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Joan Maria Thomàs, “José Antonio Primo de Rivera. The Reality and Myth of a Spanish Fascist Leader”

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Joan Maria Thomàs, “José Antonio Primo de Rivera. The Reality and Myth of a Spanish Fascist Leader”, New York, Berghahn Books, 2019, 510 pp.

L’edizione in lingua inglese, per i tipi della Berghahn, della biografia di José Antonio Primo de Rivera firmata da Joan Maria Thomàs – José Antonio Primo de Rivera. The Reality and Myth of a Spanish Fascist Leader – traduce fedelmente il titolo dell’edizione originale – José Antonio. Realidad y mito (2017) –, ma con un’aggiunta che a un pubblico spagnolo sarebbe forse apparsa superflua dato l’interesse ancora oggi suscitato dal personaggio, nonostante il culto tributatogli dal regime di Franco sia ormai affidato alla storia. D’altro canto, la biografia di Thomàs può essere letta non soltanto come una rigorosa ricerca volta a dissipare i miti e le speculazioni sopravvissuti all’agiografia falangista e franchista, ma anche come la storia di un percorso politico che, formatosi in una cultura conservatrice, elitista e autoritaria, approdò al fascismo nei primi anni Trenta.

Thomàs, autore di importanti studi sulla storia della Falange Española e sulle relazioni internazionali della Spagna di Franco, a fronte delle numerose mistificazioni che le biografie redatte da non professionisti e pubblicisti continuano a proporre, afferma che il suo lavoro non vuole essere una biografia esaustiva di José Antonio, ma un’interpretazione basata sulla sua concreta azione politica e su quei tratti della sua personalità che lo animavano e lo segnavano profondamente. Tra questi vi era sicuramente il desiderio di emulare e di superare il padre, il generale Miguel Primo de Rivera, dittatore della Spagna dal 1923 al 1930. Contrariamente a quanto tramandato dall’agiografia falangista, José Antonio non scese nell’agone politico per difendere l’eredità del genitore, profondamente screditato con la caduta della dittatura e l’avvento della Seconda Repubblica, ma perché animato dal suo stesso messianismo, dalla stessa convinzione di essere chiamato a “salvare la Spagna”, dalla stessa ambizione verso la dittatura personale.

Il fascismo di José Antonio fu lo strumento ideologico attraverso il quale egli si propose di “salvare” il proprio paese da una rivoluzione comunista che riteneva imminente, emulando e superando l’azione politica del padre. A differenza di quest’ultimo, però, José Antonio tenne a dare al proprio potere una solida, seppur non originale, base dottrinale.

L’autore nel primo capitolo elenca gli elementi caratterizzanti la proposta politica di José Antonio, incarnata dalla Falange, rispetto a quella delle altre destre spagnole negli anni della Seconda Repubblica: in primis, la sostanziale indifferenza nei confronti della questione istituzionale e l’auspicio di una separazione tra Stato e Chiesa, nonostante l’influenza esercitata dal Cattolicesimo sull’ideologia falangista. A queste peculiarità si aggiungevano caratteristiche ispirate dal modello italiano: la critica al capitalismo finanziario in nome di una rivoluzione “nazional-sindacalista”, il culto carismatico del capo e dei caduti per la causa, l’adozione di uniformi, di un inno, di simboli, del saluto romano, un atteggiamento anticonservatore, l’uso della violenza come strumento politico- la famosa “dialettica dei pugni e delle pistole”, e soprattutto un’ansia di rigenerazione della comunità nazionale indebolita dal liberalismo e messa in pericolo dal marxismo. Nel voler sottolineare gli elementi di novità che distinguevano il partito di José Antonio dalle altre forze politiche di destra spagnole, Thomàs non si sofferma, come fa invece Ferran Gallego nel suo El evangelio fascista (2014), sulle simpatie che la fondazione della Falange poteva riscuotere presso una rivista monarchica e reazionaria come Acción Española, simpatie dovute alla consapevolezza di occupare uno spazio politico comune. L’autore analizza i rapporti della Falange con i monarchici soprattutto sotto il profilo del sostegno finanziario, ma non sembra sottolineare particolarmente le convergenze ideologiche con altri gruppi ed è un punto che forse meritava un’ulteriore indagine dato che il pensiero politico di José Antonio, per come Thomàs lo delinea, sembrava avere le proprie radici in un’eterogenea cultura comune al campo delle forze di destra ostili o critiche nei confronti della Repubblica. Al di là dell’influenza dei regimi fascisti europei, di Nietzsche, di Sorel e di Spengler, la sintesi ideologica e politica del leader della Falange mostrava infatti evidenti debiti nei confronti di un filosofo elitista come José Ortega y Gasset, di pensatori tradizionalisti e reazionari come Víctor Pradera e Ramiro de Maetzu, di scrittori come Eugenio D’Ors e Miguel de Unamuno, di “camerati” come Ernesto Giménez Caballero e Ramiro Ledesma Ramos. L’enfasi posta poi sul tema della cristianità faceva sì che la personale dottrina fascista di José Antonio si differenziasse da quella italiana e tedesca. Thomàs non esita comunque a definire fascista il pensiero del Jefe falangista, dato che le affinità superavano di gran lungo le differenze.

Anche se il leader della Falange non fu il pensatore originale che il franchismo volle far credere, è indubbio che furono soprattutto gli intellettuali a subirne il carisma e Thomàs tiene a sottolinearlo. José Antonio aveva sicuramente una spiccata sensibilità per le questioni letterarie, ma la ricerca di un rapporto privilegiato con gli uomini di cultura significava per lui non commettere gli stessi errori del padre, il quale, durante la dittatura, non era riuscito a guadagnarsi il consenso di questi settori. José Antonio, convinto che i popoli vengono mossi soltanto dai poeti, avrebbe riservato per sé e per gli intellettuali a lui vicino come Rafael Sánchez Mazas il ruolo di “gran sacerdoti” della Falange. Questo atteggiamento elitario attirava le critiche di Giménez Caballero e di Ledesma, i quali, tra l’altro, ritenevano che il capo di un movimento fascista dovesse venire dal popolo e non dalle classi privilegiate. Quest’ultima obiezione dovette colpire particolarmente José Antonio, il quale mostrò, in momenti significativi della propria carriera politica, la capacità di smettere i panni dell’aspirante dittatore fascista per farsi da parte. A tale proposito, Thomàs ricostruisce, sulla base della documentazione conservata nell’esilio messicano dal ministro socialista Indalecio Prieto e poi passata agli eredi di José Antonio, come il leader della Falange, in prigione al momento dello scoppio della Guerra civile, avesse offerto alle forze repubblicane moderate un’irrealistica proposta di pacificazione sulla base di un programma di governo che, da un lato, avrebbe dovuto realizzare una riforma agraria e, dall’altro, avrebbe dovuto autorizzare l’educazione cattolica nel tentativo di fermare un’escalation che avrebbe sempre più diviso gli spagnoli lungo le linee dei partiti politici e della lotta di classe. Da questo, Thomàs deduce l’esistenza di “due José Antonio”: il primo era l’aspirante dittatore fascista, mentre il secondo si mostrava disposto ad accettare soluzioni democratiche e a ricoprire un ruolo politico meno centrale, ma entrambi erano dominati dall’egocentrica convinzione di essere chiamati a salvare la Spagna e dal desiderio di emulare e superare l’operato del padre.

Thomàs dedica l’ultimo dei cinque capitoli della sua biografia alla costruzione post mortem del mito di José Antonio, fucilato ad Alicante nel novembre 1936. Il culto funerario tributatogli dal regime di Franco fornì al Caudillo una solida legittimazione politica, mentre la trasformazione di José Antonio in una specie di “santo patrono secolare” del regime fu forse l’unica importante concessione fatta alla Falange da un nuovo stato che, mancando l’obiettivo di una rivoluzione sociale, avrebbe sicuramente attirato le critiche del Jefe falangista. Sono però le mistificazioni storiche e biografiche tramandate da questo culto il vero “mito” cui fa riferimento il titolo del volume, mito a cui Thomàs oppone una rigorosa ed equilibrata ricostruzione della personalità, del pensiero e dell’azione politica di José Antonio. Ciò fa di questa biografia una delle acquisizioni storiografiche più importanti degli ultimi anni circa il fondatore della Falange – senza nulla togliere alle già rigorose biografie di Ian Gibson (1980) e di Julio Gil Pecharromán (1996) – e un innegabile contributo alla storia del fascismo spagnolo ed europeo.