, etc.) divengono così la matrice del disegno strategico di riqualificazione e della ricomposizione urbana della regione. L’enfasi è posta sulla ricostruzione delle reti ecologiche che connettono la fascia pedemontana, la pianura asciutta e la pianura irrigua assumendo i sistemi fluviali e i canali come strutture portanti delle reti e i sistemi rurali come reti ecologiche minori. Questa immagine allude a un poderoso e lungo processo di trasformazione del modello insediativo verso nuove forme di valorizzazione del patrimonio territoriale e ambientale: il principio ordinatore diviene il ridare vita agli spazi aperti interclusi e relitti, il risanare i sistemi ambientali e le reti ecologiche, il trattare nuovamente le acque e l’agricoltura come risorse primarie della organizzazione sostenibile del territorio.

Verso l'agricoltura multifunzionale

Questa nuova centralità degli spazi aperti nel progetto di territorio si sostanzia innanzitutto in un superamento degli approcci tradizionali che li articolano in spazi agroforestali, da trattare con politiche di settore, e spazi naturalistici, a loro volta funzionalmente definiti come aree protette, caratterizzate da divieti, da "recinzioni" della naturalità legate ad un approccio sostanzialmente vincolistico alla salvaguardia ambientale; facendo evolvere gli spazi aperti nel loro insieme come luoghi-laboratorio di nuove relazioni produttive, ambientali e fruitive fra città e mondo rurale, capaci di restituire a quest'ultimo una nuova centralità in termini economici, produttivi, ambientali, paesistici, ricreativi, culturali e sociali, per la costruzione di modelli di sviluppo locale autosostenibile. Questo nuovo ruolo del mondo rurale (agroforestale) nella produzione di qualità dello sviluppo è concepibile a partire da nuove finalità produttive multifunzionali socialmente riconosciute ed economicamente rivalutate in base alla qualità dei caratteri specifici sia della produzione che del contesto territoriale e sociale. In quest'ottica, il recupero del valore e del senso del territorio rurale, con la sua capacita non puramente difensiva di resistenza al consumo del territorio, ma di costruzione attiva di paesaggio, di qualità ambientale, di salvaguardia idrogeologica, di reti corte fra produzione e consumo, di qualità dell'abitare (in particolare nei territori del degrado periurbano), diviene quindi presupposto della ricomposizione di un nuovo equilibrio e di una nuova alleanza multidimensionale fra città e campagna come soggetti vitali e dialoganti.

Il progetto sugli spazi aperti come progetto integrato di territorio fa dunque riferimento al concetto di agricoltura multifunzionale intesa come «linsieme di contributi che il settore agricolo può apportare al benessere sociale ed economico della collettività e che questultima riconosce come propri dellagricoltura» [Idda, Furesi e Pulina 2005]: cioè quell’attività che affianca alla produzione di beni alimentari e materie prime ad uso non alimentare con la fornitura di servizi di varia natura come la tutela, la gestione e la messa in valore del paesaggio rurale, la protezione dell’ambiente; che attiva forme di solidarietà tra cittadini e produttori. Un’agricoltura che al di là degli alimenti produce paesaggio, impiego, servizi sociali e culturali, che tratta i rifiuti e valorizza le peculiarità del territori.

In particolare per la riqualificazione urbana si evidenzia il ruolo multifunzionale e dinamico dell’agricoltura periurbana, sottolineando la necessità di riconoscere e avviare politiche e piani appropriati e specifici nelle aree agricole, basati su modalità pattizie di gestione che valorizzano la progettualità locale.

E’ del tutto evidente che questa dimensione può ricostituire una economia dell’“itineranza” [Donadieu 2004] che collega alla fruizione dello spazio aperto anche la possibilità di un contatto diretto con la presenza agricola riconducibile a più dimensioni quali:

- didattica ambientale e naturalistica;

- forme ed attrezzature specifiche di fruizione;

- welfare urbano (attività socio sanitarie, orti sociali e hobby farming);

- acquisto diretto prodotti agricoli alimentari e non.

Il discorso sulla multifunzionalità, appare di grande importanza non solo perché mette in evidenza il ruolo dell’agricoltura periurbana nell’attivazione di processi volti alla sostenibilità della città e del territorio [Fedenatur 2004] ma anche perché pone un nuovo sguardo sulle relazioni tra agricoltura e pianificazione e sul rapporto tra aree urbane e aree rurali.

E’ importante mettere in evidenza che la multifunzionalità non riguarda solo le aree agricole dei territori aperti ma anche le aree più propriamente urbane come quelle degli orti e frutteti che per le funzioni di tipo ambientale economico e culturale e per il ruolo sociale e ricreativo che assumono nel contesto insediativo possono essere considerati come una vera e propria infrastruttura pubblica e riconosciuti come parchi urbani.

Ad esempio nel Piano paesaggistico-territoriale della Regione Puglia [Regione Puglia 2010; Magnaghi 2011] viene recuperato lo spirito degli storici “ristretti” (una fascia di 2-300 metri che circondava le città storiche di orti e giardini) riprogettandoli nelle fasce più esterne delle periferie con la finalità di ridefinire il margine urbano, di riconnettere alla campagna gli spazi aperti interclusi, di ricostituire un rapporto alimentare e fruitivo fra città e campagna (fig. 2, 3, 4, 5) come ulteriormente specificato nelle linee guida per i comuni sulle regole di realizzazione del patto città campagna (fig. 6, 7, 8, 9].

I parchi agricoli multifunzionali

Facendo riferimento ad esperienze già in atto ad esempio nelle regioni di Parigi, Barcellona, Sud Milano, Brianza Milanese, Prato, risulta evidente come questo strumento di pianificazione supera una visione vincolistica dell’area protetta, tipica del parco naturalistico, verso l’utilizzazione integrata degli spazi rurali, a partire dalla loro riqualificazione produttiva che comprende al suo interno regole per la valorizzazione paesistica, ecologica, turistica, fruitiva.

Il concetto di parco agricolo [Ferraresi e Rossi 1993; Donadieu 2008; Fanfani 2009] che assume il fine generale di progettare gli spazi agroforestali con funzioni multisettoriali, si è sviluppato all’intersezione di due tipologie territoriali: l’ambiente peri-urbano che esprime forte domanda di nuova ruralità dei suoi abitanti (loisir, qualità alimentare, ambientale e paesistica) e l’ambiente rurale in forte conversione verso la multifunzionalità. In questa prospettiva sia i piani aziendali che i piani di sviluppo rurale sono organizzati in modo che gli agricoltori oltre a produrre beni di mercato (alimentari, energetici) producano contemporaneamente beni e servizi pubblici remunerati in quanto tali. Questa evoluzione può essere favorita sia dalle nuove politiche europee in materia di disaccoppiamento, sia alle nuove funzioni attribuite all’agricoltura nei piani di sviluppo rurale (qualità ambientale, tutela del paesaggio, salvaguardia idrogeologica, mantenimento della biodiversità, valorizzazione delle risorse naturali locali, qualità e sicurezza alimentare, mantenimento delle tradizioni e dei tessuti socioeconomici locali).

Il concetto di parco agricolo multifunzionale può svilupparsi operativamente verso due esiti istituzionali:

- una “istituzione di governo del territorio, formalizzata ed esplicitamene riconducibile a normative quadro di carattere territoriale od ambientale; esempi: parco agricolo sud Milano; parco agricolo della piana di Firenze (fig. 10); parchi agricoli di “riqualificazione” e di “valorizzazione” come definiti nel PPTR della Regione Puglia (fig. 2, 3);

- una “aggregazione volontaria ed attiva di attori, prevalentemente locali –istituzionali e non ­ che sviluppano un processo di condivisione di uno scenario progettuale ed attivano un soggetto gestionale e di progetto relativo al territorio agricolo periurbano, simile e connettibile allo strumento negoziale del “Contratto di fiume” che affronta in molti casi la promozione di parchi agricoli perifluviali (fig. 11, 12).

E’ importante sottolineare che, sia in un caso che nell’altro, si tratta di un processo comunicativo che presuppone un alto coinvolgimento dei diversi soggetti locali, un processo volto alla definizione di un insieme di azioni concertate che si realizzano nel tempo tramite un programma di intenti nel quale vengono definiti obiettivi e azioni. Variamente definite in Francia come programmes agro- urbains [Fleury 2005], charte agricole, negli Stati uniti come Urban Edge Agricultural Parks o come Collaborative community efforts to preserve farmaland, queste azioni si configurano come una politica attiva dei territori periurbani tesa a delineare processi di valorizzazione del patrimonio locale in sinergia con la dimensione produttiva delle aree agricole.

Nel caso della città policentrica della Toscana centrale [Magnaghi e Fanfani 2010] data la complessità ed antropizzazione dell’area, si è optato per una combinazione dei due tipi di approcci: in particolare il secondo si configura come una “politica attiva” di messa in valore del patrimonio agroambientale e paesistico del territorio aperto del green core (fig. 13) attraverso la mobilitazione ed il coordinamento di diversi attori che si aggregano intorno ad un progetto “reticolare” e multisettoriale che comprende al suo interno i parchi agricoli perifluviali, come nel caso del Master Plan per il parco fluviale dell’Arno [Magnaghi e Giacomozzi 2009] (fig. 14, 15, 16, 17).

Il parco agricolo, assumendo come attività principale le attività produttive agroforestali di qualità e tipiche, e realizzando al contempo la produzione di beni e servizi pubblici remunerati è una tipologia di parco che dovrebbe avviare in forme nuove il popolamento rurale, costituendo un laboratorio di nuove forme di insediamento e di relazione fra città e campagna, tendenzialmente applicabili a tutto il territorio rurale. In questo senso il parco agricolo multifunzionale, al contrario del parco naturale, è una forma espansiva, in quanto realizza nuove economie integrate città campagna, nuove forme e finalità della produzione agroforestali; dunque è una forma di parco potenzialmente estensibile a tutti gli spazi aperti, trasformandosi in prospettiva nella costruzione del nuovo paesaggio agrario.

In questa direzione, di costruzione di una nuova relazione multifunzionale città campagna si è organizzato ad esempio il parco agricolo di Prato, nell’organizzare i servizi alimentari, ambientali, infrastrutturali, fruitivi, didattici, culturali per elevare la qualità della vita della città (fig. 18).

Il concetto di bioregione: dalla “sezione di valle” di Patrick Geddes alla bioregione urbana

L’enfasi posta sulla multifunzionalità degli spazi aperti, sostanziata nell’apertura di politiche incentrate sui parchi agricoli come nuova frontiera delle relazioni sinergiche fra città e campagna, fornisce nuova linfa al rinnovamento del concetto di bioregione [Magnaghi 2009] che si richiama ai principi geddesiani della “sezione di valle” [Geddes 1970]:

- affermare principio di co-evoluzione fra luogo (place) , lavoro (work), abitanti (folk);

- valorizzare la peculiarità e l’unicità identitaria (uniqueness) di ogni regione e di ogni città;

- mettere in atto analisi di lunga durata (reliefs and contours) per scoprire le relazioni coevolutive (naturali e culturali) “al lavoro” in ogni regione;

- evidenziare i principi coevolutivi di lunga durata che promanano da queste relazioni; (Regional Origins), come guida per scoprire le regole invarianti della “bioregione”.

La bioregione urbana: una visione

Il concetto di bioregione urbana integra la visione bioregionalista con l’attenzione all’integrazione in essa dei sistemi urbani. La bioregione urbana si può allora definire come un insieme di sistemi territoriali locali caratterizzati da:

- presenza di una pluralità di centri urbani e rurali, organizzati in sistemi reticolari e non gerarchici di nodi urbani principali e di grappoli di città piccole e medie;

- produzione di ricchezza attraverso la valorizzazione e la messa in rete dei nodi “periferici” e “marginali”, ognuno in equilibrio con il proprio ambiente di riferimento;

- attivazione di relazioni ambientali volte alla chiusura tendenziale dei cicli (delle acque, dei rifiuti, dell’alimentazione, dell’energia);

- equilibri ecosistemici di bacino idrografico, di sistema vallivo, di nodo orografico, di sistema collinare, di sistema costiero e il suo entroterra, ecc.

I requisiti statutari della bioregione urbana

Uno scenario di questo tipo, si è concretato ad esempio nel progetto per la bioregione policentrica della Toscana centrale (bacini fluviali dell’Arno e del Serchio) (fig. 19, 20) attraverso un sistema di requisiti statutari e azioni progettuali complesse e integrate che riguardano [Magnaghi 2006]:

- il superamento del modello metropolitano centroperiferico, evidenziando le peculiarità morfotipologiche, funzionali, paesaggistiche e socioculturali di ogni sistema urbano, definendo regole per la valorizzazione "differenziale" di queste peculiarità;

- la valorizzazione dei nodi regionali periferici e marginali del sistema (articolazione multipolare dei servizi rari, es. università, servizi rari all'impresa e alla persona, connessi in rete), per aumentare la complessità relazionale, non gerarchica del sistema della bioregione urbana, producendo in ogni nodo della rete territoriale complessità e eccellenza produttiva, filiere integrate;

- la riorganizzazione del sistema infrastrutturale a rete per la valorizzazione e la crescita delle peculiarità dei sistemi e delle identità locali della regione;

- l'elevamento della qualità di vita di ogni nodo progettando infrastrutture e servizi per l'abitare la regione urbana, fruendo delle relazioni (materiali e immateriali) con le altre città e con il sistema degli spazi aperti;

- la ridefinizione del rapporto fra spazi rurali e urbani, attraverso la definizione di alta qualità ambientale di ogni nodo urbano; il progetto degli spazi aperti della città policentrica ridisegna, a scala regionale, di area vasta e locale, qualità dei margini, confini, relazioni di reciprocità e osmosi fra spazi rurali e urbani; figure territoriali e qualità degli spazi urbanizzati;

- il blocco del consumo di suolo agricolo e la densificazione degli insediamenti, attuando nuovi equilibri ambientali e paesistici attraverso un "patto città-campagna";

- il blocco della saldatura degli spazi urbanizzati dei nodi urbani del sistema costituendo un "green core" centrale e corridoi verdi agricoli, boscati, fluviali che lo connettono con i sistemi collinari e montani esterni all'ellisse; rafforzando strategicamente i "varchi" fra i sistemi urbani che caratterizzano il sistema ambientale mediante la realizzazione di "connessioni verticali" a pettine fra l'ellisse planiziale e i sistemi collinari e montani e impedendo l'effetto barriera dei sistemi insediativi pedecollinari della conurbazione (fig. 19);

- la polarizzazione funzionale delle conurbazioni periferiche diffuse, individuando regole “antisprawl” che, ad esempio, consentano di privilegiare nei piani il trasporto pubblico su ferro e i suoi nodi intermodali nel collegamento fra diversi centri, come condizione fondamentale per migliorare l'accessibilità ai diversi poli del sistema; e regole "anticonsumo" di suolo agricolo che consentano di definire con chiarezza i confini e la qualità dei margini urbani;

- la riorganizzazione degli spazi agroforestali con funzioni multisettoriali: produzioni agroalimentari di qualità (le filiere del vino, dell'olio e del tartufo, prodotti ortofrutticoli tipici); lo sviluppo del turismo rurale (agriturismo); la manutenzione e il restauro dei paesaggi storici della collina toscana; la produzione di energia individuando mix energetici locali di energie rinnovabili; la riduzione dell'impronta ecologica (chiusura tendenziale a livello regionale e subregionale dei cicli delle acque, dei rifiuti, dell'energia, dell'alimentazione, etc.); la fruizione del territorio rurale da parte degli abitanti delle città (scambi alimentari e culturali diretti, escursioni sportive, ricreative, paesistico-ambientali, etc.); riqualificando a fini multifunzionali le infrastrutture storiche interpoderali;

- la riqualificazione degli spazi rurali, nelle loro specificità colturali e morfotipologiche, come rete ecologica minore, connettiva della "core area" regionale;

- la riqualificazione del sistema fluviale della valle dell'Arno e dei suoi affluenti come sistema connettivo multisettoriale della città policentrica (riqualificazione del corridoio ecologico est-ovest) e struttura portante del sistema ambientale regionale.

Nella figura 20 la legenda analitica sintetizza il disegno strategico degli spazi aperti, che sono stati analizzati e interpretati ciascuno per i propri caratteri e per il ruolo che può assumere nel riqualificare lo spazio aperto regionale: ruoli produttivi, urbanistici, ecologici, idrogeologici, energetici, paesaggistici, di riqualificazione urbana. Il progetto di scenario evidenzia e tratta le funzioni (attuali e potenziali) di ciascuno di questi differenti elementi rispetto all'organizzazione della città policentrica; ogni elemento, valorizzato nella sua specificità (ecologica, produttiva, paesistica, energetica, fruitiva) è messo in relazione con gli altri e gioca un ruolo puntuale nel disegnare la "figura territoriale" complessiva del sistema.

Per una civilizzazione collinare, montana e degli entroterra costieri

E’ evidente che attribuire centralità agli spazi aperti in una prospettiva bioregionale, induce una inversione di tendenza rispetto al processo che dal secondo dopoguerra ha portato ad un processo di concentrazione urbana nelle pianure, nei fondovalle e sulle coste, attraverso lo spopolamento della collina, della montagna (arco alpino e osso appenninico) e degli entroterra costieri. Questa inversione comporta:

- blocco e contrazione dei processi di urbanizzazione: blocco delle urbanizzazioni costiere e riconquista agricola delle pianure fertili con la contrazione e polarizzazione della urbanizzazione diffusa;

- trasformazione delle urbanizzazioni periferiche in bioregioni urbane policentriche: si reimpara ad abitare la relazione città campagna;

- attivazione dei parchi agricoli: produzione di nuovo cibo, benessere e qualità dell’abitare per i residenti delle urbanizzazioni periferiche;

- attivazione della città policentrica dei fondovalle e delle pendici collinari delle valli alpine e appenniniche (reti di paesi ad alta qualità dell’abitare riferiti ai paesaggi fluviali riqualificati);

- riattivazione della “città della montagna” (reti e servizi di tipo urbano per i sistemi diffusi di borghi, cascine, malghe, pascoli);

- riattivazione della città degli entroterra costieri: fra la pesca, il pascolo, il patrimonio culturale, paesaggistico, l’ospitalità diffusa.

Per produrre scenari di trasformazione che valorizzino i beni paesistici del territorio rurale, collinare e montano e i loro valori identitari è fondamentale evidenziare nella rappresentazione gli elementi patrimoniali che si vogliono far interagire nel modello di sviluppo che li assume come base per la produzione della ricchezza durevole.

Nella immagine che segue (fig. 21) esemplifico il ragionamento sulla Val di Cornia, parte del golfo di Follonica e delle Colline Metallifere. Qui ci troviamo in una fase di trasformazione profonda del modello di sviluppo: dal sistema storico dismesso delle miniere, dalla siderurgia di Piombino in crisi, la centrale dell’Enel, la Chimica di Scarlino, il turismo costiero di Follonica: un modello urbano industriale incentrato sulla costa, che aveva svalorizzato l’interno collinare e montano e attratto forza lavoro salariata nella pianura.

La crisi di questo modello vede una lenta evoluzione verso un modello che rivaluta fortemente la profondità del territorio collinare: un ricco sistema di parchi archeologici e naturalistici (dagli etruschi di Populonia, alle miniere medievali di Rocca San Silvestro, alle miniere di Pirite di Massa e Gavorrano), di bandite, di ambienti naturalistici, di piccole città d’arte, di attività artigiane, di filiere agroalimentari di qualità, nel vino, nell’olio, nella ristorazione, etc.

Un modello che nella messa in valore delle risorse agroalimentari tipiche e di qualità, dell’artigianato, delle risorse culturali e naturali, dell’ospitalità diffusa nei centri dell’interno e nell’ospitalità rurale, nell’escursionismo culturale e ambientale, trova gli elementi per uno sviluppo integrato fra costa, collina coltivata, aree boscate, corona dei centri collinari, autosostenibile e durevole.

E’ evidente che la rappresentazione di questi elementi identitari del territorio, in particolare agro-forestale nella sua ritrovata complessità funzionale, divengono importanti per un progetto di trasformazione verso lo sviluppo locale autosostenibile: il sistema di città relazionate ai loro caratteri ambientali e rurali (il bosco a nord e gli oliveti-vigneti a sud che ne connotano la morfologia urbano-territoriale), il fiume rimesso in valore come elemento connettore e generatore di territorialità, di figure paesaggistiche e di relazioni fruitive fra interno e costa, i paesaggi collinari e montani, nuovamente relazionati a quelli costieri.

La condizione della nuova civilizzazione: il ripopolamento rurale

Dove reperiamo i saperi, le sapienze, le tecniche produttive per realizzare la multifunzionalità dell’agricoltura e i parchi agricoli? Non certo nell’agricoltura industriale (la fabbrica verde) che ha spogliato l’agricoltura di ogni relazione ambientale: separando allevamento da coltivazione (creando rifiuti e impoverendo la fertilità dei terreni), semplificando e artificializzando le cultivar, riducendo la biodiversità, la complessità ecologica e producendo la semplificazione e omologazione dei paesaggi e delle trame agrarie; aumentando il dilavamento dei terreni e il dissesto idrogeologico, allontanando i luoghi della produzione dai mercati, aumentando vertiginosamente la mobilità delle merci, realizzando sistemi di coltivazione energivori di acqua e produttivi di inquinamento dei terreni e delle falde.

Al contrario nei paesaggi storici ritroviamo infatti, a saperne ricostruire regole, sapienze, tecniche, le indicazioni progettuali (da non confondere con i sistemi sociali di produzione, non vogliamo ritornare alla fatica dei campi o alla servitù della gleba) che contengono nel proprio codice genetico la multifunzionalità dell’agricoltura.

Essi costituiscono un concentrato patrimoniale di regole “sapienti” di produzione di territorio, di riproduzione autonoma delle risorse produttive, di potenziamento delle identità regionali [Agnoletti 2009], tale da poter fornire regole agli “statuti del territorio”, e contribuire al superamento delle diseconomie degli attuali modelli agroindustriali. I paesaggi rurali storici possono costituire i nuclei patrimoniali su cui si fondano i parchi agricoli multifunzionali, sia quelli di valorizzazione di aree agricole di pregio che quelli di riqualificazione delle regioni urbane e delle aree metropolitane verso il progetto di bioregione urbana. Nei caratteri costitutivi dell’agricoltura tradizionale [Cevasco 2007] troviamo molti degli elementi necessari al progetto di bioregione:

-la produzione in proprio, non dipendente dal mercato, delle risorse riproduttive del sistema (“modo di produzione contadino”) [Van Der Ploeg 2008];

- la produzione di complessità ecologica, a partire dalla complessità degli ecosistemi nella policoltura; la valorizzazione delle risorse ambientali locali, essenziale all’autoriproduzione delle risorse produttive;

- la salvaguardia idrogeologica: cura capillare dei bacini idrografici da monte a valle per il loro equilibrio idrogeomorfologico (la manutenzione dei terreni e la cura del deflusso delle acque nel bosco, nel terrazzamento a giropoggio; la permeabilità dei terreni, la pulizia e la manutenzione dei torrenti, dei versanti, ecc);

- la chiusura locale dei cicli ambientali: dell’alimentazione (reti corte fra produzione e consumo); dei rifiuti (relazione sinergica allevamento-coltivazione), delle acque (colture poco energivore); uso di cultivar tradizionali legate ai caratteri climatici ai regimi delle precipitazioni locali; il mantenimento della complessità ecologica degli ambienti rurali (siepi, piantate, ciglioni, complessità e rotazione di colture, coltura promiscua, relazione sinergica fra reflui urbani, coltivazione e alimentazione delle città); i residui di trame agrarie e colture tradizionali come valenza connettiva e stepping stones (siepi, piantate, complessità dell’uso del suolo, densità delle trame come elemento di biodiversità: canali irrigui, vegetazione ripariale di fiumi e torrenti );

- la produzione di economie a base locale (reti corte fra produzione e consumo, filiere agroalimentari locali per la qualità alimentare); produzioni tipiche in paesaggi tipici, qualità alimentare; elementi fondativi della crescente domanda di mercato di sicurezza e qualità alimentare, di qualità paesaggistica;

- l’identità culturale dei luoghi: presenza di forme di mutuo soccorso e di scambi non monetari e solidali, tipici delle relazioni comunitarie negli usi civici;

- la qualità del paesaggio, la produzione energetica (minidraulica, biomasse locali) e cosi via.

Dunque la conservazione e la valorizzazione dei paesaggi rurali storici non è solo un problema di qualità estetica del paesaggio o di conservazione del patrimonio culturale e naturale: questa valorizzazione riguarda soprattutto il futuro della pianificazione territoriale verso lautosostenibilità dello sviluppo.

Il modo di produzione contadino e la retro-innovazione

A questi elementi caratterizzanti la multifunzionalità dell’agricoltura nei paesaggi rurali storici può attingere in forme selettive linnovazione, coniugando saperi tradizionali e saperi esperti per un uso appropriato delle tecnologie, elevando così la produttività complessiva del sistema rispetto alle diseconomie e agli squilibri del sistema agroindustriale. Dunque è necessario favorire la ricostruzione del modo di produzione contadino, le reti di piccole imprese familiari, cooperative e comunitarie, che sono in grado di ripopolare di senso paesaggi rurali storici in forme innovative di retro-innovazione [Marsden, Banks e Bristow 2002].

La pianificazione territoriale può promuovere questo processo contribuendo a supportare gli attori locali deboli, sia nelle aree montane e collinari, sia nei contesti agricoli periurbani, nella valorizzazione delle potenzialità patrimoniali del proprio territorio.

Questa inversione di tendenza verso il ripopolamento rurale è già in atto, nelle pieghe dell’onda lunga dei processi di urbanizzazione, a partire dalla crescita di soggetti e di “risorse da “innovazione” e “contraddizione”: queste energie si possono intravedere sia nelle forme di resistenza contadina [Carrosio 2009], ma anche nei processi di “ricontadinizzazione” generati dalla crisi dei modelli di vita metropolitani (immigrazione di ritorno, neoimprenditorialità agricola consapevole) nel senso del recupero di forme di agricoltura tradizionale sia dal punto di vista produttivo che della multifunzionalità dell’agricoltura, con la conversione di imprese tradizionali in forme ecologiche. Queste nuove forme di ruralità, che alludono a una generazione di “nuovi agricoltori” a valenza etica [Magnaghi 2010] sono leggibili nelle modalità di produzione e cooperazione tecnico-sociale, nel nuovo ruolo della piccola impresa famigliare nella riorganizzazione del commercio internazionale [Sachs e Santarius 2007], nelle esperienze di neoradicamento rurale [Berry 1996], nella crescita di reti corte fra produzione e consumo, nello sviluppo di orti periurbani e di mercati locali, nei processi di riduzione di input esterni (sementi, cultivar, macchinari, agenti chimici, flussi tecnico finanziari) sia in Europa [Carrosio 2005; van der Ploeg 2008], sia e soprattutto nelle esperienze di democrazia comunitaria dei popoli indigeni dell’America Latina [Le Bot 2008].

Questi percorsi in atto di ripopolamento rurale ancora flebili e in controtendenza rispetto all’onda lunga dei processi di urbanizzazione planetaria, vanno evidenziati, potenziati come base sociale e produttiva essenziale per la costruzione delle bioregioni urbane, collinari, montane e degli entroterra costieri. Occorre creare le condizioni economiche, culturali di servizi, di effetto urbano, di relazioni con la città per cui i nuovi giovani agricoltori possano costituire una componente sociale colta, relazionale, economicamente solida, che trova le ragioni per mettersi in marcia nel controesodo.

Per una civilizzazione agro terziaria

Siamo un popolo di montagna che si crede di pianura (Marco Paolini)

La futura società agroterziaria, che ha avviato l’edificazione verso una nuova civilizzazione collinare, montana e degli entroterra costieri, interpreta, a differenza della società industriale di pianura da cui proveniamo, il ruolo socialmente e culturalmente centrale del nuovo agricoltore che produce in modo colto e cosmopolita beni e servizi pubblici per l’intera bioregione, per i cittadini, per il benessere collettivo, traendo alimento culturale dai paesaggi rurali tradizionali.

Concludo con una tavola della “città di valle della val Bormida”(fig. 22) dove il progetto agroterziario si fonda sulla rivalorizzazione del sistema complesso dei centri urbani di fondovalle, mezza costa e di crinale, ognuno in equilibrio ambientale e paesistico con il proprio sistema territoriale (il fitto reticolo delle cascine e dei terrazzamenti da rivalorizzare) e connesso a rete con gli altri centri da relazioni materiali e immateriali. I paesaggi rurali storici e le loro regole riproduttive guidano il percorso di riprogettazione in chiave di “retro-innovazione” (fig. 23).

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DOI 10.1473/quadterr02
Storicamente 2012

Published: January 13th 2012

 

 


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