Storicamente. Laboratorio di storia

Dossier

Garantirsi dall’eccezione. Memoria rivoluzionaria e salvaguardia dei diritti nella Francia della Restaurazione

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Abstract

Dopo il crollo dell’impero napoleonico e il tramonto apparente di ogni residuo legame con l’ideologia rivoluzionaria, per molti ex rivoluzionari giunse il momento di un ripensamento sull’età appena trascorsa. L’Essai sur les garanties individuelles di P.-C.-F. Daunou, pubblicato per la prima volta nel 1818 e destinato ad una vasta fortuna editoriale, presentò così una rilettura militante del passato rivoluzionario, in cui la condanna delle storture compiute da specifici governi d’eccezione – da Robespierre a Napoleone – si accompagnò all’intento di indicare un programma per l’ordine appena inaugurato.

After the collapse of the Napoleonic Empire and the apparent end of all residual ties to revolutionary ideology, for many former revolutionaries the time came for a reassessment of the recently concluded age. The Essai sur les garanties individuelles of P.-C.-F. Daunou, first published in 1818 and destined for widespread success, presented a militant reinterpretation of the revolutionary past. In it, the condemnation of the distortions perpetrated by specific exceptional governments – from Robespierre to Napoleon – was accompanied by the intent to outline a program for the newly inaugurated order.

Introduzione: un’opera periodizzante

“L’Essai sur les garanties individuelles est, à notre sens, le meilleur livre de politique que l’on ait publié en France depuis Montesquieu” (Taillandier 1847, 254). La sentenza così generosa e impegnativa veniva pronunciata dall’avvocato francese Alphonse-Honoré Taillandier, rappresentante alla Camera dei deputati e intimo amico dell’autore del Saggio: Pierre-Claude-François Daunou. Al netto dell’accorata esaltazione del compagno ormai scomparso, l’Essai sur les garanties individuelles ha certamente rappresentato una delle opere politiche più conosciute e influenti della prima metà del XIX secolo.

Comparso, per la prima volta, sulle colonne del Censeur Européen nel 1818, il saggio venne pubblicato unitariamente solo nel 1819 (Daunou 1818a; 1818b; 1819) [1], per poi conoscere un successo straordinario e diffondersi su uno scenario di dimensioni atlantiche. Tra il 1821 e il 1848 si susseguirono traduzioni dell’opera in spagnolo, greco, tedesco e italiano, pubblicate da una parte all’altra dell’Oceano. A mantenere compatti i filamenti di una tela così ampia sta il movente alla base di ciascuna di queste pubblicazioni, che di volta in volta assumono la forma di un’arma retorica – e non solo – impugnata per portare avanti le rispettive rivendicazioni politiche, nazionali o proto-nazionali [2]. L’Essai si presenta così come un’opera a tutti gli effetti militante e non, come talvolta sostenuto, come l’ultima fatica di un ex rivoluzionario ormai disilluso, stanco della politica e scettico verso ogni possibile progresso [3].

I contenuti stessi dell’Essai dicono molto sull’identità politica e intellettuale del suo autore. Originario di Boulogne-sur-Mer (1761) e di formazione oratoriana, Daunou rappresenta una delle figure più emblematiche e, allo stesso tempo, eccezionali dell’età rivoluzionaria. Dopo aver preso i voti nel 1787 egli salutò con entusiasmo la convocazione degli Stati Generali e sostenne con convinzione la stessa Rivoluzione come scrittore e giornalista, come “sacerdote rivoluzionario” e, infine, come rappresentante politico. Emblematica la pubblicazione, già nel luglio 1789, di un pamphlet dall’evocativo titolo di Le Contrat social des Français, in cui il pensiero rousseauiano veniva messo al vaglio, approfondito e quindi sviluppato nella duplice ricerca di leggi politiche universali e di norme particolari adeguate alla propria madrepatria (Daunou 1789) [4]. Ciò che importa sottolineare in questa sede è che già nel momento in cui si inaugurava la lunga riflessione politica erano ben saldi i principi che ne costituirono sempre gli assi portanti:

La vie, la liberté, la propriété des biens, tels sont les droits sacrés de l’individu. C’est évidemment pour que leur conservation devînt plus facile, que l’on dut instituer des Sociétés. Le Contrat par lequel les hommes auraient renoncé à ces droits est visiblement impossible (Daunou 1789, 2).

Tra tante evoluzioni, cambiamenti e persino contraddizioni che contraddistinguono il pensiero, l’azione e la vita di Daunou e di molte altre girouettes che hanno animato l’era rivoluzionaria, nel caso dell’ex oratoriano mai mutò – ma anzi, al contrario, si rinsaldò sempre di più – la particolare sensibilità rivolta al rispetto e, quindi, ai meccanismi di garanzia dei più essenziali diritti individuali [5].

Così, nel corso della sua esperienza alla Convenzione, pur riconoscendo la sua colpevolezza egli si oppose al processo a Luigi XVI non solo per l’ingiustificabile lesione del principio della separazione dei poteri che comportava quella procedura speciale, ma anche e soprattutto per la violazione delle più essenziali garanzie giudiziarie a cui anche l’ex monarca, come ogni altro cittadino, aveva diritto [6].

Dopo lo smantellamento del Terrore e l’uscita da una lunga e difficile prigionia, Daunou divenne uno dei personaggi centrali della stagione termidoriana e quindi degli anni direttoriali, contribuendo in prima persona alla stesura della Costituzione dell’anno III [7] e ricoprendo ruoli politici apicali sia in Francia sia nell’universo delle repubbliche sorelle. Persino l’ascesa napoleonica lo vide recitare un ruolo centrale, ricevendo dal generale in persona il compito di redigere una delle versioni costituzionali più avanzate prima della definitiva rielaborazione della futura Costituzione dell’anno VIII [8].

All’interno di un pensiero in continua ridefinizione, che vedeva mutare, almeno nelle dichiarazioni ufficiali, il modello politico privilegiato – dalla monarchia costituzionale a una repubblica a forti tinte democratiche, decisamente sfumate in seguito alla riorganizzazione dell’anno III –, rimaneva irremovibile la priorità riservata ai diritti dell’individuo, intesi come patrimonio naturale intrinseco a ogni essere umano e quindi indisponibile a qualsiasi potere costituito.

Era proprio da questo saldo convincimento che derivavano le proteste del personaggio contro ogni provvedimento eccezionale, che in nome di circostanze emergenziali di varia natura avesse preteso di sospendere o annullare proprio quei principi fondanti. Così, anche quando il soggetto oppresso coincideva coi nemici più irriducibili – dai processi contro la queue de Robespierre [9] alle misure successive al colpo di Stato del 18 fruttidoro contro i presunti realisti –, Daunou non esitò mai a pronunciarsi a favore del più rigido rispetto delle forme giudiziarie legali e regolari, scevre da ogni passione o desiderio di vendetta.

Le tensioni legalistiche e la ricerca di procedure garantiste venivano a maturazione con la ferma opposizione ai progetti liberticidi del sempre più potente primo console, esemplificati dal piano di riforma del sistema giudiziario che, sulla scia della conspiration de la machine infernale (3 nivôse an IX-24 dicembre 1800) – rea, come noto, di aver attentato alla vita del generale –, mirava a stabilire dei tribunali speciali incaricati di pronunciarsi su una lunga serie di crimini, comportanti, in ogni caso, una “peine afflictive ou infamante” [10]. Come egli non avrebbe mancato di sottolineare, la natura stessa del progetto rappresentava una chiara violazione delle norme stabilite dalla Costituzione: le funzioni di jury d’accusation e di jury de jugement venivano infatti concentrate nelle mani di un unico tribunale, che avrebbe così svolto tre diverse funzioni – l’ammissione dell’accusa; il riconoscimento dell’eventuale delitto e l’applicazione della pena – senza lasciare all’imputato neppure il diritto di ricorrere presso il Tribunale di Cassazione. Dinanzi a una misura di carattere eccezionale e contraria, perlomeno, alla lettera della Costituzione, Daunou prendeva la parola dal suo seggio al Tribunato per proclamare la sua assoluta condanna di ogni interpretazione impropriamente estensiva del dettame costituzionale:

dans une Constitution, comme dans toute loi, les exceptions qu’on exprime, loin d’autoriser celles qui ne sont pas même indiquées, ne peuvent servir au contraire qu’à les exclure d’une manière plus rigoureuse, que la règle demeure intacte et inviolable dans tous les points sur lesquels on ne l’a pas restreinte (Archives parlementaires 1862-1913, vol. II, 222).

Questa infida tattica veniva respinta anche quando pretendeva di richiamarsi a un non meglio precisato “esprit protecteur” della Costituzione, ovvero alla prioritaria necessità di garantire ordine e sicurezza pubblica. Si trattava di principi e strategie alla base di ogni regime tirannico:

si l’on peut inférer de là qu’il sera constitutionnel de tendre à cet ordre et à cette sûreté, par les moyens les plus contraires à la Constitution elle-même, qu’il sera permis de se dispenser ou plutôt de se priver de ce qu’elle prescrit pour parvenir à de telles fins, et d’y substituer des mesures qu’elle condamne évidemment, n’est-il pas trop clair que dès lors il n’existe plus aucune garantie sociale, puisque assurément ce n’est point une que cette vague maxime de sûreté universelle, de salut public, qui a fondé toutes les tyrannies anciennes et modernes? (ivi, 224).

L’opposizione al disegno dell’anno IX diveniva poi l’occasione per tornare con la mente alla fresca esperienza rivoluzionaria, che invece aveva fatto un uso tragicamente massiccio della “politica dell’eccezione”:

si, dans nos Codes immenses, il fallait séparer et distinguer, par une dénomination particulière, toutes ces lois extraordinaires, révolutionnaires, spéciales, lois de circonstances, de sûreté générale, de salut public, je n’hésiterais pas à les intituler: Secrets pour éterniser les troubles et empêcher l’ordre de renaître sous l’empire des constitutions (ivi, 229).

Era, questo, solo il più clamoroso tra gli scontri che opposero Daunou al primo console, che da parte sua punì la sua pervicace resistenza allontanandolo dal Tribunato insieme ad altre figure, tanto illustri quanto scomode, come Benjamin Constant o Marie-Joseph Chénier [11]. Già agli albori del nuovo secolo, dunque, le garanzie dei diritti individuali costituivano per il futuro autore dell’Essai uno degli obiettivi fondanti di ogni ordinamento pubblico, che per potersi mantenere stabile e duraturo non avrebbe mai dovuto allontanarsi da una legislazione ordinaria, regolare e costituzionale.

Teoria e pratica: la struttura dell’Essai

Se le scaturigini di questo orientamento fondamentale si radicavano negli anni rivoluzionari, spettava comunque all’opera del 1818 il compito di riunire in un disegno complessivo e coerente la riflessione politica e sociale dell’autore. La maturazione e la messa a punto di un saggio di natura eminentemente politica in questo preciso momento storico non costituiva un fatto né casuale né eccezionale. Tra la fine degli anni Dieci e l’inizio degli anni Venti del XIX secolo, altri intellettuali di spicco che, come Daunou, univano la vocazione intellettuale a un costante impegno politico, si sperimentarono in opere complessive in cui tentarono di tirare le fila dell’esperienza rivoluzionaria e di proporre lo schema per un ordine pubblico legittimo e, auspicabilmente, definitivo. Si trattava, perdipiù, di figure con cui Daunou era entrato in contatto e con cui aveva tessuto legami ideologici talvolta profondi. Da Benjamin Constant [12] – che in quegli anni dette alle stampe il Cours de politique constitutionnelle e, soprattutto, pronunciò il celeberrimo discorso all’Athénée royal di Parigi (Constant 1818-1820; 1874) – a Destutt de Tracy [13] – che nel 1819 pubblicò in francese il Commentaire sur l’Esprit des lois de Montesquieu –, per arrivare a Jean-Denis Lanjuinais, che nello stesso anno del celebre saggio constantiano propose una rilettura complessiva, sotto la lente costituzionale, dell’esperienza rivoluzionaria (Lanjuinais 1819) [14].

Dopo il tramonto della Rivoluzione e la definitiva eclissi dell’astro napoleonico, la Francia era faticosamente riuscita a fondare un ordine politico che solo in parte riusciva a recuperare un passato ormai irrimediabilmente perduto. Se la Carta ottriata rilanciava la figura del monarca quale dominus dello Stato, quest’ultimo risultava profondamente diverso dai re di Antico regime [15]. Accanto alla sua autorità esistevano una Camera dei Deputati, una Camera dei Pari e, soprattutto, una serie di diritti – dalla libertà individuale alle garanzie giudiziarie, dalla libertà di coscienza alla libertà d’opinione – sanciti dalla stessa Charte e indisponibili a qualsiasi potere pubblico.

Come emerge chiaramente dall’analisi dei contenuti dell’Essai, pur non costituendo l’ideale, il documento del 1814 rappresentava comunque un compromesso ragionevole e, soprattutto, realizzabile a cui molti dei protagonisti dei passati eventi rivoluzionari finirono per adeguarsi. Dopo l’asfittica parentesi napoleonica, il ristabilimento – almeno sulla carta – di precisi diritti civili e, persino, di un pur limitato grado di partecipazione politica sembrava, nella mente di molti, già un progresso non irrilevante.

Per comprendere la ragione precipua che avrebbe spinto un discreto numero di autori a tornare a impegnarsi in opere di stampo politico sul finire della seconda decade dell’Ottocento possiamo partire dall’Avis che precedeva la terza edizione dell’Essai di Daunou e che diceva molto anche del movente originario:

Les deux premières éditions de cet Essai ont paru en 1818 et en 1819. On espérait alors que les lois d’exception allaient être bientôt abolies; on croyait toucher au moment du parfait rétablissement des garanties sociales. […] L’auteur de cet écrit, appelé en 1819 à siéger dans la Chambre des députés, est contraint d’avouer qu’il y a vu prendre durant quatre sessions consécutives, beaucoup de résolutions inconciliables, du moins à ses yeux, avec la Charte (Daunou 1822, I, IV).

L’Essai sur les garanties individuelles, così come le opere accostabili per temi e finalità, sembra dunque nascere dal rilancio di un impegno politico attivo e, soprattutto, dalla percezione che l’ordine appena fondato fosse già minacciato da progetti e provvedimenti contrari alle più essenziali norme costituzionali. Il chiaro riferimento alla sua esperienza da deputato permette poi di comprendere come nell’ottica di Daunou l’opera stessa non costituisse un semplice e dottrinario saggio di politica, bensì – analogamente all’uso che ne sarebbe stato fatto dai suoi molti traduttori – una bussola ideologica da far valere per sostenere attivamente i principi proclamati. La natura composita dell’opera si rifletteva nella sua struttura bipartita, composta da una prima parte di carattere più teorico e da una seconda in cui, invece, la focalizzazione si spostava sulle diverse, possibili modalità dell’applicazione dei principi enucleati.

Come risaltava sin dal titolo, il concetto intorno a cui ruotava l’intera opera era quello di garanzia. Garanzia, ovvero difesa, innanzitutto, rispetto ai possibili abusi da parte dell’autorità pubblica, che oltre a non svolgere la sua funzione fondamentale di garante dei più essenziali diritti dell’individuo avrebbe potuto addirittura trasformarsi in attentatrice. Il termine garanties finiva così per indicare il solo limite imponibile all’autorità pubblica, ovvero “l’engagement qu’elle prend de s’en abstenir, et les institutions qui l’obligent en effet d’y renoncer” (ivi, 3). Le “istituzioni” individuate come argine invalicabile per i poteri dello Stato consistevano in altrettanti principi di diritto: la sicurezza delle persone, la sicurezza delle proprietà, la libertà economica, la libertà di opinione e la libertà di coscienza.

Se questi cinque pilastri indicavano l’estensione massima delle possibili rivendicazioni da parte dei governati, il fine ultimo dell’Essai consisteva nella dimostrazione che il rispetto di questi principi finiva per divenire una premessa indispensabile per lo stesso governo, che solo così avrebbe potuto sostentarsi e radicarsi senza scosse o disordini.

Era proprio la memoria della Rivoluzione che avrebbe dovuto ammaestrare i governanti sulla via da intraprendere per sfuggire a una spirale di atti arbitrari e di provvedimenti eccezionali che non poteva che risolversi nel rovesciamento dell’ordine costituito:

Une révolution, lors même qu’elle a pour but le rétablissement des garanties individuelles, ne les donne jamais tant qu’elle dure. L’ambition, la cupidité, la haine, la vengeance, toutes les passions malfaisantes s’emparent de ces mouvemens; et dans ce long tumulte où sont égarés, écrasés tour-à-tour les vaincus et les vainqueurs, si quelques voix redemandent l’ordre et la sûreté, leurs conseils sont déclarés ou perfides ou intempestifs: les circonstances périlleuses que des lois régulières et garantissantes pourraient seules faire cesser, deviennent l’argument et le refrain banal qui sert à proclamer chaque renouvellement de l’injustice et du désordre. En vain, depuis trente ans, les actes arbitraires se seront, en divers sens, multipliés à tel point qu’il ne restera plus personne, pas un seul citoyen, qui n’en ait été une ou plusieurs fois la victime: le pouvoir d’en commettre encore continuera d’être périodiquement réclamé comme un moyen, un gage de salut public (ivi, 24-5).

È facile riconoscere la disillusione e l’amarezza suscitate dal ricordo di un’esperienza caratterizzata anche da sconfitte, calunnie e momenti drammatici. E tuttavia, il principale obiettivo polemico non consisteva nella Rivoluzione come fatto storico, ma nell’elezione dello stato rivoluzionario a politica abituale e privilegiata di un ordinamento. Di qui la distinzione fondamentale tra uno Stato regolare – connotato da una politica rispettosa del dettame costituzionale e delle garanzie dell’individuo – e uno rivoluzionario, ovvero d’eccezione, invocato in nome di variabili cangianti, sempre presentate come straordinarie e momentanee eppure, puntualmente, pronte a stabilizzarsi e a trasformarsi in altrettanti elementi cronici della società [16].

Dinanzi a una Rivoluzione che, pur non venendo rinnegata nei suoi principi, non poteva (più) rappresentare il modello a cui ispirarsi, la via da seguire risultava in fondo molto più semplice e sicura. Avvalendosi di una Costituzione già in vigore e che già sanciva chiaramente le cinque garanzie, sarebbe bastato che “cette loi fût fidèlement établie, littéralement observée par ceux qui l’ont faite” (ivi, 8-9) per poter finalmente stabilire il miglior ordine politico possibile per la particolare realtà storica in cui si muoveva la Francia.

Terminata la parte teorica, l’analisi di Daunou si dedicava a una classificazione dei diversi tipi di governo a partire dal tipo di trattamento riservato ai cinque pilastri fondamentali. Contrariamente a quanto sembrasse alludere l’azzardato parallelismo di Taillandier, per l’antico convenzionale l’opera di Montesquieu non costituiva affatto un modello assoluto: il suo intento non era, infatti, la presentazione dell’ennesima descrizione dei sistemi politici classici: “Assez d’autres ont raisonné sur la monarchie, l’aristocratie et la démocratie” (ivi, 146). La via analitica intrapresa era più semplice e diretta, e consisteva nel ritenere un governo eccellente o pessimo, “quel que soit son nom” [17], a seconda che avesse accettato o rigettato le garanzie individuali. Dimostrando una buona dose di realismo, frutto postumo dell’esperienza rivoluzionaria, l’autore sceglieva dunque di non vincolare la bontà di un governo [18] alla sua particolare natura politica. Benché il suo ideale rimanesse la causa repubblicana, il contesto storico francese successivo alla caduta di Napoleone non permetteva al deputato ormai navigato di sperare in un suo prossimo ristabilimento. Di qui la ricerca della soluzione migliore tra quelle realizzabili, che avrebbe permesso a ciascuno, anche sotto la riabilitata monarchia, di godere dei raggiungimenti essenziali di quella Rivoluzione ormai lontana eppure sempre presente.

L’assoluto negativo: tracce e testimonianze di un passato più o meno antico

La prima categoria individuata si componeva di tutti quei governi “qui refusent expréssement les garanties individuelles” (ivi, 147). Mettendo subito in chiaro la natura pratica e militante dell’analisi, Daunou si rivolgeva subito agli esempi storici più rappresentativi di questa riprovevole forma di organizzazione pubblica: se il riferimento alle monarchie assolute appare del tutto naturale, decisamente più problematico è l’inserimento dei passati esperimenti repubblicani all’interno di questa prima sezione. Mentre l’intero modello antico, tanto monarchico quanto repubblicano, era contaminato dal tarlo della schiavitù, il vulnus fondamentale della forma repubblicana consisteva nella focalizzazione sul piano della partecipazione politica dei cittadini, senza che i diritti civili e attinenti a una dimensione privata ricevessero lo stesso grado d’attenzione o di tutela. Riproponendo una griglia di lettura del tutto analoga a quella che, proprio in quegli anni, Constant portava alla ribalta nel celebre discorso all’Athénée royal, nel mondo antico descritto da Daunou ogni cosa “était sacrifié à des intérêts généraux qu’on envisageait comme distincts de tous les intérêts particuliers, et qui fort souvent en effet se conciliaient mal avec eux” (ibidem).

Si trattava di un punto fondamentale nell’economia dell’opera, come si evince da un passo subito successivo inserito solo nella III edizione dell’Essai: “Cette abstraction fatale, ces idées ou plutôt ces mots de salut public, de force ou de sureté de l’état, ont causé les malheurs d’une longue suite de générations antiques” (ivi, 147-8). Prendendo a modello il caso antico, ma pensando, in primo luogo, alla fresca esperienza della Rivoluzione, Daunou non poteva evitare di vedere nell’esaltazione degli interessi generali a discapito di quelli privati la prima fonte di dissensi, scontri e lotte politiche, che sembravano quasi “la condition nécessaire de leur existence, de leur énergie, et de l’éclat dont elles aimaient à se couvrir” (ivi, 148); in una parola, l’anticamera di un governo d’eccezione, che non avrebbe mancato d’instaurarsi in nome della salut public.

Si trattava, con ogni evidenza, di una lettura agli antipodi di quella proposta da Machiavelli nei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, in cui proprio le lotte politiche e “la disunione della Plebe e del Senato” [19] avevano costituito una premessa insostituibile per l’ascesa della Repubblica. Daunou, che pure ben conosceva il pensiero dello scrittore fiorentino, era portato al contrario a vedere in ogni partito, tanto antico quanto moderno, una fazione, ovvero un’aberrazione che inevitabilmente allontanava dalla sola e unica verità razionale, a cui ogni spirito illuminato e in buona fede non avrebbe potuto che esser ricondotto. Così, le stesse repubbliche italiane medievali, pur riconosciute come la forma politica più avanzata dell’epoca, condividevano con quelle antiche il disinteresse quasi totale per ogni tipo di tutela dei diritti individuali, dalla sicurezza alla proprietà, alle libertà fondamentali.

Si trattava di temi e questioni che Daunou aveva parallelamente sviluppato all’interno di tre lunghe recensioni composte tra il 1817 e il 1818 e dedicate alla Histoire des Républiques italiennes du Moyen Âge di Sismondi [20]. Al di là di un generale apprezzamento per l’opera storica sismondiana, era stata questa l’occasione per evidenziare anche dissensi e contrasti che, pur collocandosi sul piano storico, si legavano naturalmente alla più cogente dimensione politica.

Il [Sismondi] est obligé de convenir que les Italiens du moyen âge n’avoient à à-peu-près aucune idée des garanties individuelles, dans lesquelles la véritable liberté consiste. A peine avoient-ils songé à pourvoir à la sûreté des personnes et des propriétés: bien moins encore aspiroient-ils à la liberté de l’industrie, des opinions et des consciences. L’exercice des droits de cité, la part que chaque citoyen devoit avoir aux élections et déliberations publiques, voilà presque l’unique sens qu’ils attachoient au mot liberté; et s’il falloit indiquer la cause la plus générale de tous leurs désastres après et avant 1492, nous serions fort enclins à la trouver dans cette erreur (Daunou 1818c, 176).

La stessa avversione alle lotte politiche intestine rivelava chiare connessioni con questioni di evidente attualità, mirando innanzitutto a confutare le posizioni di quanti, in Francia, avrebbero voluto veder affermato un parlamentarismo sul modello inglese, basato proprio sulla dialettica politica tra maggioranza e opposizione.

Je ne conçois donc point les avantages d’une opposition dont le principal rôle est de contredire les ministres; et l’unique but de les renverser. Tant qu’elle n’y réussit point, les abus et la discorde subsistent; mais quand devenue, de minorité, majorité, elle repousse en effet quelque important projet de loi, les ministres qui l’ont proposé tombent, leurs successeurs sont pris dans l’opposition et conduisent à leur tour les affaires jusqu’à ce qu’une opposition nouvelle qui se forme bientôt contre eux, parvienne à les culbuter [sic] (Daunou 1822, 217).

E tuttavia, nonostante i difetti congeniti e le possibili derive, la forma repubblicana non veniva condannata in quanto tale. Di essa, anzi, veniva riconosciuta la capacità di sviluppare le forze morali dell’uomo e di fecondare la virtù e l’eroismo. La necessità di mostrarne i limiti storici serviva al repubblicano Daunou non solo a non replicarli, ma soprattutto a dimostrare come, dopo l’eclissi della Rivoluzione, sembrassero ormai tramontate le condizioni sociali e morali – oltreché politiche – per una sua nuova instaurazione in Europa: “les mœurs, les habitudes, les idées qu’il suppose sont perdues sans retour: des travaux plus divisés, une industrie plus active, un commerce plus étendu, des connaissances plus précises, ont donné d’autres besoins, et imprimé une toute autre direction aux peuples actuels de l’Europe” (ivi, 148).

Come nel caso del movimento rivoluzionario, non si trattava di disconoscere un principio, ma di prendere coscienza che la strada da percorrere per la Francia della Restaurazione doveva necessariamente essere diversa. Non era stata, tuttavia, un’esperienza passata invano: la Rivoluzione del 1789 veniva presentata come un impulso nazionale, unanime e pienamente positivo, che attraverso l’appoggio popolare aveva potuto realizzare un profondo rinnovamento a dispetto della volontà del governo in carica.

Dalla rilettura delle origini e delle cause del movimento rivoluzionario Daunou aveva quindi buon gioco a dimostrare che per conservare ordine e stabilità dinanzi a un popolo rischiarato come quello francese non si poteva ormai prescindere dal riconoscimento di quelle garanzie individuali a cui, al di là della specifica forma di governo, quello non avrebbe più rinunciato. Era quindi il progresso dei lumi a rendere il ristabilimento di un dispotismo tradizionale un’eventualità irrealizzabile. L’aspirante, nuovo despota avrebbe avuto un’unica strada da perseguire: far risprofondare il popolo nella più completa ignoranza, soggiogandolo a livello mentale e culturale prima ancora che politico.

Qu’un aventurier vienne à usurper la puissance suprême, il s’empressera de recueillir les noms, les images, tous les débris de ces institutions ferrugineuses, et s’efforcera d’en recomposer, pièce à pièce, l’édifice effroyable. Il replongera les arts eux-mêmes dans cette barbarie, vous reverrez des usages, des costumes, des décorations gothiques; vous n’entendrez parler que de Charlemagne, de paladins, de seigneurs châtelains, de chevaliers et de troubadours. On vous vantera la naïveté des productions les plus insipides, et des mœurs qui réellement furent aussi licencieuses, que serviles, vous seront données pour emblèmes de la courtoisie et de l’honneur (ivi, 155).

Questa cruda descrizione, dietro la quale i contemporanei potevano riconoscere l’allusione a figure di più o meno recenti novelli tiranni, diveniva ancora più esplicita nel momento in cui l’autore indicava nella violenza e nella forza gli unici due strumenti capaci di far regredire i lumi di un popolo fungendo così da perno per nuovi dispotismi: “L’audace et la violence peuvent amener des rétrogradations rapides; une expérience récente a prouvé qu’on peut reculer, en douze ans, d’un espace immense” (ivi, 163).

Tutto ciò serviva a Daunou per concludere che le uniche due strade per assicurare ordine e stabilità a un assetto pubblico consistevano, da un lato, nella concessione delle garanzie fondamentali e, dall’altro, nella cancellazione più totale di ogni lume o pretesa di libertà. Come dimostravano i secoli successivi al risveglio culturale del XV secolo, “Entre ces deux termes, il n’y a que vicissitudes, jamais de stabilité” (ivi, 153).

Le continue e appena velate allusioni all’odiata figura dell’ex imperatore costituivano però la naturale premessa all’introduzione di una forma di governo spuria, diversa dall’assoluta accettazione o negazione delle garanzie e, per questo, ancor più insidiosa e terribile: “proclamer solennellement ces garanties, mais à les rendre illusoires par des lois d’exception ou de circonstances” (ivi, 168).

Tra norma ed eccezione

Se i regimi politici più o meno antichi descritti in prima battuta costituivano gli emblemi di un’organizzazione viziosa nella sua forma regolare, ossia statutariamente, più subdolo e minaccioso era quell’ordinamento la cui cifra caratterizzante era l’eccezione tramutata in norma, la sospensione solo all’apparenza provvisoria di un ordine che, se rispettato, avrebbe potuto assicurare il pieno godimento dei più essenziali diritti dell’individuo [21].

Era proprio contro questo spettro che si concentravano i timori dell’autore, che aveva potuto vivere in prima persona lo stabilimento di un ordine così camaleontico e ingannevole. In un certo senso, l’intera impalcatura dell’Essai era volta ad allontanare una volta per tutte la possibilità un ristabilimento di questo temibile schema politico. Più che il dispotismo nudo e crudo – che avrebbe necessitato di un irrealistico arretramento culturale – o un repubblicanesimo tradizionale ormai fuori tempo massimo, la minaccia più reale e incombente era proprio un ordinamento che riconoscesse formalmente ogni garanzia individuale, salvo poi disconoscerle e violarle attraverso continue legislazioni provvisorie e provvedimenti ad personam. Era proprio in questa analisi che emergevano in maniera più vivida e drammatica i ricordi di un trentennio caratterizzato, certo, da conquiste fondamentali, ma anche da abusi, violenze e aberrazioni, responsabili della corruzione dell’originario spirito libertario della Rivoluzione.

Daunou esplicitava sin dall’esordio del capitolo quale fosse la principale esperienza storica di questa infida forma di governo: “On a fait en divers temps et en divers pays des essais de ce régime; mais jamais il ne s’est mieux établi en France que depuis 1800 jusqu’au mois de mars 1814. Alors il ne restait, des garanties sociales et du système représentatif, d’autres vestiges que leurs noms” (ivi, 169). Benché persecuzioni e violenze anche più sanguinose avessero scosso la patria della Rivoluzione negli anni del Terrore, spettava all’età napoleonica la triste palma della stagione storica che con più successo aveva portato avanti l’opera di asservimento culturale e politico non solo della Francia, ma di gran parte dell’Europa. E, ciò che era più grave, aveva compiuto tutto ciò rimanendo legata, almeno nominalmente, ai principali diritti e istituzioni della stessa Rivoluzione. Si trattava, certo, di un’impressione fallace, utile a convincere i meno avvertiti che niente fosse cambiato. In realtà, le più alte istituzioni politiche, dal docile Senato Conservatore alla “prétendue assemblée représentative où le gouvernement seul est représenté” (ivi, 178), fino al Consiglio di Stato – corpo che, unendo funzioni legislative, ministeriali, amministrative e giudiziarie appariva “réellement indéfinissable, et incompatible par sa nature avec une constitution proprement dite” (ivi, 185) –, non erano servite, in ultima istanza, che a legittimare col falso marchio della volontà nazionale il volere di un unico uomo. Il motto fondamentale di un simile ordinamento era quello che era valso per le proprietà private: “Il sera défendu, non de les attaquer, mais de s’apercevoir qu’on les attaque” (ivi, 172). Attraverso continue finzioni e innumerevoli mascheramenti, si era arrivati a smentire chiaramente il testo costituzionale attraverso il dettame di semplici leggi, col risultato di affossare sempre di più l’autorevolezza della Carta fondamentale, che “n’est évidemment rien du tout,si ce n’est pas la loi de toutes les autres loi” (ivi, 173).

La costante ricerca di assicurare un ordine stabile, regolare e legale veniva quindi a perdersi di fronte allo sgretolamento del testo che, più di ogni altro, avrebbe dovuto assicurarlo. Testimoniando la profonda continuità a livello delle proprie convinzioni più intime, malgrado i tanti rivolgimenti vissuti e spesso subiti, Daunou ripresentava così a distanza di quasi un ventennio il giudizio finale e complessivo su una simile conformazione di governo bipartito:

Dans l’hypothèse dont nous parlons, il y a simultanément deux régimes opposés; l’un constitutionnel, l’autre révolutionnaire; car ce nom barbare est le seul qui convienne à des caprices suggérés par des circonstances mobiles. Le premier n’est que de simple apparat; il fournit des noms à quelques autorités, des intitulés à leurs actes, des formes ou formules à leurs déterminations. Le second imprime en effet les mouvemens, et bien qu’il se cache le plus qu’il peut, c’est lui seul qui se fait sentir (ivi, 174) [22].

A nessuno poteva sfuggire che nell’analisi di questi temi l’autore raccontasse molto di sé e della propria esperienza. Così, rispondendo all’obiezione di quanti avrebbero potuto domandarsi in che modo i custodi delle libertà e dei diritti fondamentali avessero potuto permettere il loro totale annichilimento, Daunou sottolineava come ogni voce discordante fosse stata schiacciata e persino ridicolizzata:

Bientôt même, ils s’applaudissent d’avoir conçu une idée si transcendante de la nature de leurs fonctions, et prenant en pitié les esprits vulgaires qui persévèrent à conseiller la franchise, l’ordre, la justice. Ils rougiraient de redescendre dans la sphère des hommes à principes, des spéculateurs sans expérience, des partisans de théories abstraites (Daunou 1822, 191).

Tornando con la mente alla battaglia contro la deriva autoritaria portata avanti all’alba del XIX secolo, Daunou riproponeva quasi alla lettera parole e temi adoperati dal grande generale e dai suoi portavoce per squalificare la tenace opposizione del circolo degli idéologues [23], i cui membri furono oggetto a più riprese di giudizi infamanti e denigratori: da rêveurs oisifs a puri métaphysiciens, fino a semplici e inutili chercheurs d’idées [24].

Da tutto ciò derivava la paradossale sentenza che portava Daunou a preferire la schiettezza e i metodi apertamente dispotici del dispotismo tradizionale, che non pensava a ricoprire con una patina menzognera gli strumenti autoritari del suo governo.

Il se prononce assurément beaucoup de sentences injustes sous le pur despotisme; mais si quelqu’un écrivait jamais les annales des iniquités judiciaires, les époques qui fourniraient le plus de matériaux à cette histoire, seraient encore celles où des gouvernemens infidèles rendaient illusoires les garanties qu’ils avaient promises. Ce régime, quelque couleur et quelque direction qu’il prenne, qu’il soit démagogique ou dictatorial, révolutionnaire ou réactionnaire, est, par son essence, celui du mensonge, de l’effronterie, et de la cruauté […]. Les procès d’état se multiplient sans mesure, plus arbitraires, plus irréguliers que sous la monarchie absolue; et l’on est tenté de regretter les procédures secrètes, qui couvraient au moins tant de scandales (Daunou 1822, 188).

La sola speranza per il cultore delle libertà era la debolezza intrinseca di questa organizzazione pubblica, che pretendendo di unire in un abbraccio terribile due forme di governo inconciliabili fomentava sempre di più al suo interno contrasti e tensioni destinati prima o poi a esplodere, sprofondando così “dans une route obscure et tortueuse qui n’a que deux issues, l’abyme du despotisme, ou l’abyme d’une révolution” (ivi, 196).

L’alternativa essenziale per la Francia della Restaurazione consisteva allora nell’alternativa tra un governo realmente costituzionale e la riproposizione di un ordine ambiguo, bifronte e terribile, volto a tenere in un impossibile equilibrio l’ordine regolare e quello rivoluzionario, inteso come stato governato dall’eccezione permanente. Sebbene ne costituisse la massima esemplificazione storica, l’era napoleonica non costituiva, infatti, l’unica sperimentazione di una simile forma di governo. L’inclusione nella sua configurazione politica dei caratteri di anarchia e rivoluzione mascherava appena una seconda e diversa esperienza di governo d’eccezione tristemente sperimentata dall’autore: “Mais, dites-vous, les circonstances! Quoi! ce refrain suranné aurait encore quelque crédit! Quand, au nom du peuple et de sa liberté, d’insensés démagogues règnent par la terreur, et couvrent tout un pays de sang et de cendres, ils disent que cet épouvantable brigandage est exigé par les circonstances” (ivi, 194-5) [25].

Il ricordo, dunque, andava alla dolorosa esperienza del Terrore, che aveva retto le sorti della Francia attraverso misure d’eccezione, persecuzioni politiche e provvedimenti liberticidi, tutti sorretti dai continui appelli alla salute pubblica, alla sicurezza e alla sopravvivenza della stessa Nazione. Un meccanismo di governo teoricamente precluso da una Costituzione che, tuttavia, come noto, si era intenzionalmente stabilito di non mettere in vigore, sospendendo così ad libitum ogni forma di diritto e di garanzia [26].

Ma ciò che rendeva queste pagine di cogente attualità era la terza e ultima configurazione di questa ingannevole forma di governo, che sembrava pericolosamente coincidere con dinamiche e meccanismi vissuti in Francia dopo la caduta dell’“usurpatore”. Il riferimento alle ritorsioni e alle rappresaglie portate avanti da fazioni tornate improvvisamente alla ribalta, intente a replicare gli stessi artifici e misure a lungo subiti in prima persona, testimoniava l’attualità e la militanza dell’opera, che mirava a intervenire in maniera diretta sulla vita pubblica tentando di prevenire l’ennesimo allestimento di un governo d’eccezione.

Era dunque a partire dalla percezione di uno scenario terribile, che sembrava avvicinarsi a grandi passi, che l’autore sceglieva di includere nella terza edizione dell’Essai una serie di discorsi che egli stesso aveva pronunciato alla Camera dei deputati a partire dal 1819 per opporsi a risoluzioni ritenute inconciliabili con la Carta [27]. Dopo la parte teorica e quella analitico-storica, i discorsi inseriti in appendice intendevano presentarsi come l’applicazione più fedele di questo particolare catechismo politico: “ils éclaircissent par des applications, les principes généraux établis dans l’Essai sur les Garanties” (Daunou 1822, 4) [28].

Di particolare interesse è il quarto documento accluso, che consisteva in due interventi pronunciati tra il 10 e il 13 marzo 1820 alla Camera dei deputati in opposizione a un progetto di legge che, permettendo al Consiglio dei ministri di procedere ad arresti e detenzioni attraverso la firma di almeno tre ministri, avrebbe introdotto un vero e proprio “régime discrétionnaire”. Avendo vissuto sulla propria pelle l’esperienza di un corso ciclico della Storia e dello sviluppo delle varie forme di governo, il deputato francese denunciava i sostenitori di quella “loi d’exception”, che mentre assalivano “la première des garanties personnelles, la plus fondamentale des lois de l’état”, sembravano recuperare gli epiteti denigratori di ascendenza napoleonica, accusando i difensori di un ordine legale e costituzionale “d’aspirer à une perfection chimérique” (ivi, 315).

Se molte delle istituzioni rivoluzionarie erano state abbattute o comunque profondamente rielaborate tra l’Impero e i primi anni della Restaurazione, a rimanere immutata era la cornice storica complessiva e le sue dinamiche più profonde.

Certes! si l’arbitraire illimité pouvait maintenir la tranquillité d’un état, la France jouirait depuis longtemps d’une paix inaltérable. Car sans remonter aux époques où son bonheur était garanti par des lettres de cachet, nous n’avons jamais manqué, depuis trente ans, de ces exceptions indéfinies, de ces suspensions parfaites qui devaient nous préserver de tous les périls de la liberté individuelle, ou, disait-on, la fonder elle-même à force de la comprimer et de la mutiler (ivi, 316).

Non variava, ma anzi si riproponeva sotto vesti sempre nuove, quel particolare meccanismo che portava un ordine regolare appena stabilito a vacillare e quindi a perdersi sotto i colpi di provvedimenti eccezionali, di dispositivi presentati come provvisori ma pronti a radicarsi e corrompere le radici del regime costituzionale.

Attraverso le pagine dell’Essai, così come dai discorsi parlamentari pronunciati nel lungo arco di vent’anni, emerge un’immagine della Storia diversa, o perlomeno complementare, rispetto all’interpretazione prevalente che aveva dominato il secolo dei Lumi e quindi l’età rivoluzionaria. Piuttosto che la riprova di un progresso graduale ma indefinito, i decenni a cavallo tra i due secoli avevano dimostrato un ciclo di creazione, corruzione e distruzione di regimi, tutti, se non ideali, perlomeno accettabili nelle loro premesse. In ciascuna di queste particolari anaciclosi, era l’eccezione, elevata a bussola governativa, ad aver rappresentato l’innesco decisivo per la regressione, destinata a sua volta a sfrangersi sotto il peso delle proprie contraddizioni e, soprattutto, di un’opinione pubblica che, con tempi diversi ma immancabilmente, si sarebbe infine sollevata [29].

La coesistenza e l’ibridazione tra principi e modelli politici antichi e moderni si pone dunque al cuore della struttura dell’opera, che nell’ennesimo momento fondativo per la Francia esprimeva la sensazione di trovarsi dinanzi a scenari già vissuti, a sfide e questioni di antica origine.

Un modello per il presente e per il futuro

Dopo aver presentato le due forme di governo patogene, veniva infine il momento di occuparsi dell’unica organizzazione pubblica ammirevole, realmente capace di assicurare la sicurezza, la proprietà, e le libertà fondamentali degli individui. Sebbene, come più volte sottolineato, questo genere di ordinamento non risultasse affatto legato a una specifica forma di governo tradizionale, affinché la menzionata tutela risultasse efficace ed effettiva si rendevano necessarie tre istituzioni imprescindibili, coincidenti con quelle messe all’angolo e quasi azzerate dai primi due tipi di governo. Mentre l’istituto del jury – consistente nel coinvolgimento di privati cittadini per la verifica dei fatti che potessero costituire crimini – e l’assoluta inamovibilità (e quindi indipendenza) dei giudici riguardavano l’ambito giudiziario, la terza condizione era totalmente focalizzata sul piano legislativo. Quest’ultima consisteva infatti in un’assemblea di rappresentanti chiamata a dare il suo assenso a ogni nuova imposta, prestito o promulgazione di legge; ma, soprattutto, impegnata in un’indefessa opera di sorveglianza e tutela delle garanzie individuali nei confronti di qualsiasi progetto di legge. Quest’ultimo requisito presupponeva l’organizzazione di periodiche elezioni libere, che avrebbero coinvolto “les véritables actionnaires de la société” (ivi, 206), ovvero quanti avessero un interesse evidente verso il buon andamento della cosa pubblica. Le specifiche condizioni per stabilire l’elettorato attivo e passivo potevano variare a seconda del paese e della popolazione, ma l’elemento essenziale era che, una volta stabilite dalla Charte, esse non potessero essere intaccate da una legislazione ordinaria [30]. Oltre a dichiararle e a creare i mezzi per difenderle, affinché un governo fosse davvero in grado di rispettare le garanzie fondamentali dell’individuo diveniva fondamentale affidare questi strumenti a chi li avrebbe sempre utilizzati solo a questo fine. Ripercorrendo, ancora una volta, la lunga e tormentata esperienza politica, Daunou rileggeva l’intera epoca rivoluzionaria e napoleonica attraverso questa triplice lente, constatando che in nessun caso si era arrivati al completo rispetto dei tre requisiti:

Presque toutes les constitutions qui ont été faites depuis 1789 ont satisfait à la première de ces conditions et même aussi à la seconde. Quant à la troisième, il y a lieu de penser qu’elle ne saurait être pleinement assuré par aucune sorte de combinaisons politiques et de dispositions législatives. Elle suppose un très-bon choix de représentans, et ce choix dépend des lumières publiques, de l’état des opinions et des dispositions sociales (Daunou 1822, 216-7).

Solo una continua e progressiva diffusione di conoscenze e lumi nella popolazione avrebbe permesso all’Assemblea rappresentativa di divenire “la limite extérieure” del governo, che in tal modo, anche desiderandolo, non avrebbe potuto divenire dispotico se non ricorrendo all’uso esplicito della forza e della violenza. L’Assemblea rappresentativa, pur depotenziata rispetto al canone rivoluzionario, rimaneva così uno dei perni fondamentali dell’ordinamento, il primo garante dei diritti individuali: “Elle ne gouverne point, n’empêche point de gouverner, elle empêche d’opprimer” (ivi, 211-2).

Questo programma politico essenziale, pensato innanzitutto per la Francia nuovamente coronata, si presentava come un prontuario fondamentale per qualsiasi popolo che, in futuro, avesse voluto rinsaldare e rendere stabili i propri diritti. E così, di fatto, sarebbe stato letto, tradotto e quindi pubblicato in più occasioni. Particolarmente emblematico è il caso toscano del 1848, quando i firmatari pistoiesi di una Protesta contro i poteri eccezionali conferiti al governo, retto da Gino Capponi, per sedare la sollevazione della città di Livorno ricorrevano proprio all’opera di Daunou per legittimare e rendere più credibili le proprie rivendicazioni. Oltre a testimoniare l’esistenza nella Toscana quarantottesca di una sfera pubblica animata da discussioni d’interesse collettivo [31], la vicenda risulta emblematica per la scelta di recuperare la lezione del politico francese di fronte a una prassi di governo che, a distanza di decenni, sembrava costituire il caso da manuale di quella forma di dispotismo subdola e moderna che celava i propri soprusi sotto il velo dell’eccezionalità.

La Protesta, pubblicata il 1° settembre [32], condannava con parole durissime i principali responsabili delle leggi speciali del 27 e del 29 agosto e si richiamava alla lettera dello Statuto appena promulgato, che garantiva diritti e libertà platealmente violati da quelle disposizioni. Alla querelle esplosa al Consiglio Generale in seguito alla lettura del documento, che presentava i firmatari come sediziosi interessati solo al disordine e all’instabilità pubblica, una parte degli autori del documento avrebbero risposto pubblicando un particolare libello, che avrebbe fatto ricorso proprio all’autorità di Daunou – nome evidentemente ancora “spendibile” per puntellare le proprie posizioni politiche – per difendere la legittimità delle proprie mozioni. Dopo una durissima risposta al deputato Vincenzo Salvagnoli, principale voce in Consiglio della filippica contro i firmatari pistoiesi, veniva così presentata la traduzione del capitolo più infuocato ed emblematico dell’Essai: “Dei Governi sotto i quali le garanzie individuali benché dichiarate rimangono fittizie, essendo annullate o ristrette continuamente da leggi eccezionali o di circostanza” (La Protesta pistoiese e l’avvocato Vincenzo Salvagnoli 1848, 16).

Quell’infida strategia, inaugurata dai responsabili del Terrore, portata al massimo grado da Napoleone e riproposta dai gruppi reazionari più irriducibili negli anni della Restaurazione, tornava quindi alla ribalta in un contesto e in un momento storico completamente diversi. Come negli esempi passati, per i protagonisti della Protesta pistoiese il governo toscano – attraverso il colpevole appoggio dei rappresentanti – non faceva altro che sospendere e violare le più importanti garanzie stabilite dalla Carta fondamentale attraverso il ricorso all’inesauribile argomento delle “circostanze eccezionali”. Era per controbattere a questo slogan senza tempo, volto a legittimare ogni moderno governo d’eccezione, che l’Essai di Daunou continuava ad offrire, a distanza di un trentennio, argomenti attuali e convincenti:

Ma le circostanze! E che? questo antico intercalare avrebbe credito tuttavia? […] Dunque sempre circostanze perchè non vi sia mai Costituzione, mai garanzie per alcuno! Sì certo, le circostanze sono o divengono critiche le quante volte una Costituzione è alle prese con un regime incostituzionale, e le sicurezze promesse dalle Leggi fondamentali sono smentite o annullate da leggi rivoluzionarie. L’ostinazione a perdurare in questo sistema irregolare è sostanzialmente la sola circostanza pericolosa; tutti gli altri pericoli derivano da ciò; voi impiegate come rimedio il principio stesso del male, la vostra medicina è quella che ha creata e che mantiene la malattia (ivi, 28).

Convinto sostenitore delle istituzioni regolari e dell’ordine costituzionale, nella sua originale classificazione delle forme di governo Daunou tratteggiava così un modello di potere tanto terribile quanto innovativo e moderno. Se il prototipo del dispotismo indicava il cattivo governo tradizionale – che sembrava rappresentare uno scenario irrealistico per i progrediti popoli europei –, l’ingannevole gestione di potere sublimata da Napoleone rappresentava, a tutti gli effetti, una delle innovazioni più emblematiche della Rivoluzione francese, una delle derive più caratteristiche dell’età contempora­
nea [33]. Un potere, cioè, consapevole dell’importanza di sancire con un mezzo di nuovo conio la Costituzione, i diritti fondamentali pretesi dai cittadini “moderni” per poi violarli con cura ancora maggiore, facendo mostra che nulla fosse realmente accaduto. Sta proprio nel riconoscimento della modernità di questa forma di governo spuria, ambivalente e terribilmente all’avanguardia il messaggio più incisivo e l’aspetto più originale dell’Essai.

Come sarebbe stato riproposto dalla traduzione rivolta al pubblico toscano quarantottesco, “Ciò che deve recare stupore egli è che tale regime possa essere fondato; e che un popolo illuminato bastantemente per reclamare i diritti individuali e abbastanza forte per ottenere che siano riconosciuti, porti la irriflessione o la incuranza a segno da soffrire che siano ridotti a puerili illusioni”. E tuttavia, occorre confessarsi che, prima ancora che la sostanza, era ed è tuttora l’apparenza, l’immagine e la retorica a colpire l’immaginazione delle collettività: “Ma chi ignora l’impero che sempre incominciano ad esercitare i nomi, le formole, le apparenze?” (ivi, 25-6). Un dilemma di amara attualità.


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Note

1. Per un utile approfondimento della sede editoriale scelta per la prima pubblicazione, tutt’altro che neutrale, si veda Harpaz 2000.

2. Sulla diffusione atlantica dell’Essai e sulle dinamiche politiche e culturali innescate dalle diverse traduzioni si veda Carmagnini 2023. Prende invece in esame la diffusione dell’opera nel contesto ispano-americano Goldman 2012.

3. In questo senso si veda Clément 2000. Si deve peraltro allo stesso Clément la sola edizione moderna dell’Essai (Daunou 2000).

4. Sulle aporie e le sfasature insite nel passaggio dalla naturalità dei principi al loro incardinamento all’interno di un sistema positivo cfr. Romanelli 2021.

5. Rispetto alla categoria storica coniata da Pierre Serna, il caso di Daunou sembra mancare della componente dell’intenzionalità, che invece rappresenta una delle caratteristiche principali della girouette. In altre parole, le sconfitte politiche in serie a cui egli dovette rassegnarsi testimoniano come i cambiamenti e le trasformazioni del suo pensiero non abbiano mai seguito, come principale riferimento, il criterio dell’interesse e dell’utile. Cfr. Serna 2005.

6. Cfr. Archives Parlementaires 1867-, vol. LIV, 162-5; vol. LVI, 352-4, 354-9; vol. LVII, 51, 82-3, 430.

7. Sul processo di stesura del terzo documento costituzionale francese e sui suoi contenuti è inevitabile il rinvio a Troper 2006. Sempre su questi temi, molto utile anche Conad e Machelon 1999. Sui lavori della Commission des Onze, incaricata di stendere il Progetto di Costituzione e guidata proprio da Daunou, si veda Luzzatto 1994a.

8. Limitandosi agli studi moderni sulla Costituzione dell’anno VIII, si vedano almeno Bourdon 1942; Bloquet 2016.

9. L’espressione parafrasa, come noto, il titolo di un fortunato pamphlet d’epoca termidoriana. Sulla lunga uscita dal Terrore e sulla creazione di un nuovo ordine si vedano innanzitutto Baczko 1989; Luzzatto 1994b.

10. Il progetto era stato presentato al Corpo legislativo da Jean-Étienne-Marie Portalis nella seduta del 17 nivôse an IX-7 gennaio 1801 (Archives parlementaires 1862-1913, vol. II, 70-3). Nonostante l’opposizione di Daunou e altri colleghi, il progetto venne approvato dal Tribunato nella seduta del 17 pluviôse-6 febbraio 1801 (ivi, 339).

11. Sulla riflessione e l’azione politica del secondo in questi anni cfr. almeno De Luca 2003.

12. Sulla conformazione e le evoluzioni del complesso pensiero constantiano cfr. De Luca 1993; Sciara 2013.

13. L’opera, già pubblicata in inglese nel 1811, veniva stampata a Parigi nel 1819 (Destutt de Tracy 1819).

14. Deputato del Terzo Stato, e quindi convenzionale, membro del Consiglio degli Anziani e infine del Senato conservatore, Lanjuinais fu anche un importante intellettuale: nominato professore di diritto ecclesiastico a Rennes in epoca prerivoluzionaria, dal 1808 fu membro dell’Académie des inscriptions et belles-lettres.

15. Sui meccanismi politici e culturali legati alla stesura costituzionale del 1814 e da essa innescati, inquadrati in un’analisi storica che copre buona parte dell’età della Restaurazione, si veda Rosanvallon 1994.

16. Sui dispositivi costituzionali e legali di gestione dell’emergenza e di stati di eccezione nella storia francese cfr. Cassina 2016.

17. “Les monarchies comme les républiques, peuvent assurer à chacun la propriété de sa personne et des fruits de son travail, son industrie, la liberté des opinions et des consciences. Elles peuvent aussi, les unes autant que les autres y porter atteint” (Daunou 1822, 146).

18. Consapevole della sua evidente ambiguità, l’autore si dedicava specificamente all’inquadramento del termine gouvernement, che a seconda del contesto poteva riferirsi sia il potere esecutivo sia a tutti i poteri principali di uno stato sia, infine, alla stessa Costituzione di uno Stato, riferendosi quindi “non à l’exercice des pouvoirs, mais au système de leur organisation”. Benché riconoscesse nella prima definizione quella più corretta, le finalità dell’opera, che non necessitavano di una messa a punto eccessivamente precisa e rigorosa, gli consentivano di servirsi della dimensione più larga e comprensiva. Anche se nell’opera non mancano oscillazioni nell’uso del termine, è dunque da ritenersi che, almeno in generale, con la parola “governo” Daunou indichi qui “la puissance suprême, en tant qu’elle se compose et de la loi fondamentale de l’état, et des lois particulières, et des volontés quelconques qui font, exécutent, et appliquent toutes ces lois” (ivi, 204).

19. Il riferimento è, ovviamente, al capitolo IV del Libro primo dei Discorsi: Che la disunione della Plebe e del Senato romano fece libera e potente quella repubblica. Su questi temi si veda Pedullà 2012. Sull’influenza di Machiavelli sul repubblicanesimo dei secoli successivi non si può che rinviare al classico Pocock 1975.

20. Oltre alle tre recensioni relative alla Histoire des Républiques italiennes du Moyen Âge, Daunou avrebbe dedicato ben 15 articoli alla sismondiana Histoire des Français, pubblicati, sempre sul Journal des Savans, tra il 1821 e il 1840. Sulla visione della storia in Sismondi si veda Casalena 2018.

21. Sulle strategie di controllo del perdurante stato d’emergenza che caratterizza l’età napoleonica cfr. Scuccimarra 2007.

22. Così, invece, si era espresso nel corso del celebre discorso contro l’istituzione di tribunali speciali: “Quel étrange amalgame que cette coexistence de deux régimes opposés par leur nature, l’un constitutionnel, l’autre révolutionnaire; l’un avant pour lui les apparences, l’autre la plupart des réalités; mais tous deux tellement confondus aux yeux d’une grande partie du peuple, qu’il devient naturel d’imputer au premier les injures que l’on reçoit du second, et de ne pas distinguer ce qui inquiète et mécontente, de ce qui obtiendrait, en rassurant, tant de confiance et de respect!” (Archives parlementaires 1862-1913, vol. II, 228-9).

23. Sono pochi e isolati gli studi espressamente dedicati al tema dell’opposizione, per così dire, istituzionale a Napoleone Bonaparte. Evidentemente, la consapevolezza a posteriori della sua inefficacia nel frenare l’ascesa del futuro imperatore ha finito per emarginare un settore che, al contrario, permetterebbe di cogliere dinamiche culturali, oltreché politiche, fondamentali al crocevia tra Rivoluzione ed età imperiale. Si veda Vidalenc 1968; Menant 2012. Più specificamente, riferimenti all’azione politica degli idéologues nei primissimi anni del XIX secolo si trovano in Vandal 1902-1907 e in Mascilli Migliorini 2021.

24. Per avere un saggio dei principali temi polemici rivolti contro gli idéologues all’alba del secolo, si valuti l’articolo presente nel numero 15 pluviôse an IX (4 febbraio 1801) del Journal de Paris, che Roederer fece pubblicare sulla propria rivista su impulso napoleonico: “Les étrangers qui ignorent l’état véritable de la France, pourraient penser, en lisant les séances du tribunat et le nom de quelques orateurs, que l’esprit de faction s’agite encore. […] Ils sont douze ou quinze, et se croient un parti. Déraisonneurs intarissables, ils se disent orateurs. Ils débitent, depuis cinq à six jours, de grands discours qu’ils croient perfides, et qui ne sont que ridicules”.

25. E proseguiva, legandosi all’altra sperimentazione principale di questo governo: “Quand un usurpateur réduit toutes les institutions à de vains simulacres, tous les droits aux faveurs qu’il dispense, et toutes les lois à ses volontés propres, il prétend qu’il n’y a pas d’autres moyens de pourvoir aux besoins des circonstances”.

26. Sull’esperienza del Terrore come governo dell’emergenza cfr. Martucci 2007.

27. Per un ricco affresco sulle principali questioni, politiche e non solo, che hanno animato gli anni della Restaurazione in Francia, si veda Waresquiel e Yvert 1996.

28. Di seguito gli interventi selezionati: Discours sur le projet d’assujétir les journaux a des cautionnemens, Ier mai 1819 (269-88); Discours sur une pétition des étudians en droit, 10 juillet 1819 (289-95); Discours sur les pétitions d’environ cent mille citoyens qui, de toutes les parties de la France, demandaient le maintien de la loi de 1817 relative aux élections, 2 mars 1820 (296-304); Observations sur divers articles d’un projet tendant à suspendre, par une loi de circonstance, la liberté individuelle, assurée sans exception à tous les Français par l’art. IV de la Charte, 10 et 13 mars 1820 (305-25); Discours sur le projet de soumettre les écrits périodiques à une censure préalable, 21 et 29 mars 1820 (326-49); Discours sur les élections, 20 mai et 8 juin 1820 (350-401).

29. Sulla concezione storica di Daunou, che emerge chiaramente dalle lezioni di Storia e morale tenute al Collège de France a partire dal 1819, cfr. Pozzi 1996.

30. Chiaro era, in questo caso, il riferimento alle discussioni in Francia della fine degli anni ’10, riguardanti lo scottante tema della riforma della cosiddetta Loi Lainé (5 febbraio 1817), che fissava l’organizzazione elettorale per il rinnovo della Camera dei deputati. Su questi temi si veda Le Breton e Lepelley 2014, oltre ai classici Rosanvallon 1992 e Laquièze 2002.

31. Sul rapporto tra le evoluzioni statuali e il graduale sviluppo di una dimensione pubblica nella Toscana della Restaurazione cfr. Chiavistelli 2006.

32. Cfr. Le Assemblee del Risorgimento 1911, vol. II, 70-1. Il testo della Protesta ebbe un vasto risalto mediatico e venne pubblicato, tra gli altri, da Il Popolano (4 settembre 1848); Il Corriere Livornese (5 settembre 1848); L’Alba (17 settembre 1848); La Patria (19 settembre 1848); Gazzetta di Firenze (20 settembre 1848). Sulla vicenda si veda Carmagnini 2021.

33. Sulle contraddizioni interne nel significato e nelle interpretazioni dei principi rivoluzionari – a partire dal trittico libertè, egalité, fraternité – e sul legame tra questi e lo sviluppo di forme autoritarie di potere il riferimento cfr. ancora Romanelli 2021.