Storicamente. Laboratorio di storia
Le sfide moderne della governabilità

Il caso più evidente di questo problema si è palesato con il Einwanderungsgesetz. Il 23 marzo 2002 il Bundesrat doveva votare sulla legge già approvata dal Bundestag, fortemente voluta dall’allora maggioranza SPD-Grünen e osteggiata dall’opposizione. In occasione della votazione, i quattro voti del Land Brandenburg, retto da una grande coalizione SPD-CDU, erano determinanti per l’approvazione della proposta. Rompendo la convenzione costituzionale fino ad allora applicata, secondo cui il mancato raggiungimento di una posizione comune nel Land comportava l’astensione dal voto nel Bundesrat, il che, nel caso in questione, avrebbe significato il rigetto della proposta di legge, il ministro-presidente del Brandenburg Manfred Stolpe, socialdemocratico, espresse il voto favorevole del suo Land, contro la decisa opposizione del suo alleato di governo a livello regionale, presente alla seduta. Il presidente di turno del Bundesrat, anch’egli della SPD, chiese una seconda votazione, il ministro-presidente votò nuovamente a favore e il suo vice si limitò a un eloquente «Lei sa come la penso». I voti furono conteggiati, permettendo l’approvazione della legge. Si aprì in questo modo una «crisi costituzionale», emblematica del nuovo ruolo del Bundesrat nel mutato clima politico tedesco. Per un paio di mesi, sulla scorta delle forti critiche dell’opposizione, il presidente federale, il socialdemocratico Rau, rifiutò di promulgare la legge, compiendo questo passo solo quando fu chiaro che l’opposizione, attraverso i governi di alcuni Länder, avrebbe investito della questione il Bundesverfassungsgericht. Nel dicembre 2002, i giudici costituzionali dichiararono illegittima la legge per vizio nel procedimento di approvazione, poiché i voti del Brandenburg erano stati conteggiati in mancanza di una posizione univoca del Land, ammonendo i protagonisti a non fare un uso strumentale delle istituzioni.
Un ulteriore momento di stallo politico-costituzionale si è registrato il 17 dicembre 2004, quando, dopo quattordici mesi di trattative, negoziati e compromessi, la «Kommission von Bundestag und Bundesrat zur Modernisierung der bundestaatlichen Ordnung», istituita il 16-17 ottobre 2003 con doppia deliberazione di Bundestag e Bundesrat, annunciò il fallimento della Commissione per la riforma del federalismo, che aveva come obiettivo quello di razionalizzare numerosi aspetti dell’ordinamento della Bundesrepublik. Negli ultimi giorni di negoziati le cronache politiche tedesche furono occupate dalle discordanti prese di posizioni dei protagonisti sulla vicenda, fino all’annuncio conclusivo dei due Presidenti della Commissione, Franz Müntefering (SPD) e Edmund Stoiber (CSU), secondo i quali vi era un’incolmabile divergenza di posizioni tra Federazione e Länder in materia di politiche universitarie, che ha fatto saltare anche i precedenti accordi che erano stati raggiunti nei mesi precedenti, decretando il fallimento dell’intera iniziativa. I temi centrali nell’agenda dei lavori della Commissione sono stati principalmente due. Il primo riguardava la necessità di razionalizzare la ripartizione delle competenze legislative tra Federazione e Länder per riportare a un livello sostenibile la quantità di leggi emanate dal Bundestag, bisognose anche dell’approvazione da parte del Bundesrat. In questo è stato ravvisato un pericoloso squilibrio nei rapporti di forza tra Bundestag e Bundesrat, a vantaggio del primo, e tra i partiti che in esso dispongono di volta in volta della maggioranza dei voti, con il risultato di una struttura federale che non produce più un confronto tra Federazione e autonomie territoriali, ma piuttosto dei solidi blocchi ostruzionistici rispondenti esclusivamente agli interessi partitici. Il secondo punto aveva l’obiettivo di riorganizzare i compiti comuni, i quali prevedono la partecipazione della Federazione all’attuazione di determinate competenze dei Länder, quando tali compiti siano di rilevanza collettiva e il concorso del Bund sia necessario per il miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini. La Bundestaatskommission va considerata come una Commissione Bicamerale allargata, con funzioni consultive: vi figuravano infatti diverse categorie di componenti, ciascuna in rappresentanza di uno specifico ambito della realtà politica tedesca. Oltre ai due Presidenti della Commissione, agli esponenti dei gruppi parlamentari del Bundestag, ai componenti del Bundesrat chiamati a fare le veci dei sedici Länder tedeschi, ai rappresentanti della Bundesregierung e dei Landtage, si registrava anche la presenza di un folto gruppo di esperti della materia, nella maggior parte dei casi docenti universitari di dottrine costituzionalistiche o giuspubblicistiche.
Dal 7 novembre 2003 al 17 dicembre 2004 si sono tenute undici sedute, alcune delle quali aperte al pubblico, in cui si sono registrati sia fasi di ampia convergenza che situazioni di stallo nelle trattative: il 13 dicembre 2004 Müntefering e Stoiber presentarono per la prima volta un documento, contenente i dettagli delle proposte elaborate dalla Commissione, sulle quali le forze politiche avevano raggiunto un compromesso, riassumibile in tre punti: il primo riguardava il decentramento delle competenze legislative tra Bund e Länder; il secondo tendeva a riorganizzazione la disciplina economica, finalizzata a una sostanziale riduzione dei casi di una compartecipazione finanziaria tra enti locali e Stato centrale; il terzo inseriva il Patto di stabilità dell’Ue nel Grundgesetz, con conseguente obbligatorietà delle sue disposizioni sia per il Bund che per i Länder. Rimasero fuori dall’accordo cinque settori chiave per l’organizzazione dell’assetto federale: disciplina delle politiche universitarie, regolamentazione delle leggi sull’ambiente, competenze dell’Ufficio Federale Anticrimine, cooperazione dei Länder su questioni e responsabilità relative all’Ue. Nel corso della settimana precedente alla seduta conclusiva della Commissione i lavori procedettero alacremente, eppure, a conclusione della sua ultima seduta, nel pomeriggio del 17 dicembre, i presidenti della Commissione ne proclamarono il fallimento, motivandolo ufficialmente con l’impossibilità di conseguire un compromesso riguardo alle politiche universitarie, delle quali i Länder chiedevano competenza esclusiva in materia.
A prescindere dai contenuti specifici della manovra, un successo della Commissione sarebbe stato di enorme importanza per la Bundesrepublik, in quanto avrebbe dimostrato la capacità dell’ordinamento tedesco di provvedere autonomamente al riequilibrio delle proprie disfunzioni; ciò è accaduto solo nel luglio 2006, quando la groβe Koalition ha approvato una legge di riforma costituzionale, che ha sancito la redistribuzione del potere tra Stato e Länder, a vantaggio del primo. Il nuovo assetto limita il potere di veto del Bundesrat per accelerare il processo di approvazione dei provvedimenti legislativi. Per ottenere questo risultato si è proceduto alla revisione dei criteri di assegnazione di competenza delle leggi: ampliando il catalogo di quelle per la cui emissione è necessario l’assenso del Bundestag, si è ottenuta una drastica riduzione, dal 60 al 35%, dei provvedimenti da sottoporre al doppio vaglio. In questo modo, dovrebbe essere garantito anche l’alleggerimento del lavoro per la Corte costituzionale, oberata dai ricorsi per conflitto di competenza tra Stato e Länder. Con la revisione costituzionale, il potere federale è risultato dunque ampliato, e il ruolo del Bundesrat, che interviene ora soltanto in circa un terzo dei casi, fortemente diminuito. A tale soluzione più accentratrice, la nuova disciplina ha affiancato un diritto dei Länder di legiferare in deroga nei primi sei mesi dall’approvazione per le materie affidate alla legislazione concorrente. Nel caso in cui, però, l’oggetto del contendere sia materia di assoluta rilevanza nazionale, come il capitolo relativo alla tassazione universitaria, la deroga del Bundesrat non è possibile, ma qualora esso ne faccia richiesta, il provvedimento deve passare al vaglio dell’organo territoriale, che può quindi esercitare nuovamente il suo veto. Ecco quindi che la riforma, la più imponente dal 1949, è consistita in realtà in un sostanziale dare e togliere, in un complesso riequilibrio di poteri, non certo in un’opera indirizzata al cambiamento e all’innovazione.