Storicamente. Laboratorio di storia

Dossier

La frontiera orientale dell’Italia longobarda (secoli VI-VIII)

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Abstract

Paul the Deacon’s History of the Lombards is the main source for the history of Italy’s eastern frontiers. On the backdrop of further narratives from the age, the paper analyzes Paul’s account on the nature, location of the frontiers, together with their aristocracies between the sixth and eighth centuries. 

La storia della frontiera orientale d’Italia raggiunse nei secoli altomedievali un’importante cesura. Da un lato, l’idea di Italia racchiudeva, nell’antichità, spazi cangianti che raramente corrispondevano ai confini della repubblica odierna (Giardina 2004). Soprattutto, la frontiera correva tra territori del medesimo impero: a est della penisola si estendevano, infatti, le province romane di Norico, Pannonia e Dalmazia. Questa situazione sarebbe profondamente mutata con la fine di Roma, quando i confini orientali della penisola avrebbero segnato una rottura politica e, in alcune circostanze, culturale.

Per anni si è considerato come questi confini, in successivi assetti politici, corressero lungo quella che molti anni fa Richard Southern aveva definito la frontiera della Cristianità Latina (Latin Christendom), una regione che per generazioni si era estesa dal Mar del Nord all’Adriatico, caratterizzata da una propria identità e segnata da una costante espansione culturale e militare verso oriente (Southern 1956, 25-29; Burns 1989). Sono idee che in parte trovavano ragione nella realtà degli anni in cui vennero formulate, influenzate dal modello di una “frontier society” ispirata agli scritti di Frederick Jackson Turner e i moderni nazionalismi che cercavano, nel passato, una giustificazione a istanze contemporanee (Pohl 2001b, 248; Berto 2016, 83-93).

Le informazioni sulla frontiera orientale e le regioni che oltre questa si estendevano sono poche e incidentali. Potrebbe fare eccezione la celebre Cosmographia di Ravenna, una descrizione del mondo organizzata sulla posizione del sole nelle ore del giorno e della notte e per singole regioni, chiamate patriae. La narrazione è stata datata al Settecento, ma sopravvive in manoscritti relativamente tardi, del XIII e XIV secolo: molte sono le interpolazioni a un ipotetico originale (Štih 2010, 125-127; Herrin 2020, 276-284) [1]. A eccezione di questo racconto, i pochi autori che tra VI e VIII secolo menzionarono i limiti nordorientali della penisola dipinsero una regione apparentemente ai confini del mondo, oltre cui le conoscenze si facevano rare e talvolta confuse. Nella prima metà del VII secolo, Giona di Bobbio raccontava nella Vita Columbani come il monaco irlandese Colombano muovesse da Bregenz verso est, deciso a recarsi nelle terre degli Slavi – “ut Venetiorum qui et Sclavi dicunt terminos”. Gli apparve lì un angelus Domini che lo avrebbe convinto ad andare invece verso sud, varcando le Alpi, per arrivare in Italia. L’angelo avrebbe illustrato a Colombano il mondo come inserito in un cerchio, un riferimento a una mappa orbis terrae (la mappa T-O dei secoli medievali), utilizzata negli stessi anni da Isidoro di Siviglia nelle sue opere (Woodward 1987, 301-302). In questa raffigurazione, il Mediterraneo, raffigurato a forma di T, divide i tre continenti inscritti nel cerchio, mentre la O rappresenta l’Oceano che circonda le terre emerse: l’Asia è collocata in alto, l’Europa a sinistra e l’Africa a destra (O’Loughin 2010; Winckler 2012, 77-78). L’angelo avrebbe detto a Colombano di muovere a destra o sinistra, quindi in Africa come in Europa: non sarebbe potuto andare in Asia. Colombano avrebbe pertanto compreso come gli Slavi non fossero pronti per accettare la fede. Per l’angelo, Giona e i lettori del racconto, queste gentes sembravano abitare l’Asia, che si apriva in un luogo imprecisato a est del Lago di Costanza [2]. Ancora all’inizio del IX secolo, un certo Blancidius (che nello scrivere ai suoi “amici italiani” si riconosceva come un Noricus), trovandosi in regioni montuose, abitate da Slavi, probabilmente ai limiti nordorientali dell’Italia, descriveva la sua condizione come quella di raganella – ranicula – che gracidava sconsolata in una palude (Štih 2010, 211; Krahwinkler 1992, 164) [3]. Luoghi inaccessibili e selvaggi, così erano immaginate le regioni che si estendevano a oriente dell’Italia.

Nelle pagine che seguono mi concentrerò su alcune tra le prime attestazioni della frontiera orientale dell’Italia successive alla frammentazione dell’unità antica e alla formazione del regnum Langobarodorum nella seconda metà del VI secolo. Molto importanti sono qui i contributi delle storiografie slovena e austriaca; in particolare mi appoggerò ad alcuni ricchi studi di Jaroslav Šašel e Peter Štih; Herwig Wolfram, Walter Pohl, Harald Krahwinkler e Katharina Winckler.

1. Se è chiaro come i confini del regno conquistato dai Longobardi dovessero esistere a Oriente fin dalla sua fondazione nel VI secolo, le testimonianze più antiche sono di natura assai esile. Una storia della frontiera orientale italiana nei secoli altomedievali è profondamente legata all’Historia Langobardorum, scritta da Paolo Diacono alla fine dell’VIII secolo. L’Historia è un racconto incentrato sulla gens longobarda, dalle mitiche origini fino al 744, l’anno della morte di re Liutprando. È la storia di un mondo che stava affrontando rapidi cambiamenti: nel 774, Carlomagno aveva conquistato il regno dei Longobardi e nel 776 era stata vinta l’ultima resistenza di Rodgaudo, il duca che governava il Friuli, la regione alle frontiere nordorientali divenuta tra i territori più ricchi e dinamici del regno (Davis 2015, 136-139; Moro 2004; Gasparri 1978, 71). Dato il momento in cui venne composta, l’Historia Langobardorum è stata interpretata in maniera dissimile. Non sappiamo se l’opera sia completa o meno e questo rende difficile identificare un pubblico ideale, assieme agli obbiettivi dell’Historia , letta come una legittimazione del potere franco in Italia o come una storia scritta a Benevento per rivalsa nei confronti dei nuovi signori della penisola [4]. È tuttavia chiaro come difficilmente l’obbiettivo della narrazione fosse unicamente registrare il passato dei Longobardi per i posteri; si trattava, piuttosto, di un testo complesso, che rispondeva a una definita logica sociale. Molti dei messaggi che un lettore contemporaneo avrebbe potuto recepire sono per noi irrimediabilmente perduti.

È chiaro, pertanto, come un’importante difficoltà interpretativa sia strutturale all’opera, che nondimeno rimane centrale per l’argomento trattato: il Friuli è prominente nella narrazione, i suoi duchi sono tra i protagonisti del racconto. Lo stesso Paolo proveniva da una famiglia aristocratica di Cividale, avendo conoscenza diretta della società e di almeno alcuni degli eventi di cui narrava; il fratello Arechi aveva partecipato alla sollevazione di Rodgaudo (Cammarosano 1993).

2. Nel celebre racconto dell’arrivo in Italia di re Alboino e della fondazione del regno, Paolo menziona come la penisola fosse circondata dai mari e chiusa a nord da alte montagne che si potevano attraversare unicamente per via di angusti passaggi o superandone le cime. Faceva eccezione la regione orientale dove si apriva un ampio passaggio: “un ingresso quasi troppo ampio e pianeggiante”: numerosi studiosi hanno pensato che Paolo si riferisse alla Valle del Vipacco (HL, 2.9, 77; Azzara 1994, 71; Štih 2000, 19, 2010, 191; Bosio 1970) [5]. Nel racconto del diacono l’ampio ingressus univa Italia e Pannonia.

Pannonia era il nome di un’antica provincia dell’Impero Romano che si estendeva tra gli attuali stati di Slovenia e Ungheria, da secoli rappresentava una delle frontiere con il Barbaricum (Šašel 1992, 690-706; Mócsy 1974; Bratož 2000). Era una zona di reclutamento militare; nel VI secolo, aveva visto lo stanziamento di numerosi eserciti barbarici, alleati come nemici dell’Impero, i Longobardi tra questi (Pohl 1980; Ruchesi 2020; Steinacher 2017; Amory 1997, 277-313). Sempre qui, verso la metà del medesimo secolo venne registrato per la prima volta l’etnonimo Sclaveni/Σκλαβηνοί destinato a diffondersi largamente nei secoli successivi, giungendo ai confini dell’Italia (Curta 2001; Mühle 2020).

Con Alboino che si apprestava a prendere l’Italia, il diacono interrompeva la narrazione degli eventi per descrivere la penisola secondo un modello che poteva trovare origine nelle storie Ab Urbe condita di Tito Livio, dove si narrava la geografia della penisola successivamente all’attraversamento delle Alpi da parte di Annibale (aUc 2.14). Nell’Historia Langobardorum si racconta come la Venetia avesse, nel passato, formato con l’Istria una sola vasta regione: questa era limitata dall’Adda a ovest, per estendersi fino alla Pannonia. In questo contesto, il diacono si rifaceva alla divisione di Augusto, e poi di Diocleziano, dell’Italia in regiones in cui la Venetia et Histria costituivano la regio che chiudeva la penisola a nordest. Il racconto era inoltre fondato sulle Etymologiae di Isidoro da cui deriva la falsa etimologia della penisola istriana come originata dal nome Ister, il Danubio; Rudi Thomsen, molti anni fa, aveva proposto che Paolo potesse costruire il suo racconto su una copia della celebre mappa di Agrippa [6]. Le influenze del discorso antico sulla percezione medievale dello spazio furono numerose e costanti: sappiamo come gli autori carolingi conoscessero opere di geografia antica (Wolfram 1995, 55); è stato anche proposto che la Tabula Peutingeriana fosse un’opera carolingia (Albu 2005).

La Venetia et Histria era una vasta regione che profondamente si estendeva a Oriente. Plinio il Vecchio ne aveva offerto una descrizione puntuale nel I secolo d.C. (NH, 3.13; Zaccaria 1986; Pavan 1987). La regio includeva a oriente Emona, l’attuale Ljubljana (Šašel 1992, 707-714); nel IV secolo, l’Itinerarium Burdigalense poneva i limiti della Venetia et Histria a oriente di Atrans – “mansio Hadrante” –, oggi Trojane in Slovenia, dove si trovavano i confini tra Italia e Norico: “fines Italiae et Norci” [7]. Alla fine del medesimo secolo, il complesso sistema di strutture che erano state edificate in questa regione aveva preso il nome di claustra Alpium Iuliarum che Peter Štih ha suggerito si estendessero dal Quarnaro alle Alpi della Gail [8]. I claustra avevano funzione difensiva e questi confini sarebbero rimasti intatti fino al V secolo (Štih 2010, 220; Šašel 1992, 821-830): il destino di queste strutture nei secoli altomedievali è stato lungamente dibattuto (Napoli 1997; Ciglenečki 2016).

Paolo sapeva come i limiti orientali del regnum fossero ora ridotti rispetto a quelli dell’Italia imperiale, concedendo che se in passato la città più importante della Venetia et Histria era stata Aquileia, questa ai suoi giorni era Cividale del Friuli (Sotinel 2005). Il diacono racconta: “la Venezia infatti non è costituita solo da quelle poche isole che ora chiamiamo Venezia, ma il suo territorio si estende dai confini della Pannonia fino al fiume Adda come provano gli annali, in cui Bergamo è detta città delle Venezie”. L’autore aggiungeva come anche il Lago di Garda –Benaco – si trovasse nella medesima regione [9]. Non è chiaro cosa fossero gli “annalibus libris” a cui Paolo si riferisce; un racconto simile si trova, ancora una volta, nelle Etymologiae di Isidoro di Siviglia, dove sia la città di Mantova che il Lago di Garda erano ubicati nella Venetia et Histria [10]. È questa, soprattutto, la prima menzione dell’insediamento della laguna veneziana che caratterizza i primi secoli del Medioevo: Paolo ricorda come l’antico nome Venetia stesse sperimentando uno sdoppiamento semantico che ha lasciato traccia fino ai nostri giorni (HL, 2.14, 81; Azzara 1994).

Paolo raccontava la dinamica, forse più celebre, della suggestiva frammentazione politica ed etnica che la Venetia et Histria avrebbe attraversato nei secoli altomedievali e che l’avrebbe portata a essere una regione contesa tra Longobardi, Slavi e Romani.

Già dalla fine del VI secolo, gli autori raccontano la formazione del ducato longobardo del Friuli. [11] Il nome nasceva in questa circostanza, poiché le aristocrazie longobarde posero la loro sede a Forum Iulii che divenne il centro dell’attività politica e culturale della regione: ai tempi di Paolo il nome della città doveva essere la forma indeclinabile Foroiuli. Il diacono proponeva un racconto leggendario della fondazione del ducato: il nipote e marphais, una sorta di maresciallo, di Alboino, chiamato Gisulfo, avrebbe preteso gli uomini e le cavalle migliori per fondare il suo potere a Cividale (HL, 2.9, 77–78). La storia doveva riflettere, soprattutto, le istanze contemporanee, quando il Friuli era divenuto, assieme alla Baviera, un importante centro della frontiera carolingia (Gasparri 2001, Krahwinkler 1992, 119-197; Borri 2020).

Al contempo, le propaggini meridionali dell’antica regio, l’Istria e il litorale adriatico, si andavano configurando come una regione popolata da Romani, i sudditi dell’impero di Costantinopoli. In una lettera che l’esarca Romano (di nome, oltre che di fatto) scrisse nel 590 al re dei Franchi Childeberto, si menzionavano i duchi Gisulfo, forse il successore dell’omonimo duca menzionato sopra, e il figlio Grasulfo che reggevano il Friuli. L’esarca si era recato nella provintia di Istria per combattere il primo, mentre Grasulfo si era alleato con loro (Gasparri 1978, 64-65) [12]. Tra i due correva il confine che a sud separava ciò che restava dell’Impero in Italia dal nuovo ducato alla frontiera del regno longobardo.

Sempre degli stessi anni sono le più antiche menzioni dell’insediamento degli Sclavi nelle regioni orientali della Venetia et Histria. Nel luglio del 600, Gregorio Magno lamentava con Massimo, vescovo di Salona, l’ingresso delle gentes in Italia attraverso i passi dell’Istria, Histriae aditus: come nella tradizione antica questi sembravano costituire l’accesso alla penisola [13]. Anche Paolo racconta in due occasioni di Slavi e Avari che varcano gli Histrorum fines depredando la regione (HL, 4.24, 4.40, 125, 133; Margetić 1983, 147-148). Fu sempre Paolo il primo autore a registrare la Carniola, relativamente agli eventi del 738: una patria Sclavorum formatasi alle estreme propaggini orientali dell’antica Venetia et Histria (HL, 6.52, 183; Štih 2010, 123-135; Krahwinkler 1992, 62-63) [14]. Per l’anno 820, gli Annales regni Francorum ricordano come i Carniolenses avessero la loro sede lungo il corso della Sava [15]. La regione prendeva il nome dall’etnonimo Carni attestato nell’Antichità; Carniola – Creina – poteva al contempo significare “terra”, nell’accezione di “terra di confine” come la più celebre Ucraina (Štih 2010, 125; Wolfram 1994, 82-84), questo poteva aver assunto una maggiore pregnanza per via della vicinanza al regnum dei Longobardi. A nord, i confini dei Bavari erano segnati dalla marca Vinedorum, il confine degli Slavi [16].

Suggestiva è pertanto la ricchezza e la complessità dei nomi che emergono sul suolo dell’antica circoscrizione romana: era la Venetia et Histria il territorio su cui correva il confine orientale dell’Italia longobarda. Nel racconto di Paolo, tuttavia il nome Venetia diveniva comunemente descrittivo dei soli domini longobardi: in un’occasione, leggiamo dei Venetiarum fines, i confini che un esercito da Oriente avrebbe incontrato muovendo verso l’Italia: questi corrispondevano ai confini dei Friulani (“per omnes Foroiulanorum fines”; HL, 4.37, 128). Dall’inizio dell’VIII secolo, la Venetia longobarda cominciò a essere designata con il nome di Austria, un toponimo attestato nelle leggi di re Liutprando e nell’opera di Paolo Diacono. Come nel mondo franco, a questa si contrapponeva una Neustria, intesa come il nuovo regno a ovest, ma anche la Tuscia, la regione oltre gli Appennini [17]. Nelle parole di Claudio Azzara, l’Austria manteneva una “valenza precipuamente geografica, priva di significati di carattere amministrativo […] e denotava […] un punto di vista regio, centrato su Pavia” (Azzara 1994, 90).

3. Si è detto come dall’Antichità si fosse ereditata la concezione che la Penisola confinasse a oriente con la Pannonia (Wolfram 1995, 60). Nella lettera che nel 540 il re di Austrasia Teudeberto scrisse all’imperatore Giustiniano, l’Italia settentrionale precedeva la Pannonia nell’elenco delle regioni su cui il sovrano estendeva la sua egemonia [18]. L’Italia settentrionale era qui menzionata come fosse un territorio a sé, suggestivo è l’utilizzo del discorso antico per definire realtà geografiche apparentemente nuove; alla fine del VI secolo, Gregorio di Tours avrebbe chiamato il nord della penisola Italia minor [19]. Esistevano discorsi alternativi o di complessità diversa. Nel racconto della marcia di re Pipino verso la Pannonia, l’autore degli Annales Laureshamenses richiamava, oltre la Pannonia, la vecchia diocesi dell’Illirico [20].

Le denominazioni provinciali romane, antiche di secoli, sembravano avere la funzione di topografie mentali. Si trattava di spazi definiti in modo dissimile in epoche diverse e che, in età altomedievale, appaiono difficili da tracciare con certezza; dovevano tuttavia orientare il lettore verso i punti dell’orizzonte, forse insinuando la grandezza imperiale del passato. Nel celebre capitolo quindicesimo della Vita Karoli Magni, Eginardo elencava le regioni a est del regnum Langobardorum con i nomi che echeggiavano l’Impero di Roma o la geografia antica: le due Pannonie, la Dacia, l’Istria, la Liburnia e la Dalmazia [21]. In più occasioni, Paolo Diacono fa collimare l’antica dimensione spaziale con quella contemporanea, ponendo le gentes in relazione agli antichi nomi provinciali. Raccontando del viaggio di re Autari presso la corte del duca Garibaldo, il padre di Teodolinda, la futura sposa del re, l’autore ricordava “la provincia dei Norici, dove vive il popolo dei Bavari”, aggiungendo come questa confinasse a est con la Pannonia, ma a ovest con la Suavia (HL, 3.30, 109), una designazione che originava dal nome di una popolazione barbarica e per la cui ubicazione Paolo sembrava dipendere dal racconto di Giordane, che scrisse i suoi Getica alla metà del VI secolo, forse a Costantinopoli [22]. Altrove, come notato da Katharina Winckler, Paolo associava il nome, apparentemente recente, della gens dei Carantani all’antica città di Carnuntum, un centro della Pannonia, a ovest dall’attuale Bratislava: leggiamo come re Grimoaldo sarebbe fuggito “a Carnunto, che chiamano, per corruzione del nome Carantano” (HL, 5.22, 152) [23]. Si trattava di un discorso legato strettamente al periodo: in alcuni contesti di VIII e IX secolo, la Pannonia sarebbe stata chiamata Avaria (Winckler 2020, 49–51): in un diploma veronese dell’837 si fa menzione della Pannonia, patria della “gens Hunnorum alias Auares dicta”, che si estendeva tra l’Italia e il Danubio [24].

Date le vicende che avevano interessato la Venetia et Histria, non vi è certezza sul luogo dove il Friuli cessasse e iniziasse la Pannonia. Ciò non sorprende: gli autori altomedievali dedicavano scarsa attenzione all’esatta ubicazione delle frontiere tra regni e imperi (Pohl 2001b, 247). Nel IX secolo, il confine occidentale del ducato sembrava estendersi lungo il corso del Livenza, molto meno sappiamo dei limiti settentrionali e orientali [25]. Paolo Diacono racconta come a nord, i duchi del Friuli Taso e Caco avevano conquistato “quella regione degli Slavi chiamata Zellia, fino alla località della Medara”, assicurando pertanto i collegamenti lungo la Val Canale fino all’attuale confine italiano con l’Austria, probabilmente presso Thörl (HL, 4.38, 132; Krawarik 1996; Štih 2010, 114; Krahwinkler 2000) [26]. A est, si è proposto che il ducato giungesse fino Ad Pirum, il passo Hrušica nella Selva di Piro/Trnovo in Slovenia (Šašel 1992, 574; Štih 2010, 193).

4. In Italia, come altrove, questi confini potevano essere rappresentati da elementi naturali, architetture o altri simboli (Gasparri 1995). Nel menzionato racconto del viaggio presso i Bavari di re Autari, Paolo narra come presso gli Italiae fines con il Norico – la Baviera – fosse riconoscibile un albero, sui cui era conficcata una scure (HL, 3.30, 110). Un luogo simile era, apparentemente, immaginato anche sul confine orientale: raccontando dell’arrivo dei Longobardi in Italia, Paolo narra come re Alboino sarebbe salito su un monte, e avrebbe indicato ai Longobardi la terra delle future conquiste, da quel momento l’altura sarebbe stata chiamata mons Regis (HL, 2.7-8), il monte del re. Il rilievo, leggiamo, sorgeva “agli estremi confini dell’Italia”, separando pertanto la Penisola dalla spesso menzionata Pannonia [27]. Georg Waitz, il curatore dell’edizione che ancora utilizziamo per la storia del diacono, raccontava in una nota entusiasta (e un po’ folle) alla sua opera pubblicata nel 1878 di aver ammirato il mons Regis da una finestra dell’archivio di Cividale dove il canonico de Orlandis aveva svelato essere il Matajur [28]. Altri studiosi hanno identificato il mons Regis con Monte Nanos, in Slovenia (Štih 2010, 191-193). Tuttavia, il passaggio è gravato da fortissime ridondanze bibliche che ne complicano l’interpretazione: è chiaro come, nella logica del racconto, Alboino scalasse il monte per indicare ai suoi Longobardi il luogo delle future conquiste, la terra che era stata promossa alla gens, così come Mosè sarebbe asceso al Monte Nebo per mostrare Israele agli Israeliti; suggestivo è che il popolo eletto avrebbe, in questa circostanza, abbandonato la Palestina per non farvi più ritorno. Il mons Regis, comunque, idealmente rappresentava il confine dell’Italia nei giorni che precedettero le vaste conquiste franche a Oriente (Krahwinkler 1992, 29-30).

Non distante, si potevano trovare strutture difensive e di controllo. Sappiamo come le Alpi fossero costellate da un sistema di clusae, punti di accesso al regno con funzioni di controllo e difesa, sui cui Walter Pohl ha scritto pagine importanti (Pohl 2001). Si trattava di luoghi edificati: alla metà dell’VIII secolo alcune dovettero essere cadute in rovina e re Astolfo ordinò che venissero ripristinate [29]. Sempre Katharina Winckler ha posto attenzione su come queste stazioni si trovassero a valle, piuttosto che sul passo [30]. Vi potevano essere clusarii posti a controllo e sappiamo che presidiando queste strutture con uomini armati era possibile chiudere l’accesso ai varchi alpini, come avrebbe fatto re Bernardo nei primi giorni della sua sfortunatissima ribellione [31]. Sul confine orientale sorgevano anche i castella e le civitates che nell’Historia Langobardorum segnavano le estreme propaggini del ducato friulano e del regnum, luoghi fortificati e inaccessibili che potevano ospitare la popolazione in caso di minaccia militare (HL, 4.37, 129) [32]. Paolo elenca Cormons, Nimis, Osoppo, Artegna, Ragogna, Gemona e Ibligo che Georg Waitz riteneva fosse Iplis, ma che in anni più recenti gli studiosi hanno identificato in Invillino, tutti centri all’interno dell’odierno territorio italiano [33]. Neil Christie ha suggerito come Invillino fosse parte di un antico sistema imperiale di fortificazioni ancora in uso (Christie 2006, 335-338).

A una distanza che non possiamo definire con certezza sorgevano le fortificazioni che segnavano l’accesso al regno avaro. Nel 791, Carlomagno si trovava a Lorch durante la prima grande campagna contro gli Avari; nella lettera che scrisse alla moglie Fastrada, raccontava i progressi della scara, l’esercito, che dall’Italia aveva mosso verso le partes Avariae guidato dal giovane re Pipino, all’epoca poco più di un bambino, il duca dell’Istria e probabilmente il duca del Friuli (Pohl 2017, 380-381). Carlo è esplicito nel raccontare come l’esercito italiano varcasse i confini degli Avari il 23 aprile – “decimo Kalendas Septembris” –; dopo alcune ore di marcia, ma nel medesimo giorno avrebbero incontrato il uualum degli Avari, catturando centocinquanta guerrieri. Lì, racconta Carlo, i Franchi avrebbero trascorso la notte – “ipsa nocte” [34]. Fortificazioni ai limiti dell’Avaria sono attestate da numerosi autori (Pohl 2017, 540, nota 325); suggestivo è che il uualum muniva le vie di accesso al Friuli e all’Italia; sorgeva, come le clusae dei Longobardi, presso il confine.

Assetti simili si verificavano altrove: negli Annales regni Francorum, per esempio, leggiamo chiaramente di come, in occasione delle campagne militari del 787, Trento appartenesse al regnum Langobardorum, mentre Bolzano era parte della Baviera, difficile dire a quale altezza della Valle dell’Adige corresse il confine, probabilmente a nord di Merano (Albertoni 1995, 2006; Winckler 2018, 23) [35]. Paolo Diacono raccontava come re Liutprando avesse conquistato numerosi castra dei Bavari: erano probabilmente queste le fortificazioni che segnavano i confini con i Longobardi (HL, 6.58, 187; Landi 2005). Attorno all’Ottocento, il celebre capitolare di Thionville fissava dei nodi lungo la frontiera orientale, che avevano un’apparente funzione di controllo sugli scambi e i movimenti ai limiti dell’Impero; alcuni come Lorch, l’antica Lauriacum, non ne segnavano il confine, trovandosi in una posizione arretrata rispetto a questo (Hardt 2014) [36].

5. Paolo racconta laconicamente le trasformazioni della frontiera e dei territori che si estendevano oltre a questa, offrendo al lettore una dimensione cronologica degli eventi. Negli anni che precedettero la conquista di Alboino dell’Italia, la Pannonia è soprattutto il terreno di scontro tra eserciti barbari, un luogo in parte mitico in cui le azioni dei Longobardi assumevano una dimensione eroica che sembrava rispondere ai gusti della nascente epica carolingia, echeggiati da racconti di qualche decennio posteriori come Hildebrandslied o Waltharius, anche questi ambientati, per lo meno a tratti, in Pannonia (Borri 2020) [37].

Nelle sezioni narrative che seguono la conquista longobarda, la Pannonia diviene la terra degli Avari e degli Slavi, questi ultimi posti in un rapporto di sudditanza con i primi, come raccontato in alcuni memorabili passaggi delle cronache attribuite a Fredegario [38]. Su Slavi e Avari, Paolo racconta poco: non fornisce alcun antroponimo, né titoli istituzionali, con l’eccezione di qagan, il re degli Avari (Pohl 2017, 354-360). Paolo sembra voler narrare un evolversi dei rapporti che correvano oltre il confine orientale. Inizialmente, i Longobardi figurano come alleati di Avari e Slavi: Alboino avrebbe stretto un foedus perpetuum con i primi (HL, 1.27, 69); Agilulfo una pax perpetua (HL, 4.4, 117), il re avrebbe anche inviato maestri d’ascia presso di loro (HL, 4.24, 125; Pohl 2017, 195); Slavi e Avari avrebbero offerto sostegno militare ai Longobardi (HL, 4.28, 125-126, Pohl 2017, 195). Successivamente le relazioni cambiano e il conflitto domina la narrazione.

Il racconto della conquista avara di Cividale del 610 sembra echeggiare celebri avvenimenti della storia di Roma. La fortezza sarebbe stata consegnata al re degli Avari da Romilda, la moglie del duca, poiché si era innamorata del sovrano nemico, come nel racconto di Tarquinia e Tito Tazio (HL, 4.37, 129-130; Borri 2016, 158-159). Dopo la conquista di Cividale numerosi friulani sarebbero stati portati via dai conquistatori, “in Avarorum patriam”; qui Paolo inserisce il racconto della sua famiglia (Cammarosano 1993). Un avo chiamato Lopichis, catturato dagli Avari, avrebbe deciso di tornare in Italia. Nel cammino, il longobardo avrebbe incontrato un villaggio abitato da Slavi, dove un’anziana signora – vetula – l’avrebbe ospitato fino a che non aveva avuto modo di recuperare le forze [39]. È stato suggerito come la Sclavorum habitatio che Lopichis avrebbe incontrato lungo il suo percorso si trovasse in Carniola (Štih 2010, 149); nel racconto di Paolo la donna aveva nascosto e accudito l’avo segretamente: un indice, forse, di come l’insediamento si trovasse nel territorio controllato dagli Avari (Winckler 2018, 25) [40]. Il racconto è di grande suggestione e dominato da necessità letterarie: Lopichis mosse per giorni in un territorio montuoso e apparentemente desolato accompagnato da un lupo, “aliquot dies per montium solitudines”. Non sappiamo se si trattasse di un espediente retorico o un riflesso della geografia delle regioni di frontiera che nella concezione romana si facevano progressivamente più selvagge allontanandosi dal Mediterraneo (Whittaker 1994). Il cammino attraverso le solitudines per raggiungere la terra promessa dopo la prigionia in terra pagana riverbera lontano; al contempo è suggestivo come anche il poema De Pippini regis victoria Avarica magnificamente ricordasse i “montes, silvas atque colles” che si estendevano oltre i confini dell’Italia [41]. Possiamo nondimeno immaginare il cammino di Lopichis: Jaroslav Šašel ha ribadito come dal Bacino Pannonico, dove gli Avari probabilmente condussero i prigionieri catturati a Cividale, due sono le vie per giungere in Italia: attraverso Poetovio, oggi Ptuj in Slovenia o attraverso Siscia, Sisak in Croazia, menzionata negli Annales regni Francorum all’anno 822, per poi passare per Emona e infine lungo il Carso entrando in Italia presso il Monte Nanos, forse, come dicevamo, il mons Regis (Šašel 1992, 822) [42].

Come suggerisce questo passaggio, le regioni oltre il Friuli hanno raramente una toponomastica definita. Abbiamo nondimeno incontrato la regio Sclavorum chiamata Zellia fino a Medara (HL, 4.38, 132); la Carniola nel territorio di Emona (HL, 6.52, 183; Štih 2010, 123-135); più a nord, Paolo ricordava Carnuntum e i Carantani (HL, 5.22, 152, Štih 2010, 108-122).

6. Come si evince dagli esempi presentati fino a questo momento, le frontiere orientali del regno erano aperte [43]. Una celebre legge di re Ratchis imponeva un controllo strettissimo sui movimenti all’interno e ai confini del regno; il medesimo sovrano legiferava contro chi lo lasciasse senza l’autorizzazione del sovrano (l’Avaria figurava tra queste mete proibite), ma è possibile che queste misure nascessero dalle necessità dell’imminente guerra con i Franchi (Pohl 2001) [44]. In altre circostanze, gli ambasciatori degli Avari arrivavano in Italia, così come quelli dei Longobardi raggiungevano la Pannonia; i viaggi dovettero essere pratica comune. Abbiamo visto come l’avo di Paolo Lopichis giungesse in Italia senza ostacoli (HL, 4.37, 131-132).

Gli aristocratici longobardi che volevano sottrarsi alle insidie interne al regno riparavano presso Avari e Slavi. Pertarito sarebbe stato anni presso il qagan (HL, 5.22, 152, Pohl 2017, 327), mentre Pemmone, duca del Friuli, si preparava a fuggire in Sclavorum patria (HL, 6.51, 182). Nei giorni che seguirono la caduta del regno, un certo Aio si sarebbe rifugiato presso gli Avari – “in partbus Avariae” – e lì sarebbe stato catturato da re Pipino giunto nel 791 in Pannonia con gli eserciti franchi (Štih 2000, 20) [45]. Harald Krahwinkler ha parlato di una Emigrantenkolonie di Longobardi presso gli Avari (Krahwinkler 1992, 138). Sappiamo poi che l’aristocrazia di origine friulana poteva esprimersi nella lingua degli Slavi, un riflesso degli intensi e frequenti contatti (HL, 4.44, 135). Anche la frontiera che separava la Venetia longobarda dall’Istria e Ravenna era regolarmente varcata: salpando dall’Istria, gli aristocratici longobardi potevano cercare rifugio in territorio imperiale (HL, 6.3, 166). Il dato materiale conferma come il Friuli di quegli anni fosse aperto alle influenze imperiali, un elemento che ci porta all’importante ruolo dei commerci (Villa 1997; McCormick 2001, 523).

Numerosi scambi attraverso la frontiera dovettero essere infatti di natura economica. Almeno alla metà dell’VIII secolo, le greggi potevano pascolare tra i territori dei Friulani e degli Slavi (HL, 6.24, 172). Alla fine del medesimo secolo, il bestiame si muoveva nei territori romani come in quelli longobardi e sembrerebbe che proprietà ecclesiastiche si estendessero a cavallo dei confini politici, come nel caso delle terre del patriarcato di Grado che, negli anni di Fortunato II, ebbero una loro vicenda propria (Wickham 1985; Marano 2022) [46].

A nord dell’Italia, numerose testimonianze registrano gli scambi che avvenivano lungo le frontiere imperiali. Il menzionato capitolare di Lorch, attesta i commerci tra Francia, Baviera e le regioni a est di queste [47]. Il celebre racconto di Samo, un mercante franco che “exercendum negucium in Sclavos coinomento Winedos perrexit”, divenendo lì un sovrano, conferma l’esistenza di reti commerciali: gli schiavi erano probabilmente tra i beni più remunerativi [48]. Michael McCormick ha suggerito come i proventi che avrebbero garantito il successo economico dell’Europa nei secoli centrali del Medioevo giungessero proprio dal commercio altomedievale di schiavi, principalmente catturati durante le guerre di Carlo Magno in terra pagana a nord, come a oriente dell’Impero; il Friuli sarebbe stato tra i principali punti di accesso ai mercati mediterranei (McCormick 2001, 778-798) [49].

Soprattutto attraverso la frontiera giungevano informazioni, il titolo di qagan, di cui si è parlato, originava dall’Asia Centrale a indicare come conoscenze giungessero da est, attraversando. Un caleidoscopio di nomi e racconti di luoghi distanti che sono la materia di cui sono costituite le narrazioni che ci sono giunte. Questi scambi erano vitali per la salute del regno: l’Historia Langobardorum si chiudeva con una pace tra re Liutprando e gli Avari come una condizione lodevole e apprezzata (HL, 6.58, 187).

7. Numerosi episodi raccontano i conflitti di frontiera e le eroiche e un po’ disperate gesta dell’aristocrazia friulana; qui è possibile percepire il gusto per l’epica che caratterizzerà la corte carolingia in alcuni anni. Paolo narra di un’aristocrazia gagliarda e violenta, con altissime concezioni di onore e fedeltà, soprattutto ricordandone le titaniche disfatte (Halsall 2021; HL, 4.37, 129-130; 5.19, 151). La morte del duca Lupo, presso il locus Flovius, forse Ajdovščina nella Valle del Vipacco, lo vede soverchiato dall’enorme esercito degli Avari (HL, 5.19, 151; Štih 2010, 145); in un’altra storia, un uomo chiamato Argait e il duca Ferdulfo portano l’intera aristocrazia friulana alla morte per una questione di onore e male parole (HL, 6.36; Balzaretti 2008). Tutti questi episodi vengono raccontati per la loro carica aneddotica, piuttosto che per il valore storico dei singoli eventi. A volte sono chiaramente artefatti o abbelliti: storie come quella del duca Vectari presupponevano un’elaborata intertestualità, ponendosi in rapporto con altri racconti, idealmente noti al pubblico (HL, 5.23, Borri 2016, 132-133).

Nondimeno, i medesimi racconti ci permettono di comprendere il discorso diffuso in quel periodo sulla frontiera dell’Italia e sulle élite che la controllavano. Noi sappiamo che l’aristocrazia friulana sarebbe stata la più facoltosa e potente di Italia, l’unica ad avere ricchezze e capacità d’azione paragonabili a quelle delle aristocrazie d’Oltralpe (Wickham 1998). La guerra altomedievale era, infatti, un’attività molto redditizia, mossa da ragioni economiche e volta a cementare la coesione aristocratica, piuttosto che da necessità tattiche (Duby 1979; Reuter 1985): vivere presso una frontiera aperta come quella friulana offriva pertanto numerosi vantaggi. Il ruolo del Friuli sembrerebbe confermato anche da un documento di inizio IX secolo dove si elencano le città dell’Istria che era stata romana. Trieste bizantina, ai confini con il Friuli longobardo, era chiamata numerus Tergestinus, dove il numerus è il reparto più piccolo dell’esercito imperiale tardoantico: una dicitura che sembrava riflettere la natura militare dell’insediamento [50]. Nel racconto di Paolo, i Friulani sono il potere egemone della regione in grado di imporre, fino alla metà dell’VIII secolo, tributo agli Slavi (HL, 4.38, 132). I Longobardi muovono sempre con l’exercitus, che non solo si traduce con il moderno esercito, ma rappresenta l’insieme degli uomini liberi dotati di diritti; gli Slavi invece sono in un’occasione chiamati latrunculi, barbari senza stato (HL, 6.24, 172; Štih 2000, 32). Questo potere si dovette riflettere anche all’interno del regno: nell’VIII secolo, due sovrani longobardi sarebbero provenuti dall’aristocrazia longobarda, così come i duchi di Benevento a partire dalla metà del VII secolo.

* * *

Pochi anni dopo la conquista del regnum, i Franchi avrebbero sottomesso anche gli Avari, unificando così, dopo secoli, i territori che il confine orientale separava. La conquista franca avrebbe grandemente mutato i rapporti di forza nella regione integrandola nel sistema di frontiere carolingio (Wolfram 2001; Pohl 2001b, 258-259; Gasparri 2001): per due generazioni il confine nordorientale dell’Italia si sarebbe esteso profondamente a est, seguendo il corso del Danubio, e a sud, lungo la costa dalmata (Borri 2020). È all’ombra dell’impero che in queste regioni le strutture politiche e sociali si sarebbero drammaticamente complicate, portando alla formazione di nuove entità statali.

Si tratta comunque di un altro episodio che andrà trattato in un’altra sede.

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  • Winckler, Katharina. 2012. Die Alpen im Frühmittelalter: die Geschichte eines Raumes in den Jahren 500 bis 800. Köln, Weimar-Wien: Böhlau.
  • –, 2012b. “Between Symbol of Power and Customs Station: Early Medieval Fortifications in the Eastern Alps according to written sources.” In Atti della Accademia Roveretana degli Agiati 262: 107–127.
  • –, 2018. “Grenzen in einer grenzenlosen Zeit? Frühmittelalterliche Herrschaftsräume in den Alpen.
  • In Histoire des Alpes/ Storia delle Alpi/ Geschichte der Alpen 23: 17-29.
  • –, 2020. “Raumwahrnehmung und Aneignung von Raum in den frühmittelalterlichen Ostalpen.” In Der Ostalpenraum im Frühmittelalter, a cura di Maximilian Diesenberger, Stefan Eichert, Katharina Winckler, 35-54. Wien: VÖAW.
  • Wolfram, Herwig. 1995. Salzburg, Bayern, Österreich. Die Conversio Bagoariorum et Carantanorum und die Quellen ihrer Zeit. Wien-München: Böhlau.
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  • Woodward, David. 1987. “Medieval mappae mundi. In The History of Cartography I: Cartography in Prehistoric, Ancient, and Medieval Europe and the Mediterranean, a cura di J. B. Harley and David Woodward, 286-370. Chicago: University of Chicago Press.
  • Zaccaria, Claudio. 1986. “Il governo romano nella Regio X e nella provincia Venetia et Histria.” In Aquileia nella “Venetia et Histria”, 65-103. Trieste: Tipografia Chiandetti.

Note

1. Anonimo di Ravenna, Cosmographia, in particolare il libro IV, 44-83.

2. Giona di Bobbio, Vita Columbani, 1.27, 216-217.

3. Appendix at Alcvini epistolas, n. 2, 484-490 (484): “in Sclavorum montibus et abietum demitudine”.

4. La bibliografia sulla cospicua opera di Paolo Diacono è molto ampia: interpretazioni divergenti su finitezza dell’opera, luoghi di produzione e pubblico sono Goffart 22005 e McKitterick 1998. Rimando inoltre al recente Heath 2017, un’ottima monografia che anche riassume il dibattito storiografico degli ultimi decenni, e Pohl 2004.

5. HL. Tr. Capo, 87; “ab occiduo vero et aquilone iugis Alpium ita circumcluditur, ut nisi per angustos meatus et per summa iuga montium non possit habere introitum; ab orientali vero parte, qua Pannoniae coniungitur, et largius patentem et planissimum habet ingressum”.

6. Isidore of Seville, Etymologiae, 14.4.17; Thomsen 1947, 254-255.

7. Itinerarium Burdigalense, 88.

8. Štih 2010, 194: “It ran from Tarsatica (Trsat near Rijeka) in the Kvarner Gulf in the south to the Gailtal valley in Carinthia in the north”. Sui claustra Alpium; Šašel 1992, 368–xxx; Winckler 2012b; Albertoni 2005.

9. Tr. Gandino, 95: “Venetia enim non solum in paucis insulis, quas nunc Venetias dicimus, constat, sed eius terminus a Pannoniae finibus usque ad Adduam fluvium protelatur. Probatur hoc annalibus libris, in quibus Bergamus civitas esse legitur Venetiarum. Nam et de lacu Benaco in historiis ita legimus: “Benacus lacus Venetiarum, de quo Mincius fluvius egreditur”.

10. Mantova: Isidoro di Siviglia, Etymologiae, 15.1.59; Lago di Garda: ibid., 13.19.7.

11. HL, 2.9, 77–78: “prima est Italiae provincia”.

12. Epistolae Austrasicae, n. 41, 196-200.

13. Gregorio Magno, Epistolae, 10.15, 249-250 (249). Si veda tuttavia la discussione: Margetić 1983, 146.

14. “Ratchis denique aput Foroiuli dux, ut dixeramus, effectus, in Carniolam Sclavorum patriam cum suis ingressus, magnam multitudinem Sclavorum interficiens, eorum omnia devastavit”.

15. Annales regni Francorum, a. 820, 153: “Carniolenses, qui circa Savum fluvium habitant”.

16. Chronicarum quae dicuntur Fredegarii, 4.72, 157. Wolfram 1995b, 301-303; Fischer 2020; Pohl 2017, 217, 319.

17. Liutprando, Leges, (713) prologus, 108: “una cumomnibus iudicibus tam de Austriae et Neustriae partibus, necnon et de Tusciae finibus”, (729) prologus, 150; HL, 5.39, 154.

18. Epistolae Austrasicae, n. 20, 136-138 (138): “septentrionalem plagam Italiamque”. Collins 1983.

19. Gregorio di Tours, Libri Historiarum 3.32, 128. Inoltre: Loseby 2016.

20. Annales Laureshamenses, a. 791, 34: “Sed et ille tunc eius exercitus quem Pippinus filius eius de Italia transmisit, ipse introivit in Illyricum et inde in Pannonia, et fecerunt ibi similiter, vastantes et incendentes terram illam, sicut rex fecit cum exercitu suo ubi ipse erat”.

21. Eginardo, Vita Karoli Magni, c. 15, 24: “post quam utramque Pannoniam et adpositam in altera Danubii ripa Daciam, Histriam quoque et Liburniam atque Dalmaciam”.

22. HL. Tr. Capo, 163; “Noricorum siquidem provincia, quam Baioariorum populus inhabitat, habet ab oriente Pannoniam, ab occidente Suaviam, a meridie Italiam, ab aquilonis vero parte Danubii fluenta”. Giordane, Getica, c. 281, 130.

23. HL. Tr. Capo, 273; “ad Sclavorum gentem in Carnuntum, quod corrupte vocitant Carantanum”. Winckler 2020, 44: “Zusätzlich findet sich der Versuch, neue politische Einheiten in römischen Kontext einzubetten, auch bei seiner Gleichsetzung des Herzogtums der Baiern mit der römischen Provinz Noricum”.

24. Codice diplomatico Veronese, n. 147: “Tempore regis Pipini, quum adhuc ipse puer esset, gens Hunnorum alias Auares dicta, Italiam cum exercitu invasit. Cuius rei haec caussa fuit, quia exercitus Francorum, et praesertim dux Foroiuliensis, Hunnos, qui inter Italiam, et Danubium in Pannoniis habitabant, assiduis populationibus infestabant […]”, citato in Krahwinkler 1992, 147, nota 163.

25. Andrea da Bergamo, Historia, c. 4, 224. Su questo: Gasparri 2004; Moro 2004.

26. HL. Tr. Capo; 221; “Hi suo tempore Sclavorum regionem quae Zellia appellatur usque ad locum qui Medaria dicitur possiderunt”.

27. HL. Tr. Capo, 87; “ad extremos Italiae fines”.

28. MGH, SS rer. Lang., 76: “Monte Maggiore, quem ex archivi capitularis Forojuliensis fenestris mihi monstravit canonicus de Orlandis, mense Aprili, nive coopertum, narravitque, totam inde conspici posse terram Friulanam, nominarique nunc etiam Monte del Re. BE. Nomen huic narrationi ansam praebuisse, verisimile est”.

29. Astolfo, Leges, 5, 197.

30. Winckler 2012b, 114: “The fortifications were always built in the valleys of the Alps, near the pre-alpine plains on fitting hilltops or narrow points and never on the heights of the passes themselves. Accordingly the frontier-zone was always situated in the valley and not on the pass – a concept that got lost only in the last centuries”.

31. Annales regni Francorum, a. 817, 147: “omnes aditus, quibus in Italiam intratur, id est clusas, impositis firmasse praesidiis”.

32. “Communierant se quoque Langobardi et in reliquis castris quae his vicina erant”.

33. “Cormones, Nemas, Osopo, Artenia, Reunia, Glemona, vel etiam in Ibligine, cuius positio omnino inexpugnabilis existit”. Sull’identicazione di Ibligo con Iplis: MGH, SS rer. Lang., 129; Invillino: Bosio 1987.

34. Epistolae variorum, n. 20, 528: “Et expoliaverunt ipsum uualum; et sederunt ibidem ipsa nocte vel in crastina usque hora diei tertia. Et acceptis expoliis reversi sunt in pace”.

35. Annales regni Francorum, a. 787, 78: “ut domnus Pippinus rex venisset usque ad Trianto cum exercitu suo et ipse ibi maneret et exercitum suum pleniter in ante mitteret usque ad Bauzanum”.

36. MGH, Capit. I, nn. 23-24, 120-126.

37. Hildebrandslied; Waltharius.

38. Ad esempio: Chronicarum quae dicuntur Fredegarii 4.48, 144-145. Su questo: Fischer 2020. Inoltre: Curta 1997.

39. “ad habitaculum hominum pervenit. Erat enim Sclavorum habitatio in illis locis”.

40. “Ducta autem misericordia super eum, abscondit eum in domo sua et secreto paulatim ei victum ministravit, ne, si ei usque ad saturitatem alimoniam praeberet, eius vitam funditus extingueret”.

41. De Pippini regis victoria avarica, 8.3, 117.

42. Annales regni Francorum, a. 822, 158.

43. Štih 2000, 34: “nicht „dicht“”

44. Ratchis, Leges, 9, 190: “Si quis iudex aut quiscumque homo missum suum diregere presumpserit roma, ravenna, spoleti, benevento, francia, baioaria, alamannia, ritias aut in avaria sine iussione regis, animae suae incurrat periculum, et res eius infiscentur”; 13, 192-193.

45. MGH, DD Karol. I., n. 187 (a. 799), 251-251.

46. MGH, DD Karol. I, n. 200 (a. 803), 269-279 (269, l. 29): “in Istria, Romandiola, seu Longobardia”.

47. . MGH, Capit. I, nn. 23-24, 120-126.

48. Chronicarum quae dicuntur Fredegarii 4.48, 144-145.

49. MGH, Capit. I, nn. 23-24, 120-126.

50. Placitum Risani, 76. Ferluga 1987, 167-169.