Storicamente. Laboratorio di storia

Dossier

La ricezione del sionismo nella stampa cattolica italiana (1897-1917). Una ricerca in corso

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Abstract
This article intends to examine the reception of the first Zionism by the Italian Catholic press close to the Holy See: "Osservatore Romano" and "Civiltà Cattolica". Three years are analysed in this study: 1897, birth of Zionism; 1904 visit of the Zionist leader Theodor Herzl to the Pope in Rome; 1917, Balfour Declaration. Particular attention has been paid to the 1897, crucial moment for the political European Anti-semitism. For this year have been examined also some local intransigent Catholic newspapers. Principal aim of this research is highlighting how the Holy See reacted to the Zionist project of settling a Jewish State in Palestine.

Premessa

La reazione della stampa cattolica italiana alla nascita e alla diffusione del sionismo negli anni di fine Ottocento e primo Novecento, fino alla svolta della dichiarazione Balfour del 1917 con la concessione inglese di un focolare ebraico in Palestina, è un tema che non è stato ancora molto approfondito dalla storiografia, che ha scelto di concentrarsi soprattutto sul periodo della prima guerra mondiale, sugli anni del Mandato Britannico (1922-1948) e sui rapporti fra Vaticano e stato di Israele dopo il 1948[1].

Ad oggi, lo studio più esauriente per il periodo precedente al Mandato è ancora il lavoro di Sergio Minerbi [2008], che ha focalizzato il suo importante volume sui rapporti politico-diplomatici fra il Vaticano e le altre nazioni, prendendo anche in considerazione i contatti avvenuti fra la Santa Sede e i leaders sionisti dal 1897 al 1917. Tuttavia, pur avendo usato nel proprio lavoro la stampa cattolica ufficiale, Minerbi non ne fa oggetto specifico di trattazione, ma la usa esclusivamente come fonte.[2] Sempre Minerbi inoltre, in una ricerca probabilmente propedeutica al volume, ha affrontato più nel dettaglio le dinamiche intercorse all’interno del Vaticano di fronte alle posizioni sioniste durante la grande guerra, avvalendosi in maniera più diffusa degli organi di stampa ufficiali ed ufficiosi della Santa Sede [Minerbi 1967]. Vi sono poi altri studiosi, come ad esempio, Renato Moro, Annalisa Di Fant, Michele Nani e di recente Valerio Marchi, che hanno preso in considerazione in lavori incentrati su altri temi, anche la questione della ricezione del sionismo nel cattolicesimo italiano[3]; mentre Raffaella Perin, nella sua tesi di dottorato ha fornito un interessante contributo alla conoscenza dei fatti soprattutto grazie ai documenti consultati nell’Archivio Segreto Vaticano, inerenti ai rapporti fra la Chiesa e il sionismo in occasione della morte di Theodor Herzl[4].

Dopo il lavoro pionieristico di Minerbi, ciò che ha caratterizzato la maggior parte della produzione storiografica su questo tema è stata da parte dei successivi autori la ripresa costante e spesso acritica delle stesse fonti, che ha condotto in alcuni casi a riproporre i medesimi errori formali nella loro citazione[5], e che nonostante un indubbio approfondimento della lettura ed evidenziazione di alcuni elementi rispetto ad altri, non ha portato a significativi progressi nella ricerca rispetto ai risultati raggiunti da Minerbi. Un’attenta ricostruzione dei rapporti diplomatici tra la Chiesa e la Terra Santa si trova negli studi di Daniela Fabrizio, le cui ricerche si sono incentrate sulla controversa questione dei Luoghi Santi [Fabrizio 2000; 2004].

Finora inoltre non è stato fatto sul tema del rapporto fra la Chiesa e il sionismo delle origini uno spoglio mirato su testate del cattolicesimo intransigente di provincia, sicuramente meno autorevoli dell’«Osservatore Romano» e di «Civiltà Cattolica», ma altrettanto importanti per toccare con mano quale fosse all’epoca la reazione del mondo cattolico e del “paese reale” alla nascita e alla diffusione del sionismo, tenuto conto anche della delicata questione dei Luoghi Santi, assolutamente centrale per la politica diplomatica della Chiesa cattolica[6].

Theodor Herz
Theodor Herz

Non va infatti trascurato il fatto che il movimento sionista nacque ufficialmente proprio a ridosso della campagna cattolica europea anti-dreyfusarda, mentre in Austria-Ungheria si affermava sulla scena politica della capitale il partito cristiano sociale con a capo Karl Lueger, borgomastro di Vienna dal 1895[7]. Un momento pertanto cruciale per la storia dell’ebraismo europeo da una parte e, della Chiesa contemporanea dall’altra, che vide in questi anni la progressiva trasformazione del tradizionale antigiudaismo in antisemitismo politico, propagandato e sostenuto anche dalla stampa cattolica locale, con linguaggi e stereotipi di sovente più espliciti e meno raffinati di quelli usati dalle testate più vicine alla Santa Sede, seppure erano state queste ultime a dare l’avvio alla campagna antisemita [Miccoli 1997].

Vi è poi a mio avviso un’altra pista di indagine che andrebbe presa in considerazione per comprendere meglio le posizioni dei cattolici e della stampa cattolica italiana sull’evolversi del movimento sionista fra fine Ottocento e primo Novecento. Sarebbe infatti utile interrogarsi sulle reazioni degli ebrei italiani, anche quelli non sionisti, agli incontri avvenuti nel 1904 e nel 1917 tra autorevoli esponenti del movimento sionista internazionale e la Santa Sede[8], in quanto si può affermare che vi era attenzione da parte della stampa ebraica italiana, anche di quella non filo-sionista, nei riguardi di ciò che le testate cattoliche italiane, anche quelle provinciali, sostenevano nei riguardi del sionismo[9]. In questo modo il quadro dei rapporti fra ebrei e chiesa cattolica si articolerebbe meglio e attori e punti di vista diversi tra loro entrerebbero in gioco, restituendoci una realtà più frammentata e complessa di quella ricostruita dagli studi politico-diplomatici.

Il principale obiettivo di questo lavoro è quello di prendere in esame la stampa cattolica più vicina alla Santa Sede, «La Civiltà Cattolica» e «L’Osservatore Romano», in modo da capire attraverso la lettura di queste due testate quale fosse stata all’epoca la ricezione di tre eventi importanti nella storia del sionismo: la fondazione ufficiale del movimento al I Congresso di Basilea nel 1897; la visita a Roma del leader del sionismo mondiale Theodor Herzl e il suo incontro con Papa Pio X nel 1904; la visita di Nahum Sokolow in Vaticano e i primi commenti a caldo dopo la Dichiarazione Balfour nel novembre 1917.

Si intende poi confrontare quanto emerge da questa stampa cosiddetta “ufficiosa”, sempre molto attenta e misurata nelle sue considerazioni in merito agli eventi indicati, con le informazioni desunte sui medesimi avvenimenti da alcune testate cattoliche locali più o meno prestigiose ed influenti e a quanto sembra da un primo sondaggio meno caute e più esplicite nella loro avversione al sionismo nei loro interventi. Tale verifica a più ampio spettro è stata fatta soprattutto per il 1897, ed è stata condotta su alcune riviste del cattolicesimo intransigente di provincia di una certa importanza e diffusione. Le testate consultate sono quelle dell’intransigentismo cattolico: «Osservatore Cattolico» di Milano, «Eco di Bergamo»; «Unità Cattolica» di Firenze; «Voce della Verità» di Roma e «Amico» di Trieste, ma tranne che per quest’ultima testata, non è stato al momento possibile estendere la ricerca agli altri due momenti qui presi in esame, il 1904 e il 1917[10]. Va inoltre evidenziato come in realtà tutte le riviste cattoliche fossero sottoposte nei loro contenuti ad un capillare controllo centrale.

Del resto in questa prima fase del lavoro ci si è concentrati maggiormente sull’inizio del sionismo e sul 1897[11], in quanto anche in seguito allo scoppio nell’autunno dello stesso anno dell’Affaire Dreyfus, la campagna antisemita avviata dalla stampa cattolica trovò in questo periodo uno dei suoi punti più alti, rispetto alle date successive qui analizzate, caratterizzate invece da un abbandono dello strumento propagandistico dell’antisemitismo da parte della Chiesa, anche a causa degli alterni risultati dell’uso politico.

Alla luce di quanto è emerso da questa prima indagine, al di là della irrinunciabile questione per la Chiesa della salvaguardia dei Luoghi Santi, in questi periodici di modesta caratura intellettuale, ma di vasta diffusione popolare, per contrastare il sionismo furono usati in modo incisivo tutti gli stereotipi più noti dell’antisemitismo.

La ricerca è tuttavia ancora in itinere, altre testate cattoliche di provincia andrebbero consultate per il 1904 e 1917, poiché il mio sondaggio per queste date si è limitato alla «Civiltà Cattolica» e all’«Osservatore Romano».

Infine, andrebbe fatto un analogo lavoro anche sulla stampa cattolica vicina ai cattolici moderati e andrebbero consultate altre fonti, quali ad esempio carteggi di esponenti di rilievo del movimento cattolico italiano, in modo da vedere quali erano gli orientamenti su questi temi di un altro importante e non trascurabile versante della Chiesa italiana, i cui rapporti con l’ebraismo non sono ancora stati approfonditi come invece l’importanza del tema meriterebbe.

Questo contributo vuole essere una prima riflessione sulla ricezione della fase iniziale del sionismo nella stampa cattolica semi-“ufficiale”. Nelle pagine che seguono pertanto, sarà data centralità soprattutto al 1897, anno di nascita del movimento sionista, durante il quale le maggiori testate cattoliche italiane, e anche quelle di provincia, commentarono e discussero con toni più o meno duri, spesso infarciti da stereotipi antisemiti, l’affacciarsi sulla scena politica internazionale del nuovo movimento nazionale ebraico, che rivendicava come territorio la Palestina.

Attenzione inoltre verrà data anche al 1904, anno della visita di Theodor Herzl in Italia e suo incontro con il Re e con il Pontefice, per poi concludere con la Dichiarazione Balfour del 1917, autentico momento di svolta per il movimento sionista, percepito da questo momento con maggiore allarme dalla Chiesa e di conseguenza dalla stampa cattolica, preoccupata per la salvaguardia dei Luoghi Santi.

La nascita ufficiale del sionismo nel 1897 e le prime reazioni della stampa cattolica

Il primo articolato commento sul progetto degli ebrei sionisti di fondare un nuovo stato ebraico in Terra Santa fu pubblicato nella stampa cattolica semi-ufficiale il 20 aprile 1897 sulla rivista dei gesuiti di diffusione internazionale «La Civiltà Cattolica» da un anonimo estensore, identificato in padre Raffaele Ballerini[12].

L’articolo, La Dispersione d’Israello per il mondo moderno, pur non usando mai nel testo la parola sionismo, già nel titolo allude al tema della condanna divina nei confronti degli ebrei, in modo da influenzare da subito i lettori contro gli obiettivi dei sionisti di rientrare in Palestina [Bensoussan 2007]. Su questa affermazione incentrata sulle Sacre Scritture e sugli scritti di Agostino[13] tese a giustificare in modo inoppugnabile l’impossibilità del ritorno a Gerusalemme per gli ebrei, si sono soffermati gli storici che hanno preso in esame l’articolo, tanto citato, ma spesso trattato frettolosamente dalla storiografia, soprattutto quella americana[14], che ha tralasciato invece di analizzare la cornice storica entro la quali sono state enunciate queste affermazioni.

Si tratta di un intervento lungo, che esige una attenta lettura e che va contestualizzato anche nel periodo in cui fu pubblicato, non a caso quello pasquale e durante l’intensificarsi sulla stampa cattolica anche italiana della campagna antiebraica, sull’onda dell’affermazione del partito cristiano-sociale in Austria-Ungheria, indicata spesso come la nazione più sottomessa agli ebrei.

In esso sono presenti molti dei temi della polemica antiebraica cattolica dell’epoca: la condanna dell’emancipazione civile degli ebrei, che è qui interpretata anche come causa principale dell’antisemitismo moderno; la condanna divina a essere un popolo eternamente in diaspora, lontano da Gerusalemme e dalla Terra Santa fino al giorno del giudizio e della conversione di tutti i non cristiani; l’accusa agli ebrei di tramare segretamente all’interno delle rispettive nazioni, legati dall’appartenenza a una medesima stirpe, ovunque stranieri e ritenuti una nazione nella nazione[15]; l’interesse costante degli ebrei per la pratica dell’usura e per i facili guadagni, da cui il periodico fa derivare la loro presunta incapacità di lavorare la terra e la diffusa debolezza morale.

L’articolo inizia argomentando le deleterie conseguenze per il mondo cristiano causate dall’emancipazione civile degli ebrei in Europa, frutto della Rivoluzione francese, che è ripresa non a caso da Ballerini anche nelle conclusioni, con l’intento di chiudere il suo ragionamento, ponendo l’accento sull’origine della situazione di criticità nella quale i cristiani a suo avviso vivono in molti degli stati europei. Nella parte centrale dello scritto l’attenzione del lettore è convogliata sulla ricostruzione anche quantitativa della presenza ebraica in Europa, nella quale spicca l’uso di un lessico infarcito di stereotipi di animalizzazione degli ebrei, già rilevati a suo tempo anche da Giovanni Miccoli [1997, 1437]. Ballerini infatti sostiene che la «stirpe giudaica pullula con maggiore fecondità», scrive che «circa sessantamila si annidano nella città di Parigi», e afferma che «il formicolaio però è sempre nelle terre dell’antica Polonia, e nelle prossime che lo circondano»[16].

Collegata inoltre al tema dell’impossibile ritorno degli ebrei in Palestina, è la parte dell’articolo dedicata a illustrare i fallimenti delle colonie agricole fondate e finanziate dal barone Hirsch in Argentina: secondo Ballerini questo esperimento non è riuscito per due motivi:

La prima, che il giudeo di lavori faticosi, specialmente campestri, non vuol saperne; e l’esperienza prova esser più facile trovare una mosca bianca, che non un ebreo contadino. L’altra, che le condizioni poste agli emigranti erano sì gravose, che riuscivano intollerabili […] Per lo che i poco più di seimila che navigarono per quella terra promessa, ne sono in buon numero tornati, preferendo il viver essi di usura in Europa […].[17]

L’intento di Ballerini era di sottolineare in questo passaggio che gli ebrei non erano adatti ai lavori agricoli e di conseguenza non preparati ad affrontare i disagi della Terra Santa.

Vi è poi una parte dello scritto dedicata dal gesuita alla situazione dell’Austria-Ungheria, definita un vero e proprio “feudo” degli ebrei, arginato solo grazie alla recente «vigorosa riscossa dei cristiano sociali»; un’altra parte è invece focalizzata sull’Italia, dove gli ebrei con l’emancipazione sono riusciti a ottenere posti di prestigio e di potere in tutto l’apparato amministrativo, politico e nel giornalismo. Ballerini afferma infatti: «Quindi non è da stupire che in Italia pure, contro gli ebrei, come per tutto altrove, prenda fiamma quell’animosità, che viene giustificata dal titolo di legittima difesa dei diritti più sacri della natura: e sono la coscienza da salvare e la borsa da conservare»[18].

A questo punto, dopo avere illustrato le caratteristiche a suo avviso negative dell’integrazione degli ebrei nei paesi dell’Europa centro occidentale, Ballerini riprende nuovamente il tema della Palestina, affermando che tra i vari rimedi studiati

per liberare la cristianità dalla piaga giudaica, si propone spesso quello di scacciarli da’ suoi confini, di rilegarli nuovamente nella Palestina e costringerli, coll’oro carpito ai popoli dell’Europa, a ristabilirsi nella pristina loro terra, a riunirvisi in corpo e rifarvisi nazione, rifabbricando una opulenta Gerusalemme, che risorgerebbe metropoli del Regno loro.[19]

Il progetto tuttavia non sembrava percorribile neanche a un sostenitore degli ebrei come l’economista francese Pierre Paul Leroy-Beaulieu, ricorda Ballerini, riproponendo le motivazioni sollevate dallo studioso, che vedeva nell’approvvigionamento di viveri, nell’estensione del territorio e nella presenza dei Luoghi Santi gli ostacoli principali ad accogliere un così elevato numero di ebrei in Palestina.[20]

Va notato come l’articolista si rifiuti di ascrivere agli ebrei l’intenzione autonoma di ristabilirsi in Palestina, ma presenti al contrario il progetto come rimedio escogitato dai cristiani per liberarsi di essi. Questo stratagemma discorsivo gli permette però di chiudere l’articolo con due punti che gli stanno, a quanto sembra, particolarmente a cuore e che egli definisce gli unici rimedi possibili per evitare il rientro ebraico in Terra Santa e la supremazia ebraica nei paesi dove sono stati emancipati. Il primo rimedio è individuato nella condanna delle Sacre Scritture alla dispersione degli ebrei; mentre il secondo, definito esplicitamente «il rimedio più pratico, più alla mano e più efficace» è individuato nell’opera politica dei cristiano-sociali, che tende a ripristinare la situazione di discriminazione effetto di quella condanna divina.

È proprio su quest’ultimo punto dell’antisemitismo politico usato strumentalmente dai cristiano-sociali che vorrei soffermarmi, in quanto l’articolo di Ballerini apre una diversa prospettiva nella lettura dei rapporti che caratterizzarono prima del 1917 i rapporti fra Santa Sede e i leaders sionisti, e non va trascurato il fatto che Herzl vivendo a Vienna, conoscesse bene gli strumenti e i temi usati dai cristiano-sociali in funzione antiebraica [Pulzer, 1988; Pauley, 1993].

Non è un caso pertanto che Ballerini concluda il suo lungo intervento dedicando proprio alla politica dei cristiano-sociali austriaci le considerazioni finali del suo scritto. Parlando di rimedio possibile contro l’eccessiva influenza ebraica, egli lo individua

nell’uso leale, dov’è lecito, di quell’arma stessa dei popolari suffragi, di cui l’ebraismo corruttore si è valso, per assoggettare a sé i paesi che lo hanno ospitato. Quando poi i voti del maggior numero siano in mano dei Parlamenti cristiani, si potrà vedere fino a qual punto la parità dei diritti, concessa al disperso Israello, sia da mantenere, sia da togliere, sia da riformare.[21]

Un messaggio esplicito ai lettori di «Civiltà Cattolica», che da un lato pone in altra luce anche gli interventi che si ebbero negli anni successivi in concomitanza dei Congressi sionistici, nei quali il ruolo dell’ebraismo austriaco, ma soprattutto viennese venne sempre messo negativamente in rilievo; e dall’altro invece sembra sollevare una cauta critica alla politica astensionistica della chiesa in Italia.

Nel corso del 1897 su «La Civiltà Cattolica» uscì sul sionismo solo questo lungo intervento di Ballerini, mentre al I Congresso sionista di Basilea che si tenne in agosto, la rivista dedicò un trafiletto, nel quale però si sosteneva erroneamente che fosse il secondo congresso e non il primo.[22]

Dal canto suo l’altro periodico vicino alla Santa Sede, «L’Osservatore Romano» [Leoni 1970; Di Fant 2002, 17-18], fondato nel 1861, era intervenuto già nel giugno del 1894 e nel maggio del 1895 con due brevi articoli nei quali si commentava, ma in modo ancora fugace il progetto sionista, non senza tuttavia mettere in campo la più tradizionale e antica delle accuse antigiudaiche, quella del deicidio, assieme alla condanna divina alla diaspora, che venne come si è visto ripresa con maggiore forza nel 1897.

Nell’annunciare infatti il progetto di apertura di un’università ebraica a Gerusalemme con il finanziamento dei Rothschild e degli Hirsch, così si esprime l’anonimo articolista:

Sia questo un nuovo mezzo di richiamo dei Giudei nella loro antica metropoli? Si comincerebbe così a verificare il ritorno predetto nelle Sacre Carte degli spersi figliuoli di Giuda nella città deicida, per ivi rendere l’ultimo ossequio al divino Redentore del genere umano?

Ad ogni modo, vi è chi non vedrebbe di mal occhio spopolarsi l’Europa e il mondo cristiano da questi nomadi […].[23]

Ritroviamo qui un tema, quello dell’allontanamento degli ebrei dall’Europa proposto come un rimedio da alcuni antisemiti, che Ballerini riprese proprio all’inizio del suo articolo, e che all’epoca probabilmente fu oggetto di discussione all’interno del mondo cattolico. Di condanna divina alla dispersione vi è cenno anche nel breve articolo Gli ebrei in Palestina, pubblicato nell’agosto del 1896.[24]

Nei mesi che anticiparono il I Congresso di Basilea l’«Osservatore Romano» uscì con due interventi: il primo dedicato alla preparazione degli ebrei americani all’imminente congresso, nel quale il periodico mise in rilievo come il progetto degli ebrei ricchi «vampiri d’Europa» fosse di fare della Palestina una sorta di rifugio per «gli inabili e gli impotenti al lavoro», sottolineando nelle conclusioni la velleità di tale prospettiva[25]. Il secondo intervento invece era solo un breve accenno al fatto che gli ebrei si stavano già attrezzando con delle navi fornite dai Rothschild per il loro prossimo trasferimento a Gerusalemme[26].

Nonostante l’attenzione fosse abbastanza alta negli ambienti vaticani nei riguardi dei progetti sionisti, le prime notizie sul Congresso di Basilea svoltosi a fine agosto 1897, furono alquanto laconiche e asettiche, secondo uno schema poi ripreso anche dalla stampa locale, anche se, come si vedrà, con alcune eccezioni[27]. Più incisivo e collegato in parte all’impianto discorsivo riscontrato in «La Civiltà Cattolica», si presenta l’articolo pubblicato dal periodico all’indomani del congresso, dove la ricostruzione della presenza ebraica nel mondo è accompagnata dall’uso dell’animalizzazione degli ebrei, comparati questa volta alle immense mandrie, che popolano le praterie della Pampas nel nuovo mondo».

Per l’«Osservatore Romano» l’impossibilità di avere una statistica corretta sul numero degli ebrei in Europa, era una prova evidente della fondatezza della condanna di Dio alla dispersione: «È ancora una prova novella dei vani tentativi che ora fa per darsi una patria, essendo che come per la nequizia sua il Figliuolo dell’uomo non aveva una pietra sopra cui poggiare il capo, così essa non deve avere un palmo di terra sopra cui posare il piede»[28].

In definitiva le due più autorevoli pubblicazioni cattoliche si pronunciarono nel corso del 1897 con toni spesso irrisori e denigratori nei riguardi del sionismo e senza manifestare, almeno apertamente all’opinione pubblica, l’esistenza di una seria preoccupazione per il progetto sionista di fondare uno stato ebraico in Palestina.

Al contrario è ben noto che la chiesa si mobilitò subito per acquisire maggiori informazioni sui possibili scenari futuri, richiamando a Roma mons. Bonetti all’epoca rappresentante apostolico a Costantinopoli per trattare la delicata questione con la diplomazia francese, in quanto all’epoca la Francia era responsabile degli interessi cattolici in Terra Santa.[29]

Per quanto riguarda invece altre testate cattoliche italiane, va detto che l’interesse nei riguardi del sionismo, a differenza delle posizioni assunte tempestivamente da «La Civiltà Cattolica» e dall’«Osservatore Romano» giunse, ad eccezione dell’«Osservatore Cattolico» di Milano[30], all’indomani del I Congresso di Basilea, ma si caratterizzò per il numero di articoli e per l’asprezza dei toni usati rispetto alla linea adottata dai due periodici ufficiosi.

Sull’«Osservatore Cattolico» uscirono cinque articoli nel mese di settembre; cinque ne uscirono sulla «Voce della Verità» di Roma; due sull’«Amico» di Trieste; mentre l’«Unità Cattolica» di Firenze fra fine agosto e settembre pubblicò cinque articoli e «L’Eco di Bergamo» ne pubblicò due. Dagli studi di Valerio Marchi inoltre, apprendiamo che anche «Il Cittadino Italiano», il periodico cattolico del Friuli, nel corso del 1897 intervenne sulla questione del sionismo e della Palestina [Marchi 2011, 161-165; Urettini 2007], così come intervennero anche i giornali cattolici torinesi studiati da Michele Nani [2006, 190-191].

Ci troviamo pertanto di fronte a un materiale abbastanza ricco, che pur essendo in parte ripreso nei contenuti dalle testate ufficiali italiane e straniere [Di Fant 2002], tuttavia presenta spazi di riflessione autonoma, che vale la pena indagare più nel dettaglio. Per il 1897 di maggiore interesse per le posizioni assunte sul sionismo sono gli interventi pubblicati in due periodici: l'«Osservatore Cattolico» e la «Voce della Verità».

Ad esempio, nell’«Osservatore Cattolico», considerato il maggiore periodico intransigente del Nord Italia [Di Fant 2002, 19], stupisce non poco il brusco passaggio nell’arco di nemmeno una settimana da un tono asettico, che nel descrivere il Congresso di Basilea adotta il termine – in voga nel mondo liberale e fra gli ebrei stessi – di «israeliti» e riporta seppure in modo stringato e senza ulteriori commenti le decisioni principali dell’assemblea[31], ad un linguaggio invece ricco di stereotipi e di temi propri dell’antisemitismo politico. Ci si trova difatti di fronte ad un progressivo aumento degli attacchi nei riguardi del sionismo, che si concretizza nel sapiente uso del singolare per indicare in realtà tutti gli ebrei, come nell’articolo Il Giudeo in cerca di un regno[32], dove si annuncia il progetto sionista, e si mette in rilievo l’incapacità degli ebrei, nonostante il possesso del denaro, di realizzare i loro desideri: «Poiché gli ebrei così potenti per oro non sono ancora riusciti a cesellare questo oro in corona. Quel popolo che regna dappertutto, si affligge di regnare in nessuna parte»[33]. Anche qui sono intrecciati sapientemente alcuni stereotipi tradizionali: quello del possesso dell’oro, quello dell’ebreo errante e quello invece più recente, che stigmatizza la capillare presenza degli ebrei nei ruoli di rilievo delle società europee, frutto secondo la chiesa della Rivoluzione francese e della conseguente emancipazione civile e politica degli ebrei [cfr. Brice, Miccoli 2003].

Nei giorni seguenti il periodico intervenne nuovamente, commentando questa volta in prima pagina, da un lato le reazioni al congresso di Basilea di alcuni antisemiti, definiti «lieti che gli ebrei pensassero ad andarsene a disinfettare l’Europa», e che erano andati a suo dire ad applaudire i discorsi di Herzl; e dall’altro introducendo un argomento poco affrontato, quello delle reazioni negative al sionismo politico di gran parte dell’ebraismo francese e tedesco, strumentalmente lette dal periodico come una chiara testimonianza della poca forza e serietà politica del movimento [34].

Passaggio quest’ultimo importante, perché il sionismo andava a inscriversi per le sue caratteristiche e per la struttura organizzativa voluta dallo stesso Herzl in quell’insieme di movimenti di rivendicazione nazionale, che all’epoca caratterizzarono lo scenario europeo [Berkowitz 1993]; pertanto l’attacco doveva essere condotto dalla chiesa non solo sul piano teologico, ma anche su quello politico. Infine, vi era nella gerarchia cattolica la costante cura di minimizzare l’importanza della nascita del sionismo, e perciò in chiusura l’articolo si affrettava a fugare nei lettori il dubbio che la chiesa nutrisse delle preoccupazioni a riguardo, come al contrario affermava la stampa liberale[35].

Nel mese di settembre l’«Osservatore Cattolico» usciva con un editoriale dedicato al sionismo e alla figura dell’ebreo errante[36], stereotipo della condanna divina alla dispersione, nel quale riecheggiavano temi e figure quali l’usura, il cosmopolitismo, l’incapacità di lealtà alla nazione di appartenenza, già proposte e trattate nel primo, pioneristico saggio di «Civiltà Cattolica», analizzato in precedenza[37]:

L’ebreo errante s’aggira, s’aggira: accumula capitali, istromenti del lavoro, tesoreggia, monopolizza, usuraio che ha in mano le dei mille e mille popoli, fra i quali erra senza diventare mai sangue e carne di un solo focolare di quei popoli, e quando gli pare che la sua bisaccia di viaggio sia colma abbastanza per ritornare a Sionne, egli tenta chiamare a raccolta i dispersi figli di Israele a condurli là, là alla terra promessa di giorni che furono ma che non torneranno più.

e dove si ritornava anche sulla questione dell’atteggiamento di generale indifferentismo manifestato dagli ebrei emancipati e liberali nei riguardi del sionismo, usando l’artificio del singolare e facendo convergere tutti i mali della modernità nell’ebraismo, descritto come corrotto e vizioso:

Tra i rabbini, nelle sinagoghe, nella stampa ebraica la contraddizione, la confusione sul tema del sionismo è già ordine del giorno […] Parlate all’ebreo, parlate al libero pensatore, parlate al positivista del ritorno dell’ebreo a Sionne, della riedificazione del regno d’Israele, della maledizione di Dio che vieta in eterno la ricostituzione di quell’antico regno, di quella Gerusalemme, e positivista e libero pensatore, ed ebreo vi rideranno in viso, o non vi intenderanno: essi non intendono se non borsa e sport, vino, donna e canto.[38]

Anche «L’Eco di Bergamo», il quotidiano considerato tra i più moderati fra quelli intransigenti, faceva proprie queste posizioni asserendo che gli ebrei «preferiranno sempre dimorare tra le nazioni civili e ricche per dissanguarvi colle usure i cristiani»[39], e al tempo stesso metteva in luce un altro importante collegamento: quello fra la massoneria di Roma e l’ebraismo di orientamento liberale, per giustificare così le simpatie manifestate dai giornali liberali nei confronti del sionismo[40].

Per quanto riguarda il periodico dei cattolici intransigenti fiorentini, «L’Unità Cattolica», esso annunciava l’imminente convegno sionista riecheggiando nel titolo l’intervento di Ballerini in «La Civiltà Cattolica» e ponendo l’accento sul fatto che gli ebrei italiani probabilmente non avevano alcuna intenzione di andare a colonizzare la Palestina, in quanto impegnati a «sfruttare i goym del Bel Paese».[41] Nelle brevi corrispondenze successive, dedicate ai lavori del Congresso, il periodico mantenne tuttavia un linguaggio neutro e asettico, tranne che in una nota dove si commentava la chiusura dei lavori e si ironizzava sul prezzo imposto dal Sultano per la vendita della Palestina agli ebrei[42].

Di ben altro tenore invece il giornale romano, «La Voce della Verità», che nel corso delle prime due settimane di settembre pubblicò un paio di articoli fra i più polemici e denigratori degli ebrei e del progetto sionista, attingendo a piene mani stereotipi e temi dal già citato articolo di Ballerini, e lanciando anche un durissimo attacco alla stampa liberale italiana, che si era schierata in favore del sionismo accusando la Chiesa cattolica di preferire in Terra Santa la presenza dei «turchi infedelissimi» a quella ebraica[43].

In un altro articolo pubblicato in prima pagina durante i giorni del Congresso sionista, la «Voce della Verità» accanto alla tradizionale condanna divina, riproposta per rassicurare i lettori dell’impossibilità dell’attuazione del progetto, argomentava ulteriormente l’infondatezza della ricostituzione di un regno ebraico in Palestina, asserendo che oramai «gli ebrei stessi non sono più adatti a formare una nazione», in quanto privi della capacità di dedicarsi ai lavori agricoli, e inclini a «errare per il mondo», risultando fondamentalmente infedeli a qualsiasi patria.

In definitiva i temi antiebraici usati in funzione strumentalmente antisemita dalla stampa cattolica erano gli stessi, anche se con declinazioni e sfumature che variavano molto secondo la città e i collaboratori del periodico.

Ad esempio il tenore e il contenuto degli articoli dell’«Amico», il settimanale cattolico diretto da Ugo Mioni, erano più vicini a quelli dei cristiano-sociali austriaci, ai quali lo stesso Mioni si appoggiava, anche se con delle riserve, per condurre la lotta politica nella Trieste asburgica[44]. Il periodico, infatti, usa un linguaggio graffiante ed esplicito, fatto di continui rimandi alle tradizionali accuse dell’antigiudaismo come il deicidio e l’omicidio rituale, dimostrandosi più attento rispetto ai periodici italiani ai rimedi politici a disposizione della chiesa per arginare la temuta presenza ebraica. Tali posizioni si spiegano con il ruolo, seppur marginale, che i cristiano sociali avevano conquistato in quel periodo nel mondo cattolico di Trieste e del Litorale austriaco.

1904 e 1917: dalla visita di Herzl alla svolta della dichiarazione Balfour

Negli anni successivi continuò l’attenzione della stampa cattolica italiana nei confronti del sionismo; in concomitanza dei congressi uscirono dei resoconti dai toni meno accesi rispetto a quelli adottati nel 1897[45], fino a giungere nei primi anni del secolo ad un silenzio quasi completo su quanto stava accadendo in ambito sionista, interrotto saltuariamente da qualche sporadica notizia[46]. Questo calo di interesse coincise con il venire meno dell’attenzione nei riguardi della questione sionista e anche ebraica, che caratterizzò l’atteggiamento della chiesa sulla stampa nei primi Novecento [Miccoli 2004, 27]. Ciò tuttavia non significò da parte del Vaticano disinteresse totale nei riguardi dei progressi del sionismo; come ha bene illustrato Minerbi vi fu sul versante politico e diplomatico una costante attenzione, soprattutto rivolta alla salvaguardia dei Luoghi Santi[47].

Tale mutamento di posizione pubblica è comprensibile se lo contestualizziamo all’interno di quello che fu dagli anni Ottanta e fino agli inizi del XX secolo l’uso dell’antisemitismo nella propaganda cattolica.[48] Esso fu usato come strumento per colpire il mondo liberale e il diffuso laicismo e anticlericalismo, dei quali i cattolici vedevano gli ebrei come massimi rappresentanti. Giovanni Miccoli ricorda che la chiesa giocò, proprio negli anni dell’Affaire Dreyfus e dell’affermazione dei cristiano-sociali a Vienna e in Austria-Ungheria, tutte le sue carte per riconquistare la sua antica egemonia nella società. Tale clima contribuì a portare alla rottura dei rapporti dei cattolici con la Francia ed ebbe nei primi del Novecento l’effetto conseguente di attenuare la campagna antisemita sulla stampa, visto il finale esito negativo dell’impegno cattolico nelle fila antidreyfusarde [Miccoli 2004, 23 e 26-27], mentre sulla stampa provinciale il filone antisemita continuò ad essere ripreso di tanto in tanto, soprattutto in occasione dei congressi sionisti [Marchi 2011, 171-177].

A dare l’idea di quanto fossero stati anni difficili per gli ebrei quelli del papato di Leone XIII, ci aiuta un bilancio fatto dagli stessi ebrei sul «Corriere Israelitico» in occasione della morte del pontefice, avvenuta nel luglio del 1903:

E nemmeno gli stessi organi ufficiali o ufficiosi del Vaticano serbarono un indirizzo più benevolo verso di noi. La Voce della Verità, la Civiltà Cattolica, e l’Osservatore Romano non aiutarono certo alla lotta contro i pregiudizi religiosi e la fola degli omicidi rituali.

Così passammo questo quarto di secolo sempre più peggiorando e nel timore di un avvenire ancora più fosco. Ed oggi siam giunti al punto, che dobbiamo chiuder gli occhi e abbandonarci alla corrente, come fa un annegato quando sa che non c’è più speranza di salvarsi[49].

Un chiaro segnale che nella Chiesa cattolica vi era stato un mutamento di strategia nei confronti degli ebrei e quindi del sionismo, si desume dal silenzio che caratterizzò la stampa ufficiosa del Vaticano in occasione della visita del leader sionista Theodor Herzl a Papa Pio X il 25 gennaio 1904, preceduta tre giorni prima da un colloquio con il cardinale Merry del Val [Nahon 1966; Nahon 1960].

Né «La Civiltà Cattolica», né tantomeno l’«Osservatore Romano» pubblicarono un rigo su questi due incontri, che da quanto scrive Herzl nei suoi diari, ebbero come tema la delicata questione dei Luoghi Santi, e come risultato un cortese, ma fermo rifiuto del pontefice ad appoggiare in qualsiasi modo gli obiettivi dei sionisti [Minerbi 1988, 303.][50].

Sappiamo dai Diari di Herzl e da alcuni suoi carteggi con il Presidente della Federazione Sionista Italiana, l’avvocato Felice Ravenna, che in realtà la preparazione dell’incontro con Pio X non fu un’impresa facile. Essa tuttavia stava particolarmente a cuore al leader del sionismo mondiale, che con lungimiranza aveva bene compreso quanto la Chiesa poteva influire sul piano diplomatico e spirituale, in positivo e in negativo, nei futuri piani sionisti di stabilire uno stato ebraico in Palestina [cfr. Minerbi 1988, 152]. In una sua lettera a Felice Ravenna del settembre 1903, Herzl con grande chiarezza illustrò le ragioni per le quali desiderava tanto conferire con il papa:

Nou ne voulons que la terre profane en Palestine. Nous n’avons pas l’idée de toucher aux lieux saints même de loin.

Les lieux saints doivent être extraterritorialisés pour tojours, res sacrae extra commercium du droit des gens. Cette proposition je veux la faire accepter et protéger par le Pape, comme le Souverain spirituel respecté et reconnu même par le chrétiens des autre églises [cfr. Nahon 1960, 242].

Il fatto che in occasione dell’incontro un profondo silenzio caratterizzasse gli organi di stampa cattolici può essere inteso anche come l’espressione da un lato di una preoccupazione per l’evolversi del movimento sionista, tanto ridicolizzato agli inizi da tutti i periodici qui analizzati; e dall’altro da un atteggiamento del Vaticano improntato alla cautela, considerato anche che il papato di Pio X era iniziato da poco.

Da quanto si legge nella stampa ebraica su questo incontro, sembra che anche Herzl avesse preferito tacere sui suoi esiti negativi e sulla chiusura totale manifestata da Pio X nei riguardi del sionismo, accentuando la favorevole accoglienza avuta dal Re Vittorio Emanuele.

Fuorviante rispetto alla realtà degli avvenimenti è il resoconto di Dante Lattes sul «Corriere Israelitico», nel quale si afferma:

Il papa avrà pensato che in ogni modo lo spettacolo è bello e che il Dio pietoso della Bibbia non può che benedire gli sforzi di coloro che ebbero da Lui una missione civile ed umana nel mondo […] Il papa deve pensare che il ritorno degli Ebrei nella Terra dei loro padri è voluto dalla Bibbia e, se si effettuasse, sarebbe il più gran segno della verità delle Profezie che ce lo promisero. Se insomma la politica non ci mette il suo bastone, rendendo vana tutta la simpatia che il nostro movimento desta nelle menti moderne, Re Vittori Emanuele e Papa Pio X […] saranno fra i sostenitori non meno augusti del nostro risorgimento […].[51]

Un altro scenario nei rapporti fra ebrei e Vaticano si delineò nel corso del 1917, prima della Dichiarazione Balfour, durante il papato di Benedetto XV, succeduto a Pio X nel settembre 1914, quando nel corso di alcuni incontri avuti con il leader sionista Nahum Sokolow nel maggio dello stesso anno, il pontefice manifestò una prima apertura dettata da ragioni umanitarie nei riguardi del movimento nazionale ebraico[52]. A differenza di Herzl, che aveva capito la chiusura politica e diplomatica del Vaticano verso il sionismo, Sokolow a detta di Minerbi, si rivelò più ingenuo del suo predecessore, scambiando alcune espressioni di cortesia del papa per una reale svolta nella politica della Santa Sede [Minerbi 1988, 152]. Nell’incontro del 1917 la particolare situazione politica generata dal conflitto in corso e il timore della Chiesa per i futuri equilibri della Palestina, già indicata come probabile protettorato inglese, contribuirono a focalizzare il tema sulla questione della tutela dei Luoghi Santi, dei quali la Santa Sede intendeva discutere con le grandi potenze e non con gli ebrei.[53]

Pur essendo in parte cambiato il clima nei rapporti fra ebrei e Santa Sede e tenuto conto del fatto che il cardinale Gasparri e monsignor Pacelli nel corso dei rispettivi incontri con Sokolow manifestarono solidarietà umana per le persecuzioni contro gli ebrei in atto in Russia e il congedo del Pontefice al rappresentante sionista si concluse con la famosa frase «saremo buoni vicini», anche in questa occasione la stampa ufficiale cattolica scelse di non dare notizia degli incontri, adottando la linea già tenuta nel 1904[54].

I primi articoli sull’«Osservatore Romano» risalgono a dicembre 1917, cioè dopo la Dichiarazione Balfour, mentre su «La Civiltà Cattolica» si affrontò l’argomento appena nel 1919 [Caviglia 1981, 81-82; Fabrizio 2000]. Bisognerebbe perciò fare uno spoglio della stampa cattolica di provincia per verificare se questa assenza di notizie fosse in realtà presente anche a livello locale. Tale prolungato silenzio della stampa più vicina alla Santa Sede su di un tema così sensibile derivava forse dal fatto che nei primi mesi del 1917 gli equilibri politici apparivano ancora troppo fluidi, nonostante l’accordo Sykes-Picot del 1916 – l’internazionalizzazione della parte centrale della Palestina – avesse dato speranza al Vaticano per la futura destinazione dei siti tanto cari alla Chiesa [cfr. Minerbi 1988, 155-159].

Fino alla Dichiarazione Balfour, i rapporti tra ebrei e Santa Sede sembrarono essere migliorati anche perché il Vaticano confidava in un aiuto da parte ebraica per partecipare alla futura Conferenza di Pace, (cosa che poi non avvenne) [Minerbi 1988, 167], ma anche perché il sionismo era ancora visto dalla Chiesa come un’utopia.

Con la Dichiarazione Balfour del 2 novembre 1917 la situazione mutò radicalmente e la concessione di un focolare nazionale ebraico in Palestina sotto il protettorato britannico mise il Vaticano di fronte a un fatto compiuto, facendo sorgere il timore che gli ebrei potessero, come sostiene Minerbi, governare autonomamente senza uno stretto controllo degli inglesi[55]. Anche in questo caso si prese tempo prima di uscire sulla stampa, infatti, appena un mese dopo, nel dicembre 1917, «L’Osservatore Romano» pubblicò sei articoli sulla questione, in nessuno dei quali però si riscontra l’uso di un linguaggio infarcito di stereotipi antisemiti paragonabile a quello rintracciabile negli articoli del 1897. Ciò non significa tuttavia che l’ostilità della Chiesa nei confronti del movimento nazionale ebraico fosse sopita: semplicemente sul piano politico e diplomatico viste le incertezze e la prossima Conferenza di Pace, era più opportuno mantenere un profilo defilato.

La prima notizia della Dichiarazione Balfour l’«Osservatore Romano» la diede il 4 dicembre 1917, riportando gli esiti di una manifestazione svoltasi a Londra nella quale gli ebrei per mezzo di Lord Rothschild espressero la loro profonda riconoscenza al governo britannico per il sostegno dato al sionismo, Al meeting partecipò anche Lord Robert Cecil, il quale soprattutto in un passaggio del suo discorso toccò uno dei punti che maggiormente preoccupavano la Chiesa. Lord Cecil infatti sostenne che

Una delle cause per le quali la Gran Bretagna è entrata in guerra è stata quella di assicurare a tutti i popoli il diritto di governarsi da sé stessi e di svilupparsi senza timore della minaccia dei loro grandi vicini. In questa via una delle più grandi misure che noi abbiamo preso è il riconoscimento del sionismo. È la prima misura costruttiva in quella che sarà, lo speriamo, la nuova riorganizzazione del mondo dopo la guerra. Non è soltanto il riconoscimento di una nazionalità è la rinascita di una nazione, che avrà una influenza importante per la storia del mondo e conseguenze incalcolabili sulla razza umana futura.[56]

Una legittimazione ufficiale del sionismo e dei suoi obiettivi territoriali che senza dubbio sollevò timori nelle alte sfere del cattolicesimo, in merito alla futura gestione politica dei Luoghi Santi. Non è un caso che il periodico riportasse il resoconto del meeting, senza tuttavia aggiungervi alcun commento o considerazione.

La capitolazione di Gerusalemme e l’entrata degli inglesi a Gerusalemme furono salutate dalla Santa Sede con una certa apprensione[57], anche se l’«Osservatore Romano» si espresse in toni più positivi, esprimendo in una nota di redazione soddisfazione per il fatto che «la Città Santa sia in mano di una potenza cristiana piuttosto che di una potenza non cristiana»[58]. Obiettivo dell’articolo era probabilmente quello di enunciare le aspettative della Santa Sede. Infatti si aggiungeva:

Tale sentimento di compiacenza è tanto più grande e ragionevole quando si pensi ai concetti di libertà e di equanimità che ispirano gli atti dell’Inghilterra: giacché essi fanno bene sperare che siano riconosciuti e rispettati nella terra che fu culla della religione cristiana i diritti e gli interessi della Chiesa Cattolica.[59]

Più incisivi altri due interventi, apparsi nei giorni successivi.

Nel primo fu pubblicata la parte saliente del discorso del Cardinale Vicario di Roma, Basilio Pompili, che nell’annunciare ai romani la notizia della presa di Gerusalemme, esprimeva accanto alla gioia anche un profondo rammarico per il fatto che non tutti i liberatori appartenevano alla «fede voluta da Cristo», alludendo al fatto che pur essendo cristiani, non tutti erano cattolici. Pompili infatti chiudeva la sua allocuzione con l’auspicio di una redenzione comune nel nome di Cristo: «affinché tutti gli infedeli, rinnegati gli antichi errori, si ritrovino presto fratelli nella città consacrata dall’amore di Gesù Cristo».[60]

Le parole di Pompili furono riprese il giorno successivo con l’intento di porre l’accento soprattutto sul loro intento spirituale, nell’accentuazione di una auspicabile ricomposizione in Terra Santa di tutte le chiese cristiane nel cattolicesimo. Per quanto riguarda invece la presenza ebraica, sancita dalla Dichiarazione Balfour, nemmeno un cenno, ma al contrario una completa omissione[61].

Nei tre momenti salienti per i rapporti tra la Santa Sede e il movimento sionista qui analizzati, il 1897 acquisisce senza dubbio una sua centralità per quanto riguarda l’uso strumentale di un discorso antisemita sulla stampa ufficiosa cattolica, che fece da apripista per i temi e i linguaggi sviluppati poi sulla stampa cattolica provinciale di orientamento intransigente.

Quest’ultima infatti, a seconda della sua locazione geografica e dell’ambiente culturale locale, oltre a cogliere le tematiche principali enunciate su «La Civiltà Cattolica», diede in alcuni casi un suo proprio ed originale contributo alla messa in circolazione di nuovi stereotipi antiebraici, spesso enunciati con maggiore virulenza rispetto ai due periodici vicini alla Santa Sede. Ciò è imputabile ad una strategia messa in opera dal Vaticano, che non potendosi esporre oltre un certo limite per equilibri diplomatici, lasciava libere le testate locali ad esso vicine di dialogare con ben altri toni con il “paese reale”. Di rilievo inoltre per questa prima fase la fiducia che queste testate dimostravano di avere nei confronti dell’operato dei cristiano-sociali, che venivano additati spesso come rimedio concreto e immediato al temuto dilagare dell’ebraismo nella società liberale.

Nell’arco di tempo qui preso in esame il sionismo venne nella prima fase spesso ridicolizzato su queste riviste, per essere poi dal 1904 considerato un autentico e serio pericolo per i Luoghi Santi, la cui salvaguardia rappresentò uno dei nodi centrali nella politica vaticana dall’indomani della Dichiarazione Balfour.

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Note

[1] Sui rapporti tra il Vaticano e la Palestina durante la grande guerra vedi: Fabrizio 2000; dal Mandato Britannico e fino alla nascita di Israele: Lapide 1967; Klein 1974; Feldblum 1977; Stevens 1981; Rokach 1987; Kreutz 1990. Rimando inoltre alla bibliografia citata in Moro 1988, 1054; Mendes 1990; Giovannelli 2000.

[2] Per il periodo successivo a quello qui analizzato: Caviglia 1981. Per un’analisi delle reazioni della stampa cattolica americana dopo la dichiarazione Balfour: Feldblum 1977. Non si sono invece soffermati sul tema dei rapporti fra Vaticano e sionismo gli autori della monografia dedicata al periodico gesuita «La Civiltà Cattolica»: Taradel, Raggi 2000.

[3] Moro 1988, in particolare 1053-1063, dove affronta però il periodo successivo a quello di nostro interesse; Di Fant 2002, in particolare le pagine 69-74, dedicate all’eco del Congresso di Basilea del 1897 nella stampa cattolica. Vedi anche Marchi 2011, 161-178; Nani 2006, 190-191.

[4] Perin 2010, 19-21, dove si ricostruisce la decisione del Vaticano di non dare alcun cenno ai sionisti dopo la comunicazione della morte prematura di Herzl nel 1904, pochi mesi dopo aver incontrato Papa Pio X.

[5] Ad esempio Rokach 1987, 11 e 209, cita erroneamente la data del saggio di Ballerini su «La Civiltà Cattolica», datandolo 1 maggio e non 20 aprile 1897. Lo stesso Minerbi 1988, 304, fa lo stesso errore riprendendo la citazione dell’articolo da Feldblum 1977.

[6] Fa eccezione l’accurato studio di Di Fant 2002.

[7] Sull’ascesa a Vienna del partito cristiano sociale e del suo leader Karl Lueger: Boyer 1981; Boyer 1995. Vedi inoltre per un quadro generale di Vienna e del periodo di Lueger: Wistrich 1990 (1° ed. 1989), 205-237.

[8] Non mi sento di condividere infatti le considerazioni espresse da Canepa 1992, in merito al rapporto di Pio X con gli ebrei, che mi sembrano poco documentate dalle fonti citate. A riguardo condivido quanto afferma Perin 2010, 19.

[9] Da un primo, rapido sondaggio emergono nei maggiori periodici ebraici italiani interessanti punti di vista, che andrebbero sondati più a fondo.

[10] Per un generale inquadramento delle riviste sopracitate: Malgeri 1981; Majo 1992; Giovannini 2001.

[11] Colgo l’occasione per ringraziare di cuore Annalisa di Fant che gentilmente mi ha messo a disposizione le sue riproduzioni di alcune testate cattoliche non facilmente reperibili.

[12] L’attribuzione degli articoli (non firmati fino al 1933) si ricava dagli indici generali della rivista. Su «La Civiltà Cattolica» vedi: Taradel, Raggi 2000, ma anche Luzzatto Voghera 1987. Cenni sulla rivista anche in De Felice 1956.

[13] A riguardo cfr. Marchi 2011, 167-168, che riprende nel suo volume questo articolo soffermandosi sulla parte della condanna divina. Stimolanti inoltre le riflessioni di Nani 2006, 190-191.

[14] Cfr. Stevens 1981, 102, che ricordando questo primo articolo della «Civiltà Cattolica», senza peraltro citarne gli estremi nella nota, afferma che: «It was stated that the Jews knew only one type of livelihood, one based on usury. At the same time, it was noted that from a theological point of view, there was no divine promise that the Jews would return to the land of Palestine but only that, before the end of time, they would be converted». Stevens nel suo saggio cita altri interventi anti-sionisti del periodico in concomitanza con i successivi congressi sionisti del 1898 e 1899, come del resto fa anche Klein 1974, 11-16. Rokach 1987, 11, invece liquida in poche righe l’inizio del sionismo e le reazioni della chiesa cattolica, citando sempre «La Civiltà Cattolica», ma con la data errata del 1 maggio 1897, senza nemmeno inserire il titolo dell’articolo, e riportando una citazione assemblata dalla pagina iniziale e da quella finale con alcune inesattezze di traduzione, decontestualizzandola da tutto il resto del testo. Probabilmente l’errore primario, come si è detto, deriva dal testo di Feldblum 1977, 15.

[15] Elemento questo sottolineato anche in Taradel, Raggi 2000, 100-101, che tuttavia non collegano l’articolo al tema del sionismo.

[16] R. Ballerini, La dispersione d’Israello pel mondo moderno, «La Civiltà Cattolica», a. 48, X, 1897, 260-263.

[17] Ivi, 263.

[18] Ivi, 267.

[19] Ivi, 268.

[20] Ivi, 268-269.

[21] R. Ballerini, La dispersione d’Israello, cit., 271.

[22] Cose Straniere, «La Civiltà Cattolica», 48, XII, 1897, 103.

[23] Una università ebraica a Gerusalemme, «Osservatore Romano», 22-23 maggio 1895, 2.

[24] Gli ebrei in Palestina, in «L'Osservatore Romano», 16-17 agosto 1896, 2. In esso si afferma fiduciosi che «il sogno di ristaurare la Palestina a Stato giudaico non si realizzerà (…) Le sentenze divine non patiscono smentita, e gli sforzi umani giammai praevalebunt».

[25] Il nuovo Regno d’Israele, in «Osservatore Romano», 18-19 giugno 1897, 2.

[26] La flotta dei Rothschild, in «Osservatore Romano», 22-23 luglio 1897, 3.

[27] Il Congresso israelitico a Basilea, in «Osservatore Romano», 30-31 agosto 1897, 1.

[28] Gli Ebrei nel mondo, in «Osservatore Romano», 18-19 settembre 1897, 2.

[29] Notizia di una pronta azione diplomatica presso la Francia da parte della Chiesa fu data dal periodico ebraico italiano il «Vessillo Israelitico», settembre, 1897, nell’articolo Il papa ha paura, 297. In esso sono riportati i commenti di «La Perseveranza» del 7 settembre (organo dei moderati lombardi), e si comunica l’arrivo a Roma da Costantinopoli del rappresentante apostolico mons, Bonetti per trattare con la diplomazia francese e per discutere con il papa le misure da adottare contro il sionismo: cfr. Minerbi 1988, 146. La notizia fu riportata, come già noto, anche nel suo diario dallo stesso Theodor Herzl, che da Vienna il 9 settembre del 1897 la trovò in una nota del «Daily News» del 7 settembre. Sempre nella stessa giornata, Herzl riportò anche la copia di una lettera da lui inviata a mons. Ermigidio Taliani, Arcivescovo di Sebaste e nunzio apostolico, nella quale gli chiedeva un incontro per poter illustrargli il progetto sionista, come a suo tempo aveva fatto l’anno precedente con il suo predecessore mons. Agliardi. Vedi a riguardo: Pagine scelte dai diari di Teodoro Herzl 1958, 87-88.

[30] Sul periodico, prima del congresso, furono pubblicati due articoli: Notizie della Palestina, «L’Osservatore Cattolico», 19-20 maggio 1897, 3, nel quale si fa solo cenno all’aumento del numero degli ebrei provenienti da ogni nazione; e Gli ebrei si cercano una patria, 29-30 maggio, 1897, 3, dove si annuncia in modo asettico l’imminente congresso sionista. Rimando inoltre alla bibliografia citata da Annalisa Di Fant nel suo articolo pubblicato in questo dossier.

[31] Le Utopie Ebraiche, in «Osservatore Cattolico», 31 agosto-1 settembre 1897, 3 e Le Utopie Ebraiche, 1-2 settembre 1897, 3.

[32] Il Giudeo in cerca di un Regno, in «Osservatore Cattolico», 2-3 settembre 1897, 3.

[33] Ibidem, 3. Passaggio citato anche da Di Fant 2002, 72-73, ma con un’interpretazione legata al tema dell’ebreo errante.

[34] Cfr. Il sionismo , in «Osservatore Cattolico», 10-11 settembre 1897, 1.

[35] Su queste posizioni anche «L'Eco di Bergamo» che sottolineava in un articolo in prima pagina: Il Congresso degli ebrei, 3 settembre 1897, come fosse «del tutto falsa la notizia data dai giornali liberali ed ebreofili che il Vaticano abbia protestato contro la ricostituzione del regno giudaico in Palestina».

[36] L’ebreo errante. Sionismo, in «Osservatore Cattolico», 11-12 settembre 1897, 1. L’articolo è stato analizzato da Di Fant 2002, 72-73.

[37] R. Ballerini, La dispersione d’Israello pel mondo moderno, cit.

[38] L’ebreo errante. Sionismo, in «Osservatore Cattolico», 11-12 settembre 1897, 1.

[39] Nel già citato Il Congresso degli ebrei. Analoghe considerazioni furono fatte anche dalla «Voce della Verità», Proteste ebraiche contro il Congresso di Basilea, 11 settembre 1897, 1.

[40] Sul nesso ebraismo e massoneria: Taradel, Raggi 2000, 16-35; Germinario 2010, 70-76; Schreiber 2005.

[41] Il nuovo regno d’Israello!, in «Unità Cattolica», 24 agosto 1897, 3.

[42] Il Congresso israelitico di Basilea, in «Unità Cattolica», 3 settembre 1897, 2.

[43] Gli ebrei a Gerusalemme e i massoni a Roma, in «La Voce della Verità», 2 settembre 1897, 1.

[44] La questione giudaica, in «L’Amico», 19 settembre 1897, 1. Sull’antisemitismo dell’«Amico»: Catalan 2000, 273-283.

[45] Vedi ad esempio Le colonie Israelite in Palestina, in «La Civiltà Cattolica», 49, III, 1898, 252-256, dove sono descritti tutti i progressi fatti dai coloni ebrei. Rispetto l’anno precedente, la narrazione è pacata e asettica, priva di qualsiasi riferimento antisemita, anche perché si tratta di un pezzo tratto dalla «Contemporary Review», a firma di Giuseppe Prag. Una vena polemica riemerse invece in occasione del secondo e del terzo Congresso sionista: «La Civiltà Cattolica», 49, 1898, IV, 108-111; «La Civiltà Cattolica», 50, VII, 1899, p. 749. Cfr. anche Klein 1974, 11; Stevens 1981, 102; che citano entrambi questi due interventi della rivista gesuita; mentre Minerbi 1988, 147, si sofferma sulle considerazioni fatte da «La Civiltà Cattolica» in merito alla presunta rinuncia di Gerusalemme da parte dei sionisti.

[46] Nel 1902 «La Civiltà Cattolica» pubblicò un articolo in occasione del II Congresso sionista austriaco, nel quale ritornava sullo strapotere degli ebrei in Austria-Ungheria e metteva in evidenza il legame fra le logge massoniche e il sionismo: Il sionismo giudaico e l’influenza giudaica nella vita pubblica, 1902, 247-248. Citato anche in Klein 1974, 11.

[47] Minerbi 1988, 144-145, ricorda che Herzl già prima della fondazione ufficiale del movimento si fosse preoccupato di ottenere un incontro a Vienna con il rappresentante della Santa Sede, il nunzio Antonio Agliardi, per illustrare i progetti sionisti, senza però ottenere alcuna risposta positiva.

[48] Per una panoramica dell’evoluzione della propaganda antiebraica cattolica a mezzo stampa cfr. Di Fant 2010. Utile anche uno sguardo ai romanzi d’appendice presenti nella stampa cattolica, attraverso i quali furono veicolati alle masse molti degli stereotipi antisemiti qui rilevati. A riguardo cfr. Fasano 2008; che ha preso in esame anche due romanzi pubblicati sulla «Civiltà Cattolica». Per un inquadramento più generale sul rapporto letteratura e antisemitismo: Bonavita 2009.

[49] Leone XIII, in «Il Corriere Israelitico», n. 3, 1903, p. 65.

[50] Vedi anche Herzl 1956, 312, che riporta le parole del pontefice: «Noi non possiamo favorire questo movimento. Non potremo impedire agli Ebrei di andare a Gerusalemme-ma favorire non possiamo mai. La terra di Gerusalemme se non era sempre santa, è santificata per la vita di Jesu Cristo (…). Io come capo della chiesa non posso dirle altra cosa. Gli Ebrei non hanno riconosciuto nostro Signore, perciò non possiamo riconoscere il popolo ebreo». Non attendibile l’interpretazione di Canepa [1992, 364], che ascrive anche all’ostilità nei confronti del sionismo manifestata da una larga parte dell’ebraismo italiano il fatto che il pontefice non avesse potuto accogliere con favore le richieste di Herzl.

[51] Dante Lattes, Il dr. Herzl da Re Vittorio e dal Papa, «Il Corriere Israelitico», 29 febbraio 1904, 260-261. Più cauto invece il «Vessillo Israelitico», che valutò comunque in modo positivo l’udienza; Il papa e gli ebrei, fasc. II, 1904, 66.

[52] Un resoconto dettagliato di questa fase dei rapporti fra Vaticano e sionismo in Minerbi 1967.

[53] Minerbi 1988, 160. Minerbi sottolinea come vi fosse un diverso modo di intendere la definizione di Luoghi Santi fra le due parti: per i sionisti essi erano dei siti ben precisi, mentre per il Vaticano essi includevano anche il territorio nel quale erano situati.

[54] Come per il 1904, anche di questo incontro non vi sono resoconti, tranne quello scritto dallo stesso Nahum Sokolow a Weizmann e usato poi da tutta la storiografia che ha affrontato il tema: Minerbi 1988, 160. Lo stesso Minerbi inoltre mette in dubbio la presunta simpatia manifestata in quell’occasione da parte del Vaticano nei confronti del sionismo, non avendone trovata traccia nelle fonti da lui consultate, cfr. Minerbi 1988, 163-164.

[55] Cfr. Minerbi 1967, 434. In questo saggio vengono anche analizzati alcuni articoli di dicembre dell’Osservatore Romano, ma anche altra stampa cattolica provinciale, più esplicita in merito alle posizioni antisioniste del Vaticano.

[56] Cfr. L’Inghilterra, la Palestina e gli Ebrei, in «Osservatore Romano», 4 dicembre 1917, p. 2.

[57] Cfr. Minerbi 1967, 436, dove riporta le apprensioni del cardinale Gasparri bene sintetizzate nella frase da lui pronunciata per l’occasione: «Non suonano le campane in Vaticano per la presa di Gerusalemme. È difficile ritirare una parte del proprio cuore ai Turchi per darla ai sionisti». Sull’antisionismo della Chiesa e dello stesso cardinal Gasparri dal 1918 cfr. Minerbi 1988, 184-187; Caviglia 1981.

[58] Cfr. La capitolazione di Gerusalemme, in «Osservatore Romano», 12 dicembre 1917, 2.

[59] Ibidem.

[60] La parola del Cardinal Vicario , in «Osservatore Romano», 13 dicembre 1917, 1. Questo intervento è ricordato anche da Minerbi 1988, 173-174, soprattutto in merito alle reazioni che esso suscitò in campo diplomatico.

[61] Dopo l’occupazione di Gerusalemme, in «Osservatore Romano», 14 dicembre 1917, 1. Lo stesso giorno fu pubblicato un articolo, Gli ebrei e la Palestina, dove si dava notizia in modo asettico della entusiasta reazione degli ebrei di Odessa alla dichiarazione Balfour.