Storicamente. Laboratorio di storia

Dossier

Antisemitismo nella stampa diocesana negli anni Trenta del Novecento

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Abstract
The essay analyzes the Catholic Church's attitude toward the Jews during the Thirties, examining the diocesan press of the North-East of Italy. Going through the Catholic weekly newspapers it was first possible to establish their position with respect to the spread of racist and anti-semitic ideologies, and then to outline which were the images of Jews theorized and propagandized by the Catholic press. The old teaching of the Catholic doctrine and theology concerning the Jews influenced the construction of the collective imaginary and the creation of anti-semitic stereotypes from the second half of the XIX century.

Lo studio dell'antisemitismo cattolico implica l'assunzione di un metodo nella scelta e nell'analisi delle fonti che, per essere efficace ai fini di una corretta valutazione del fenomeno, deve tener conto delle variabili intra ed extra ecclesiali che concorsero alla sua definizione: dottrinali, teologiche ed ecclesiologiche, ma anche sociali e politiche. Questo vale a maggior ragione per il periodo preso in esame, gli anni Trenta del Novecento, durante il quale i regimi fascisti tedesco e italiano diedero avvio a politiche antisemite attraverso l'emanazione di legislazioni razziali. Tentare di formulare un giudizio storico sull'atteggiamento tenuto dalla Chiesa cattolica di fronte alla legalizzazione della discriminazione antiebraica da parte dei due regimi, non può prescindere dagli insegnamenti plurisecolari della dottrina e della teologia cattolica nei riguardi degli ebrei, ma anche da come essi si declinarono nella prassi, dai risvolti sociali che produssero e da come confluirono nella creazione di stereotipi antisemiti[1] a partire dalla seconda metà del XIX secolo. Inoltre, è necessario tener presente il disegno sotteso al tipo di rapporti e accordi politici stipulati dalla Santa Sede tra le due guerre: il mito di un ritorno alla società cristiana medievale ove la Chiesa permeasse tutti gli ambiti della vita individuale e collettiva e le fosse riconosciuto il ruolo di guida e controllo sociale nello stato, una visione di cristianità che finiva inevitabilmente con l'influire anche sul rapporto con le minoranze religiose.

Il problema appare però più complesso quando si voglia comprendere con formulazioni generalizzanti un comune sentire e agire del cattolicesimo italiano nei confronti dell'ebraismo, degli ebrei e della persecuzione razziale e antisemita. In realtà la recente storiografia, grazie anche all'apertura dei fondi relativi al pontificato di Pio XI dell'Archivio Segreto Vaticano e dell'archivio dell'ex Sant'Uffizio, ha messo in luce aspetti e dettagli non trascurabili per un'adeguata puntualizzazione della questione, che non può quindi risolversi nel presumere che le posizioni curiali e del mondo[2] siano state sempre del tutto omogenee. Rimandando a studipiù specifici [3] i problemi riguardanti le discussioni, le decisioni e i diversi atteggiamenti della gerarchia cattolica, in questa sede vorrei concentrare l'analisi sulla propaganda cattolica, in particolare sulla stampa diocesana, trait d'union, assieme al clero e alle organizzazioni laicali, tra il magistero e i fedeli. Essa infatti, opera di giornalisti anonimi, corrispondenti e sacerdoti, sottoposta al controllo dei vescovi e diffusa a livello popolare, permette di rilevare le modalità attraverso cui la comunità dei fedeli veniva informata circa l'adozione di misure discriminatorie e persecutorie verso gli ebrei in Germania e in Italia, ma anche di mettere in luce quale rappresentazione "dell'ebreo" venisse propagandata e abitasse dunque l'immaginario collettivo cattolico.

Lo studio che presento fa parte di una ricerca più ampia [4] sull'atteggiamento della Chiesa cattolica verso gli ebrei, così come emergeva dall'analisi della stampa diocesana di alcune diocesi appartenenti alla regione ecclesiastica triveneta. In questa sede ho preso in esame i settimanali diocesani di Venezia, «La Settimana religiosa», di Trento, «Vita Trentina», di Treviso, «La Vita del Popolo» e di Udine, «La Vita Cattolica» settimanali diocesani [5]. La scelta di comparare questi quattro casi risponde sostanzialmente a due criteri: per un verso era possibile sottolineare una certa continuità, un progetto culturale simile, perché appunto voci di diocesi appartenenti alla stessa regione ecclesiastica; dall'altro, essendo diocesi con storie e problemi alquanto differenti, si poteva supporre una certa autonomia nella scelta degli argomenti da affrontare nei rispettivi settimanali. Lo spoglio è stato condotto cercando di individuare in primo luogo quale fosse la posizione della stampa diocesana rispetto alla diffusione dell'ideologia razzista e antisemita nazista e in seconda istanza di capire, indipendentemente dalle scelte del governo tedesco e italiano di introdurre legislazioni antiebraiche, quale fosse il giudizio sugli ebrei formulato e propagandato dagli stessi settimanali cattolici.

La discriminazione degli ebrei in Germania nella stampa diocesana

La scalata al potere del nazionalsocialismo in Germania fu seguita con preoccupazione dal settimanale diocesano di Trento, un interesse precipuo che non ho riscontrato negli altri settimanali della regione ecclesiastica triveneta esaminati. I fogli diocesani di Venezia e Udine si occuparono delle vicende politiche tedesche soltanto sporadicamente fino ai primi mesi del 1933, quando il presidente Hindenburg nominò Hitler cancelliere del Reich. «Vita Trentina» fu l'unico settimanale che, tra il 1931 e il 1932, mise in luce la componente razzista dell'ideologia nazionalsocialista. In un articolo uscito nella primavera del 1931, dopo aver ricordato che alle elezioni di settembre dell'anno precedente il partito di Hitler aveva raccolto milioni di voti ed era riuscito ad ottenere 107 seggi, «Vita Trentina» sottolineava come l'interesse dei cattolici per il «movimento hitleriano» non era volto tanto al suo programma politico quanto alle «sue idee in dissonanza con i principi e la morale cattolica», perché non conformi «ai sentimenti della razza germanica». Avendo esso ben presto manifestato «la sua anima anticattolica», voleva realizzare una chiesa nazionale tedesca emancipata dal papa, mettendo «la razza germanica al di sopra della religione»[6]. Nel 1932 il settimanale trentino stigmatizzò nuovamente il partito di Hitler come «anticattolico», chiedendosi quale sarebbe stato il suo atteggiamento verso la Chiesa se fosse salito al potere, posto il suo «comandamento supremo [...] il culto della razza, al quale deve cedere il campo il protestantesimo, il giudaismo e il cattolicesimo»[7]. Le preoccupazioni espresse in questi articoli riflettevano in parte le riserve che alcuni vescovi tedeschi avevano manifestato nei confronti del partito nazista nei primi anni Trenta. Ma al di là della posizione della Chiesa tedesca verso il nazionalsocialismo, gli accenni che «Vita Trentina» faceva a proposito delle teorie razziste inserite nel programma della NSDAP risultano interessanti per due ordini di motivi. Il primo, è stato detto, riguarda l'eccezionalità del riferimento al razzismo in questi anni in un settimanale diocesano, dove, sebbene la posizione della Chiesa cattolica non venisse discussa o spiegata, compariva una chiara presa di distanza dalle teorie sulla razza. Inoltre, se nel primo articolo il biasimo per l'adozione di un'ideologia razzista era volto a sottolineare il fatto che fosse essenzialmente «anticattolica», nel secondo il cattolicesimo, il protestantesimo e l'ebraismo erano equiparati in quanto bersagli ugualmente colpiti dal razzismo. L'accostamento delle due confessioni cristiane con l'ebraismo sulla questione non è di poco conto. Come si vedrà meglio in seguito le proteste e le condanne del razzismo da parte della gerarchia ecclesiastica erano volte, salvo alcuni casi, soprattutto a tutelare i cattolici. Nel 1937 «Vita Trentina» denunciò la «sorda e perfida persecuzione nazista» della Chiesa cattolica, riportando le parole del generale Erich Ludendorff il quale ammetteva di odiare il cristianesimo perché era una «religione orientale predicata da un giovane ebreo idealista», l'Antico Testamento «l'opera di una razza odiata e disprezzata» e perché «tutte le miserie che i tedeschi han patito sono dovute alla razza ebraica ed al cristianesimo»[8]. Da quest'articolo si vede bene come l'antisemitismo nazista avrebbe rivelato sempre di più delle tendenze anticristiane, non determinando però un atteggiamento diverso della Chiesa cattolica verso la persecuzione degli ebrei, facendo prevalere una linea di autodifesa. Mancò quasi del tutto una riflessione su una possibile alleanza delle forze cristiane contro il nazismo, se si esclude la proposta avanzata in un articolo del dicembre 1934 dal gesuita tedesco Friederich Muckermann, di creare un fronte unico fra protestanti e cattolici [Miccoli 2000a, 145-146; 2005, 755].

Se nei primi anni Trenta «Vita Trentina» fu il settimanale che più si occupò di politica tedesca – un interesse spiegabile per la storia di Trento come di provincia di confine e nondimeno per la presenza di Celestino Endrici alla guida della diocesi e quella di don Giulio Delugan alla direzione del periodico cattolico, i quali impressero al foglio diocesano un indirizzo antinazista – la notizia della nomina di Hitler a Cancelliere tedesco venne data invece anche da altri settimanali diocesani. «La Vita del Popolo» di Treviso per esempio, in un trafiletto dedicato alle notizie dall'estero, diceva che «nel suo proclama, egli [Hitler] invoca l'aiuto di Dio Onnipotente per poter fare del bene alla Nazione. Speriamo»[9]. La settimana successiva, in vista delle elezioni di marzo, «La Vita del Popolo» precisava che Hitler «è giunto in maniera relativamente facile al Cancellierato», ma aggiungeva che anche per il suo partito il momento difficile era arrivato: il Zentrum non aveva voluto aderire al governo hitleriano, perché «sono ancora troppe le incognite della politica che Hitler seguirà» e che era ancora valida «la condanna da parte dei Vescovi tedeschi del programma religioso (o antireligioso) di Hitler»[10].

Ma pochi mesi dopo la situazione cambiò radicalmente. Nel discorso del 23 marzo al Reichstag Hitler assicurò al protestantesimo e al cattolicesimo il loro influsso nell'educazione e nella scuola, ravvisando in entrambe le confessioni cristiane «fattori essenziali per la tutela della morale» del popolo tedesco [Miccoli 2000a, 119]. Il Zentrum votò a favore della legge sui pieni poteri e il 28 marzo i vescovi tedeschi ritirarono con una dichiarazione pubblica i divieti imposti nel 1932. «La Settimana religiosa» di Venezia si dilungò a riportare le rassicurazioni di Hitler sul ruolo assegnato alle religioni cristiane[11], e anche il settimanale trentino si risolse a dare la notizia della fiducia concessa al nazionalsocialismo da parte dell'episcopato tedesco[12]. Nello stesso numero di «Vita Trentina», in una rubrica dedicata alla Rassegna politica, comparve anche un articolo sul boicottaggio contro negozianti, avvocati, medici ebrei tedeschi che, diceva, «era stato ripetutamente minacciato dai nazionalsocialisti». Aggiungeva però che a causa delle rimostranze interne ed estere verso l'antisemitismo hitleriano, pareva che l'idea sarebbe stata abbandonata. Anche «La Vita Cattolica», settimanale diocesano di Udine, vi dedicava qualche riga, dicendo che aveva prodotto «viva impressione nell'interno ed all'estero l'organizzazione del boicottaggio contro tutti gli ebrei. Il boicottaggio, che è stato universale, è durato un giorno»[13]. «La Settimana religiosa» non fece alcun accenno alle prime misure antiebraiche del nuovo governo tedesco, mentre «La Vita del Popolo» il 16 aprile dava la notizia del ritiro della condanna del nazionasocialismo da parte dell'episcopato tedesco, soprassedendo anche il settimanale trevigiano sul boicottaggio. Nel frattempo aveva avuto inizio un'operazione di de-emancipazione della componente ebraica della popolazione attraverso l'emanazione di una serie di leggi [14] che rimossero impiegati statali, avvocati, medici, notai, professori e giornalisti ebrei. Le leggi antiebraiche di aprile furono così riassunte dal settimanale diocesano di Trento: «L'attività antisemita continua più o meno intensa soprattutto con l'allontanamento di funzionari ebrei, coll'introduzione del numerus clausus nelle università e negli impieghi, col boicottaggio della produzione letteraria ebrea, col ritiro del porto d'armi agli israeliti ecc.»[15]. La notizia dell'emanazione della «Legge contro il sovraffollamento delle scuole e università tedesche», approvata il 25 aprile, venne data sempre da «Vita Trentina» il 4 maggio: «L'antisemitismo continua. Con un decreto governativo si è ridotto il numero degli studenti universitari ebrei all'1,5% in corrispondenza alla proporzione degli ebrei col resto della popolazione»[16].

Mentre né «La Settimana religiosa» né «La Vita del Popolo» fecero menzione delle prime leggi antiebraiche in Germania, «La Vita cattolica» di Udine commentò in questo modo la politica antisemita nazista:

Gli Ebrei passano in Germania un brutto quarto d'ora. Constatiamo il fatto, lasciando da parte la questione se i metodi usati contro di loro siano o meno conciliabili con quei fondamentali principi di libertà di giustizia che formano il patrimonio della coscienza cattolica. Il giudaismo padrone della stampa mondiale ha levato la sua voce contro il trattamento fatto subire ai propri correligionari tedeschi ed ha dato fiato a tutte le trombe per commuovere in nome della giustizia e della libertà l'opinione pubblica mondiale. E non discutiamo se abbia ragione o torto, ma ci permettiamo di chiedere: come mai questi patrocinatori della giustizia e della libertà si sono svegliati solo ora, mentre di fronte alle persecuzioni più atroci del bolscevismo russo e del governo messicano contro i cattolici parevano immersi nel sonno più profondo? E non ha forse una buona parte di responsabilità il giudaismo massonico nella persecuzione religiosa in tutti i paesi del mondo, ove i cattolici sono perseguitati[17]?

L'articolista di fronte alle prime leggi antiebraiche tedesche appariva reticente nell'entrare nel merito della questione e in ben due passaggi evitava uno sbilanciamento attraverso un artificio retorico: diceva di voler lasciare da parte il problema della conciliabilità tra i principi cattolici e i metodi della legalizzazione della discriminazione degli ebrei, e di non voler discutere la plausibilità delle proteste del mondo ebraico per le vessazioni inflitte ai correligionari tedeschi. L'esitazione dell'articolista non celava in realtà l'ammissione della straordinarietà degli eventi, ma non condannandoli rivolgeva il suo interesse principale altrove, ovvero alla reazione del mondo ebraico. Utilizzando il termine «giudaismo», impiegato in senso dispregiativo e denigratorio, operava un intreccio di piani: identificava gli ebrei su base confessionale ma al contempo attribuiva loro uno stereotipo consolidatosi nel corso dell'Ottocento, che nulla aveva a che vedere con la religione ebraica, secondo il quale gli ebrei possedevano il controllo della stampa mondiale [Attali 2003; Nani 2006, 201 seg.; Dreyfus 2009; Battini 2010a]. Seguivano poi alcune delle più comuni accuse rivolte agli ebrei [18], la loro responsabilità nella diffusione dell'ideologia comunista, nella persecuzione dei cattolici e la combutta con la massoneria. L'atteggiamento assunto da «La Vita Cattolica» rinvia alla posizione generale tenuta in questi mesi dalla gerarchia cattolica rispetto all'antisemitismo nazista. La Santa Sede e l'episcopato tedesco non vi si opposero, adottando un criterio espresso da mons. Orsenigo nel telegramma inviato alla Segreteria di Stato l'8 aprile 1933 in risposta alla richiesta di Pacelli sulla possibilità di intervenire a difesa degli ebrei, secondo il quale il «carattere governativo» che aveva assunto la «lotta antisemita» avrebbe reso le proteste della Chiesa cattolica un'interferenza negli affari interni della Germania [Miccoli 2005, 747-749].

La firma del Concordato [19] del 20 luglio 1933 tra la Santa Sede e la Germania nazista rappresentò uno spartiacque per la stampa diocesana, che cominciò a ridurre le informazioni concernenti la situazione politica in Germania, mentre fino al 1935 scomparvero del tutto i riferimenti alla discriminazione degli ebrei. Una scelta che ancora una volta riflette una decisione presa ai vertici della gerarchia ecclesiastica [20] nel momento in cui la Segreteria di Stato, l'episcopato tedesco e la diplomazia vaticana convennero nell'aprile del 1933, come scrisse il card. Faulhaber, che la Chiesa non potesse intervenire a favore degli ebrei «perché la lotta contro gli ebrei diventerebbe anche una lotta contro i cattolici» [Wolf 2008, 194].

Il 7 febbraio 1934 furono messe all'indice le opere di Ernst Bergmann, Deutsche Nationalkirche e di Alfred Rosenberg, Mythus des 20. Jahrhunderts, condanne segnalate da «La Settimana religiosa» ma non accompagnate da alcun commento[21]. In generale dal 1934 i settimanali diocesani esaminati concentrarono la loro attenzione sui soprusi e le vessazioni cui i cattolici tedeschi furono sottoposti da parte del regime. Le denunce della politica razzista riguardavano principalmente i cattolici, non gli ebrei, mentre raramente si parlava di antisemitismo tout court. Nel gennaio 1935, per esempio, «La Vita Cattolica» denunciava in modo generico il razzismo tedesco:

Solo la razza tedesca è la pura razza umana; tutte le altre sono delle sottospecie da sopportarsi soltanto... oltre i confini della Germania. Così si pensa in Germania dai razzisti. [...] Tutti bestie dunque, meno i tedeschi... che in questo caso parlano proprio da bestie[22].

A marzo, riportando il discorso di un deputato tedesco, pronunciato davanti alla Lega dei giuristi nazisti, nel quale chiedeva che venisse applicata la pena di morte ad ogni ebreo che avesse rapporti con una tedesca ariana, il settimanale udinese commentava dicendo che «la lotta per il razzismo è diventata un'ossessione in Germania» e che i nazisti si rendevano ridicoli di fronte al mondo intero con i loro metodi[23]. In quest'articolo si condannava il razzismo nei confronti degli ebrei, ma a ben vedere soltanto nella sua espressione più estrema, mentre continuava a mancare una presa di posizione che denunciasse la loro discriminazione in seno alla società tedesca.

«La Settimana religiosa», in un articolo ripreso dalla stampa francese [24], condannava il neopaganesimo tedesco supportato dall'ideologia della razza che vedeva nel cristianesimo e in particolare nel cattolicesimo un nemico da combattere. Anche in questo caso non compariva alcun riferimento agli ebrei:

La manifestazione neopagana svoltasi in questi giorni a Berlino e nella quale si è esaltato una «fede germanica» essenzialmente panteista e anticristiana è considerata d'altra parte come sufficientemente rivelatrice delle aberrazioni ideologiche che i teorici del razzismo, ufficialmente sostenuti e incoraggiati, pretendono di imporre con tutti i mezzi a 65 milioni di Tedeschi[25].

Di nuovo fu «Vita Trentina» ad inserire gli ebrei tra le vittime del razzismo tedesco. Raccontando la vicenda di due donne prussiane condannate a morte per un delitto intendeva dimostrare l'insussistenza delle teorie naziste sul sangue e sulla razza:

In omaggio alla nuova divinità razzista si è sferrata la lotta atroce contro gli ebrei [ma] se due rappresentanti purissime di questo sangue possono macchiarsi del più volgare dei delitti, il sangue prussiano non ha davvero garanzia di perfezione spirituale. Il razzismo, dunque, non è nient'altro che idolatria[26].

Il 15 settembre 1935 nel discorso conclusivo l'annuale Congresso del partito nazista, Hitler annunciò i nuovi provvedimenti legislativi antiebraici di cui la Germania si sarebbe dotata, e che saranno in seguito conosciuti come le "leggi di Norimberga". Alle nuove leggi antisemite tedesche vennero dedicate poche righe sia da «Vita Trentina» sia da «La Vita Cattolica». La prima pubblicò un trafiletto sul Congresso nazionalsocialista nella rubrica Rassegna politica[27], che elencava i nuovi provvedimenti legislativi, mentre «La Vita Cattolica», senza soffermarsi sul contenuto delle leggi, esprimeva ancora una volta il timore che presto anche i cattolici avrebbero potuto subire tali persecuzioni:

Nei vari discorsi tenuti dal Cancelliere, è stata riaffermata la lotta ad oltranza contro gli Ebrei, ai quali è stata tolta anche la cittadinanza. Hitler ha poi dichiarato di non voler combattere il Cristianesimo... Le solite affermazioni bugiarde. [...] Sono state sciolte le Associazioni Cattoliche del distretto di Muenster perché accusate di svolgere attività politica. [...] Le solite calunnie di chi vuol combattere la Chiesa[28].

Negli anni successivi, mentre anche in Italia si dava il via alla campagna antisemita, gli articoli sulla situazione della Chiesa tedesca continuarono, mentre sempre meno spazio venne dedicato alla persecuzione antiebraica, se non accompagnata da un riferimento alla medesima situazione in cui si trovavano i cattolici.

L'immagine dell'ebreo nei primi anni di propaganda antisemita in Italia

Dopo la conquista d'Etiopia e con la diffusione delle teorie razziste anche in Italia ebbe inizio una fase di propaganda che sfociò nel 1938 nell'emanazione delle prime leggi antisemite[29]. Si è visto precedentemente il sostanziale riserbo mantenuto dai settimanali diocesani nei confronti dell'antisemitismo nazionalsocialista, accompagnato per converso dalla pubblicazione di articoli che a loro volta contribuivano a diffondere un'immagine negativa degli ebrei. La campagna antiebraica, che prese l'abbrivio in Italia dalla pubblicazione del libro di Paolo Orano, Gli ebrei in Italia, e da una sua recensione positiva apparsa su «Il Popolo d'Italia», non determinò alcun cambiamento di linea della stampa diocesana. Negli esempi che seguono si nota infatti il perpetuarsi di vecchi e nuovi stereotipi che miravano a confermare l'influenza nefasta agli occhi della Chiesa che gli ebrei continuavano ad esercitare nella società.

Fin dal primo dopoguerra l'accusa più comune mossa agli ebrei nei settimanali diocesani era quella di essere stati i responsabili della rivoluzione bolscevica in Russia e della propaganda e diffusione del comunismo negli altri paesi attraverso la massoneria. Nel 1937, anno in cui l'episcopato veneto scrisse una lettera pastorale collettiva sul pericolo del comunismo, che precedette di circa due mesi l'enciclica papale Divini Redemptoris, i fogli diocesani intensificarono la pubblicazione di articoli che contribuivano a diffondere lo stereotipo dell'ebreo-comunista [Lazzaretto 2005, 351-373]. «La Vita del Popolo» di Treviso il 28 febbraio 1937 pubblicò due trafiletti tesi a ribadire il legame tra gli ebrei, il comunismo e la massoneria:

280 volontari francesi sono riusciti a scappare dall'inferno rosso spagnolo. I «guariti dal comunismo» ne raccontano di cotte e di crude con grande costernazione della massoneria ebraica francese finanziatrice e aizzatrice dei rossi.

E poi di seguito:

La polizia polacca ha perquisito molte abitazioni del quartiere ebraico di Varsavia trovandovi 51 agitatori comunisti russi... gentilmente ospitati dal ghetto. E poi si lamentano se...[30]

Il settimanale del patriarcato di Venezia, nel novembre 1937 scriveva:

I campioni della democrazia massonico-ebraica sono in tutto il mondo anche i campioni del bolscevismo, attraverso il quale il capitalismo fa i suoi affari e le sue speculazioni. Questo mostruoso connubio del capitalismo col bolscevismo è ispirato dal comune odio contro Dio[31].

Lo stesso giorno usciva il numero de «La Vita Cattolica» di Udine con il medesimo riferimento al connubio tra «ebrei e comunisti»:

Sempre nuove prove emergono in tutti gli stati della propaganda comunista spiegata dagli ebrei, che si rivelano i più ostinati e pericolosi fautori del bolscevismo. Così si annunzia che in questi giorni, dinnanzi al tribunale di Kielce, in Polonia, sono comparsi trenta comunisti, imputati di propaganda continuata dell'idea comunista ed atea. Una gran parte degli imputati appartiene alla comunità israelitica di Polonia. Una volta ebreo era generalmente sinonimo di massone; ora è, bene spesso, sinonimo di comunista. Il che si equivale[32].

Ma un caso particolare che riassume per così dire tutti gli stereotipi e le accuse utilizzate dalla stampa cattolica contro gli ebrei è offerto da una rubrica curata da don Giuseppe Scarpa[33], pubblicata tra la fine del 1937 e l'inizio del 1938 da «La Settimana religiosa». Gli esempi che illustrerò mostrano come alla luce di un'analisi storico-critica risulti insufficiente l'assunzione della sola categoria di antigiudaismo, inteso come antagonismo essenzialmente religioso dei cattolici nei riguardi degli ebrei. La commistione di temi, accuse e stereotipi del moderno antisemitismo con le polemiche antigiudaiche di tradizione cattolica, congiunta all'avallo che la Chiesa diede a un certo tipo di antisemitismo[34] tra gli anni Venti e Trenta del Novecento, spiega perché si possa adottare la categoria di "antisemitismo "antisemitismo cattolico" [Miccoli 1997 e 2003; Stefani 2004; Berger Waldenegg 2008].

La rubrica di don Scarpa si apriva il 28 novembre 1937 con un articolo intitolato Il Popolo Giudaico, nel quale il sacerdote dava al lettore una serie di notizie sugli ebrei che abitavano la Palestina prima della nascita di Gesù. Mettendo in rilievo l'attesa messianica che caratterizzava la religione ebraica, concludeva che tale speranza «allora, come adesso, costituisce la stessa ragione di vita della razza giudaica»[35]. Dall'analisi dei settimanali diocesani veneti dei primi anni Venti si è potuto constatare che era comune l'utilizzo della parola «razza» [36] da parte degli articolisti cattolici, ma in contesti nei quali essa era da intendersi come sinonimo di "schiatta" o di "stirpe". Nel caso di don Scarpa invece, con l'espressione «razza giudaica», impiegata non solo in questo primo articolo ma ripetutamente anche nei successivi, egli conferì consapevolmente alla sua spiegazione della «questione ebraica» un vero e proprio connotato razzista, considerata soprattutto la nuova valenza ideologica che il lemma «razza» aveva assunto a partire dagli anni Trenta. Così fece nell'articolo del 2 gennaio 1938 a proposito del rapporto tra gli ebrei e il cristianesimo nascente, dove l'uso di «razza giudaica» era alternato a quello di «ebrei di razza»[37]; anche nell'intervento del 23 gennaio, affermando l'esistenza di «società segrete» e di «comitati di informazione internazionale» ebraici, asseriva che il loro unico scopo era «il dominio della razza ebraica sul mondo intero»[38]. Ma a togliere ogni dubbio sul carattere razzista dell'interpretazione dell'arciprete veneziano sono i contenuti dei suoi articoli, l'ultimo dei quali, pubblicato il 27 febbraio 1938, si concludeva con un lapidario giudizio: «Il giudaismo, dunque, è tutta una questione di razza»[39].

Nella sua esposizione Scarpa compiva un'operazione piuttosto diffusa a partire dalla seconda metà del XIX secolo nella propaganda antisemita della stampa cattolica italiana [Miccoli 1989, 1997 e 2003; Moro 1988, 1992 e 2002], nella quale i principali temi del tradizionale antigiudaismo cattolico di matrice religiosa e le accuse facenti capo al moderno antisemitismo sociale erano strettamente intrecciati. Il sistema dottrinale e teologico cattolico che riservava agli ebrei un posto nell'economia della salvezza, costituiva una sorta di punto di partenza per attribuire agli ebrei la colpa di tutti i mali che la Chiesa riconosceva nella società moderna. Seguendo gli articoli del sacerdote veneziano si può notare un crescendo, una sorta di escalation nell'utilizzo di stereotipi antisemiti proprio a partire da argomentazioni antigiudaiche. Così, nel secondo articolo pubblicato prima di Natale, Scarpa tracciava le linee fondamentali della religione ebraica al tempo della venuta di Cristo. Magnificando l'isolamento in cui il mondo ebraico si era chiuso per difendersi dai pagani, l'autore si rammaricava che il «deplorevole orgoglio, che ai giudei ha dettato la più turpe resistenza agli insegnamenti di N.S. Gesù Cristo» aveva finito per «mantenerli isolati attraverso i secoli, irretiti in una fede ormai deviata da cabale di ogni sorta e da interpretazioni contraddittorie»[40]. Anche la settimana successiva "l'orgoglio ebraico" era messo sotto accusa:

l'orgoglio nazionale aveva completamente accecato quel popolo al quale pur si erano volte le predilezioni divine: così lo stesso orgoglio lo acceca tuttora e, pure dopo venti secoli di umiliazioni e sofferenze, sta ancora nell'attesa del suo Messia ideale che lo elevi a fastigi di grandezza e di gloria[41].

Nell'articolo del 19 dicembre 1937, dopo aver descritto le «sette e i partiti» di cui era composta la religione ebraica, ribadiva la condanna di un «popolo che vivrà ramingo in ogni angolo della terra per esser custode dei libri sacri ed il testimonio perenne della redenzione operata da quel Cristo che non hanno voluto riconoscere»[42]. Don Scarpa riassumeva in questi primi testi le principali argomentazioni antiebraiche della dottrina cattolica – il mancato riconoscimento di Gesù come Messia, la condanna all'esilio dalla Terra Santa e la presenza degli ebrei nel mondo come popolo testimone – considerandole come verità storica, una concezione tipica, come ha messo in luce Mauro Pesce, dell'antigiudaismo cattolico [Pesce 1997, 14]. Nondimeno si deve notare l'aggettivazione che accompagnava tali assunti, «turpe», «irretito», che accentuava la rappresentazione negativa degli ebrei.

A gennaio l'arciprete annunciava che da quel momento in avanti si sarebbe addentrato nell'analisi degli «atteggiamenti recenti del giudaismo». Il 16 dello stesso mese la sua rubrica portava come titolo: «Esiste una questione giudaica», e fin dalle prime battute veniva chiarito che tale questione «esiste oggi come ha esistito nei secoli passati, e che sussisterà fino al consumarsi delle generazioni: almeno fino al giorno della conversione degli Ebrei, conversione che sembra prospettata da numerosi passi scritturali»[43]. Ma se l'incipit può essere fatto rientrare ancora una volta nella prospettiva dottrinale cristiana, ciò che seguiva, travalicava l'ambito religioso per abbracciare invece alcuni dei più diffusi stereotipi antisemiti. Diceva infatti don Scarpa che attualmente si contavano quindici milioni di ebrei nel mondo, riconoscibili attraverso i loro tratti somatici e le loro sempre identiche caratteristiche comportamentali e morali[44]:

Incremento notevole, specialmente se si tien conto di tante stragi; ma quel che più conta, è il fatto che si tratta di ebrei autentici, con le loro caratteristiche somatiche e con la loro struttura intellettuale e morale: aderenti alle loro particolari credenze, praticanti uno stesso rituale, uniti nella venerazione della loro Torah: ben persuasi di costituire il popolo eletto, destinato a grandi ascensioni, protesi nell'attesa del riscatto solennemente promesso da Iaveh.

Nella seconda parte dell'articolo don Scarpa portava a supporto delle sue tesi alcune recenti pubblicazioni sulle quali vale la pena soffermarsi. Chiedendosi perché in ogni epoca e in ogni luogo in cui gli ebrei avessero formato una comunità si ponesse una «questione giudaica», rispondeva:

Dice argutamente il Belloc – nella sua opera magistrale sugli ebrei – che, in tutti i paesi, in cui essi sono penetrati, hanno prodotto lo stesso effetto, che produce un corpo estraneo introdotto in un organismo: una irritazione, irritazione che ha sempre portato alla necessità dell'espulsione. Così da venti secoli, si è potuto osservare il seguente fatto: gli ebrei penetrano in un paese, ed in un primo tempo, riescono, con molta umiltà e discrezione, a consolidare le proprie posizioni; ma, in un secondo tempo – lasciamo di dirne le ragioni – finiscono per suscitare contrasti e risentimenti tali, da degenerare al più presto in lotte violente e a portare a stragi o ad esplusioni di massa. Dal Marocco alla Spagna fino alle ultime deprecabilissime violenze del Reich la storia è lì per confermarci l'esistenza di fatto di una questione giudaica generata dalla presenza degli ebrei. […] I lettori potrebbero consultare le pubblicazioni, uscite nel 1937, di Paolo Orano, del Levi e del Sottochiesa: sarebbero messi al corrente non solo dell'esistenza di una questione giudaica, ma anche delle ragioni che valgono a mantenerla sempre viva, nonché delle proposte, sempre inutili, per eliminarla.

Il libro dell'intellettuale cattolico inglese Hilaire Belloc, Gli ebrei, era stato tradotto in italiano nel 1934 dalla casa editrice dell'Università Cattolica di Milano. In questo passaggio Scarpa riassumeva la teoria principale del Belloc, formulata attraverso la metafora dell'«organismo invaso» da un «corpo estraneo», secondo la quale la civiltà occidentale doveva difendersi dall'invadenza e prepotenza ebraica [Belloc 1934, 2]. Si vedrà successivamente che il sacerdote veneziano fece sue e ripropose ai lettori del settimanale cattolico le proposte di Belloc per risolvere la «questione ebraica». Qui invece invitava chi non fosse ancora convinto dell'esistenza di una «questione giudaica», delle ragioni e delle soluzioni per eliminarla, a prendere visione delle opere di Paolo Orano, Abramo Levi e Gino Sottochiesa. Il fatto che Scarpa indicasse questi nomi tra le letture consigliate è indicativo sia dell'estrema diffusione che tali pubblicazioni avevano già raggiunto all'inizio del 1938, sia dell'avallo conferito loro dal mondo cattolico.

La settimana successiva la spiegazione del perché continuasse a sussistere una «questione giudaica» era fatta risalire dal sacerdote veneziano all'antitesi originaria tra giudaismo e «civiltà cristiana»: «evidentemente chi aveva combattuto il Cristo non poteva rimanere estraneo spettatore allo sviluppo dell'opera di Lui». In seconda battuta ripeteva quanto già negli articoli precedenti aveva sostenuto circa la brama di grandezza degli ebrei che derivava loro dalla coscienza di appartenere al popolo eletto in virtù dell'antica alleanza con Dio, anticipando in questo caso però anche un affondo che avrebbe fatto in seguito su un'aspirazione che secondo il sacerdote portava «necessariamente» alla volontà di dominio:

Da quest'ultima concezione si è generata nell'ebreo la convinzione di una superiorità sulle altre nazioni: qui probabilmente è la ragione più profonda dell'insorgere della questione giudaica. Infatti la convinzione di superiorità porta quasi necessariamente ad una volontà di affermazione, che a sua volta trascende in una velleità di dominio: tutto ciò provoca, nell'altra parte, delle reazioni, che possono anche raggiungere la violenza[45].

L'articolo continuava con una breve disamina storica in cui l'autore faceva notare che la conquista da parte degli ebrei della stampa, della cultura, dell'alta finanza, dell'industria e della politica ovvero dei settori economici e sociali più rilevanti, era iniziata quando furono aboliti i ghetti e fu estesa agli ebrei l'eguaglianza dei diritti civili:

Ora, dal punto di vista storico, ci è facile osservare, che, quando gli ebrei erano confinati nei ghetti ed era loro negato il diritto di cittadinanza, le loro velleità non potevano in alcun modo realizzarsi: tutt'al più si limitavano a tramare e a preparare i mezzi di un futuro riscatto con la segretezza e con l'astuzia; ma, quando gli ebrei ebbero l'eguaglianza dei diritti civili nei paesi a civiltà progredita, ivi le cose cambiarono profondamente. I maneggi usati dagli ebrei per le loro conquiste divennero palesi e perciò stesso urtanti: la corsa alle padronanze apparve con evidenza anche ai meno accorti. Infatti come mai una esigua minoranza – il due per cento – quale è quella rappresentata dagli ebrei, poteva essere riuscita ad impadronirsi delle agenzie internazionali della stampa così da poter dominare la pubblica opinione? e come mai il giudaismo era riuscito ad avere il dominio dell'alta finanza così da poter controllare le più grosse industrie ed i trust delle materie prime? La più semplice spiegazione era dato trovarla nella formidabile capacità commerciale degli ebrei sorretta da una intelligenza pronta a tutte le astuzie ed a tutti gli accorgimenti: tuttavia, per la ragione dei contrari, era ben difficile ammettere una così umiliante conclusione; ed ecco allora le denunzie di intrighi loschi e di manovre disoneste: ecco le denunzie di società segrete e di comitati di informazione internazionale, miranti tutti ad un unico scopo: il dominio della razza giudaica sul mondo intero. [...] Quanti seggi di primo ordine occupati da ebrei! Cattedre nelle università, posti di comando nei governi, cariche direttive nella politica…tutto erano riusciti a conquistare! Non si seppe, non si volle, o non si poté opporsi a tante ascensioni, non si aveva la percezione del vero pericolo, non si era capito a cosa gli ebrei miravano.

Ulteriori accuse, come si è visto, con una consolidata tradizione nella stampa diocesana veneta, erano quelle che seguivano: il sospetto che la prima guerra mondiale fosse stata voluta dall'ebraismo internazionale, e la convinzione che gli ebrei fossero responsabili della rivoluzione bolscevica in Russia. Lo scopo, secondo don Scarpa, era sempre il medesimo, quello di rovesciare l'ordine cristiano e sostituirvi il dominio ebraico:

La grande guerra […] ci ha rivelato in pieno la potenza dell'organizzazione giudaica. Non vogliamo discutere se tale guerra fu voluta dall'alta industria giudaica, ma, quel che oramai è fuori discussione, è l'origine del bolscevismo sovietico. La pace separata tra la Russia e la Germania, lo scoppio della rivoluzione nel grande impero degli czar e tutta la conseguente propaganda bolscevica, sono state e sono tuttora un prodotto del giudaismo. I grandi capi rivoluzionari erano ebrei – per quanto cammuffati di nome – e, se non erano ebrei, erano almeno controllati dalla internazionale giudaica: tutto questo è fuori discussione.

Un intero articolo a febbraio fu invece dedicato a I Protocolli dei Savi di Sion, annunciato da don Scarpa come un libro attraverso il quale era possibile «avere una visione anche più chiara dei piani giudaici per il dominio di Sion»:

Il libro ci mette al corrente di un piano estesissimo e completo per rovesciare, con mezzi veramente diabolici, la civiltà cristiana e stabilire sulle sue rovine il regno di Sion. […] Si parte da un presupposto: il giudaismo è oramai in possesso di tutta la ricchezza mondiale; e, poiché l'oro è il grande mezzo per tutte le conquiste e per tutte le corruzioni, ecco che il giudaismo non ha che ad applicare la sua larga esperienza per trarre dalla ricchezza il sistema atto a realizzare i suoi ideali. Ecco alcuni capisaldi del sistema. Impadronirsi della stampa […] in modo da poter controllare la pubblica opinione. Rovinare la proprietà fondiaria […]. Abbattere le industrie in mano dei cristiani […] Provocare la degenerazione nelle masse popolari così dal lato fisico come da quello morale, seminando con ogni mezzo la corruzione e fomentando le passioni. Favorire le ribellioni a tutte le aristocrazie preparando l'anarchia generale. Creare e sostenere opinioni le più disparate, così da determinare il disorientamento. Combattere con ogni mezzo contro il clero […]. Seminare le discordie tra i popoli, provocando le guerre ed incrementando gli armamenti, così da depauperare le nazioni e da gettarle in preda all'alta finanza giudaica, la quale finirà per impadronirsi di tutte le loro risorse e per essere arbitra dei loro destini. Quando tutto sarà divenuto anarchia, ed i popoli saranno nella disperazione allora la belva, che stava in agguato e che tutto aveva in forma subdola preparato, uscirà dal suo nascondiglio, e si impadronirà di tutto il mondo, stabilendo così il regno di Sion. Questi brevi accenni non possono dare che una pallida idea del contenuto diabolico dei protocolli, nei quali il popolo cristiano è trattato col più profondo disprezzo, dove la superiorità giudaica è messa in evidenza con l'orgoglio più spudorato[46].

La storia dei Protocolli, la cui traduzione italiana nel 1921 fu opera di due personalità del mondo cattolico, mons. Benigni e Giovanni Preziosi, è stata ricostruita e approfondita da un'abbondante letteratura [Cohn 1969; Moro 2002, 58-75; De Michelis 2004.], ma ciò che preme sottolineare è la conclusione cui arrivava l'arciprete veneziano, il quale affermava che, sebbene la loro autenticità fosse stata messa in dubbio, essi rispondevano pienamente ad una «mentalità delineatasi nel giudaismo»:

Gli avvenimenti degli ultimi anni potrebbero confermare la tesi: l'arrembaggio degli ebrei a tutti i poteri, la loro ricchezza, il loro dominio dell'industria e della finanza, le rivoluzioni scatenate in Russia, nell'Ungheria e nella Spagna, e capeggiate tutte da ebrei, che hanno anche avuto l'astuzia di camuffare i loro nomi di origine evidentemente giudaica: tutto questo ci raccomanderebbe di stare bene in guardia, e di tenere gli occhi bene aperti. Usando con gli ebrei molta carità, come ci prescrive la nostra santa religione, badiamo di guardarli bene in faccia, e di non lasciarci sedurre dalle apparenze: sappiamo per fede che il regno di Sion non potrà stabilirsi più oltre sulla terra […]. E con la Chiesa preghiamo pro perfidis iudaeis.

A partire dal mese di giugno del 1938 «La Documentation catholique» pubblicò un'aspra polemica sorta tra il padre gesuita Charles e H. de Vries de Heekelingen, professore dell'Università cattolica di Nimega, proprio sui Protocolli: il primo li considerava incontestabilmente un falso, il secondo sosteneva la tesi che fossero sostanzialmente autentici [Miccoli 2000b, 548-549]. Sebbene le argomentazioni dell'uno e dell'altro siano state riprodotte dalla rivista cattolica soltanto nei mesi successivi la pubblicazione dell'articolo di Scarpa, la polemica non era nuova, al contrario fu innescata proprio da «La Documentation catholique» in concomitanza con la pubblicazione del primo estratto dei Protocolli in Europa occidentale nel marzo 1920 [Moro 2002, 60]. Al prete veneziano, ben informato sulla pubblicistica antisemita, non era evidentemente sfuggito questo dibattito, all'interno del quale si schierò dalla parte di chi prevedeva un piano diabolico dell'ebraismo internazionale per estendere il proprio dominio, agendo, come sottolineava nel suo articolo, per tentare di scardinare l'ordine cristiano nelle società europee.

Nell'articolo successivo elencava dunque i metodi principali per trovare una soluzione al «problema giudaico», seguendo uno schema utilizzato da Belloc:

1-DISTRUZIONE: diciamo subito che si tratta di una utopia; le stragi sferrate lungo i secoli hanno designato una intenzione locale, ma non hanno mai avuto il carattere della universalità: d'altra parte siamo persuasi che la razza giudaica non si potrà distruggere, perché la sua esistenza è legata alla storia della rivelazione, e gli ebrei dovranno vivere per essere i testimoni perenni della redenzione. 2-ESPULSIONE: anche in questo caso il provvedimento non ha avuto e non poteva avere carattere generale e, di conseguenza, gli ebrei, espulsi da un paese, migravano in un altro. Così anche recentemente dalla Germania sono passati in Francia e in Italia, ed ora cacciati dalla Romania troveranno altrove un rifugio. 3-SEGREGAZIONE: ed ecco la costituzione dei ghetti governati da regolamenti particolari. Ma gli ebrei, pur segregati e privati delle libertà concesse agli altri cittadini, non saranno impediti di svolgere le loro attività di razza, e forse, potranno ancor meglio valersi di quell'arma della segretezza, che è per noi la più pericolosa e la più irritante[47].

I sistemi fin qui elencati però, non potevano essere considerati validi dal prete veneziano perché contrari alla carità cristiana, al contrario di quelli che seguivano, più rispondenti ai fondamenti religiosi cattolici. Ad ogni modo nessuna delle prospettive del Belloc sembrava soddisfare Scarpa, perché a parer suo finché continuava a sussistere la «razza ebraica» non sarebbero venute meno le sue aspirazioni di dominio:

1-ASSORBIMENTO: che può avvenire per assimilazione della cultura cristiana o meglio per conversione degli ebrei: ma l'esperienza dei secoli non ci lusinga in proposito. È tanto improbabile la assimilazione attraverso la cultura, che possiamo dire sia avvenuto piuttosto l'opposto fenomeno: si sa come gli ebrei si siano serviti della cultura proprio, come uno dei mezzi più efficaci per esercitare il loro predominio: è significativo ed esilarante in proposito un capitolo del «Gog» di Papini, ed a quello rimandiamo il lettore. […] 2-RICONOSCIMENTO: leale degli ebrei attraverso un accomodamento pacifico con essi, ed è la tesi propugnata con tanto calore dal Belloc: ma, a dir vero, non ho mai potuto capire come il Belloc, perfettamente inglese, si sia lasciato illudere in tal modo da una tesi, che, in pratica, non può avere attuazione finchè, durando la razza ebraica, durano anche le aspirazioni alle quali essa non può rinunciare. 3-CREAZIONE DI UNO STATO GIUDAICO: ed è l'attuale esperimento del «Sionismo».

Il sionismo fu l'argomento trattato nel numero del 20 febbraio. Su questo tema si è visto in precedenza come Scarpa avesse accolto le tesi di Orano, ma in aggiunta, attraverso la teoria della «sostituzione», egli spiegava le motivazioni teologiche per cui la Chiesa cattolica non avrebbe mai potuto acconsentire alla creazione di uno stato ebraico in Palestina:

Noi cristiani potremo rimanere tranquilli di fronte al fatto che i Luoghi Santi siano proprio in mano a quella razza, che ha crocefisso il Maestro, e che ha sempre profondamente odiato il cristianesimo? Potranno gli ebrei, più che i musulmani, darci garanzia di rispetto per quelle terre benedette [...]? E se l'ondata di sdegno contro i musulmani ha saputo provocare le Crociate, staremo noi inerti di fronte al pericolo nuovo, ma non certo minore dell'antico? Ma del resto è inutile prolungarci in ulteriori considerazioni: la parola divina sta, immutabile, ad assicurarci che il Regno di Sion fu per sempre distrutto. Così potremo concludere che il Sionismo rappresenterà, nella storia giudaica, un esperimento fallito[48].

 

Nelle battute finali del suo ultimo articolo don Scarpa ribadiva a chiare lettere un concetto emerso in tutti i testi della sua rubrica: «il giudaismo, dunque, è tutta una questione di razza [...] il giudaismo ora per noi rappresenta una razza e non una religione»[49]. La spiegazione dell'incapacità di risolvere la «questione ebraica» tornava poi ad essere di natura religiosa: il «miracolo» compiuto da Dio di mantenere in vita il popolo ebraico nei secoli obbediva ad un disegno provvidenziale, «è avvenuto un induramento in una parte di Israele e ciò finché non sarà entrata la totalità dei Gentili: allora Israele si salverà...». Ma di nuovo i temi teologici finivano per essere corroborati da stereotipi antisemiti: «Di fronte al mistero di Dio noi ci chiniamo riverenti, consci tuttavia, che, da tale mistero, non deriva l'altro fatto che si debba sopportare l'arrembaggio degli ebrei a tutte le cariche, a tutti i poteri, ed a tutte le conquiste». Per questo, chiudeva don Scarpa, «sottoscriviamo in pieno – e lo facciamo soprattutto per quel senso di carità e di giustizia che devono animare tutti i nostri atteggiamenti – la nota ufficiosa apparsa in questi giorni in Italia e che ci sembra piena di equilibrio». Il riferimento era alla sopraggiunta Informazione diplomatica n. 14 del 16 febbraio 1938, che se per un verso era intesa a smentire ufficialmente che il regime fascista stesse per inaugurare una politica antisemita, dall'altro avvertiva che il governo si riservava di vigilare affinché «la parte degli ebrei nella vita complessiva della Nazione, non risulti sproporzionata ai meriti intrinseci dei singoli e alla importanza numerica della loro comunità» [Fabre 2007, 46]. Era dunque il primo passo verso l'adozione di una legislazione razziale anche in Italia.

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Note

[1] Parte della storiografia ha messo in luce la presenza anche in epoca medievale e moderna di elementi «potenzialmente razzisti». Cfr. Yerushalmi 1993; Stroumsa 1996.

[2]  Cfr. Moro 2002, 35. Per i casi del padre barnabita Giovanni Semeria e del vescovo di Cremona Geremia Bonomelli nei primi anni del Novecento si veda De Cesaris 2006, 175-179. Su Semeria si veda anche Fumagalli 1993, 130-133.

[3]  Alcuni fra i più recenti studi che si sono avvalsi dei nuovi documenti dell'Archivio Segreto Vaticano sono: Wolf 2005; Fattorini 2007; Wolf 2008; Ceci 2010; Semeraro 2010; Perin 2010.

[4]  La ricerca aveva preso in esame i casi di Padova, Trento, Treviso, Trieste, Udine, Venezia e Vicenza. Cfr. Perin 2008 e 2011. Si veda anche il sito internet www.circe.iuav.it/Venetotra2guerre.

[5]  Sull'opportunità di utilizzare la stampa diocesana come fonte per lo studio dell'atteggiamento della Chiesa cattolica verso l'antisemitismo cfr. Miccoli 1989, 167-169.

[6]  Nazionalsocialismo, «Vita Trentina», 9 aprile 1931.

[7]  Dove va la Germania?, «Vita Trentina», 25 aprile 1932.

[8]  Persecuzione nazista, «Vita Trentina», 29 aprile 1937.

[9]  Dall'Estero, «La Vita del Popolo», 5 febbraio 1933.

[10]  Dall'Estero, «La Vita del Popolo», 12 febbraio 1933.

[11]  In giro per il mondo. All'Estero, «La Settimana religiosa», 2 aprile 1933.

[12]  La Chiesa in Germania, «Vita Trentina», 6 aprile 1933.

[13]  In Germania. Contro i fuoriusciti, «La Vita Cattolica», 9 aprile 1933.

[14]  La legge del 7 aprile sulla restaurazione dei pubblici funzionari di carriera prevedeva l'esclusione degli oppositori politici e dei «non ariani» dagli impieghi statali e comunali, dove per «non ariano», come spiegava il primo decreto supplementare alla legge, si intendeva «chiunque discendesse da genitori o nonni non ariani ed ebrei in particolare. È sufficiente che uno solo dei genitori o dei nonni sia non ariano». Dopo l'allontanamento dei funzionari toccò agli avvocati e poi ai medici. Cfr. Mommsen, 2003, 57 e seg.; Friedländer 2004, 35 seg.

[15]  Rassegna politica, «Vita Trentina», 27 aprile 1933.

[16]  Rassegna politica, «Vita Trentina», 4 maggio 1933.

[17]  Incoerenze, «La Vita Cattolica», 18 giugno 1933.

[18]  Sull'accusa della responsabilità ebraica dell'ascesa del comunismo in Russia nella stampa cattolica si vedano Taradel, Raggi 2000, 47-48; Perin 2008. Sullo stereotipo dell'ebreo-massone cfr. Menozzi 2006; Vian 2011.

[19]  Nonostante il Reichskonkordat avesse dovuto costituire principalmente una sorta di garanzia dei diritti della Chiesa cattolica in Germania non fu un mero strumento giuridico utilizzato dalla Chiesa cattolica per difendersi dagli eventuali soprusi del regime nazista. Martino Patti [2008] mostra bene, attraverso l'analisi delle pubblicazioni della collana Reich und Kirche, come, almeno nel biennio 1933-1934, il consenso del cattolicesimo tedesco verso il nazionalsocialismo fosse dettato da una convergenza di valori e da una consonanza ideologica autoritaria e antiliberale.

[20]  Gli scambi tra il segretario di Stato, il card. Pacelli, e il nunzio apostolico in Baviera, mons. Orsenigo, sulle prime manifestazioni antisemite in Germania sono stati di recente ricostruiti da Brechenmacher 2010. Dalla nuova documentazione è emerso che Pio XI durante l'udienza del 1° aprile incaricò Pacelli di informarsi presso il nunzio sulla possibilità di un eventuale intervento della Santa Sede «contro il pericolo di eccessi antisemitici in Germania». Ivi, 338.

[21]  Opere di Rosenberg e Bergmann condannate dal Santo Uffizio, «La Settimana religiosa», 18 febbraio 1934.

[22]  Tutti... bestie meno i tedeschi, «La Vita Cattolica», 13 gennaio 1935.

[23]  Furore razzista..., «La Vita Cattolica», 3 marzo 1935.

[24]  L'articolo continuava riportando le parole dette da Pacelli in occasione di un suo viaggio in Francia a proposito dell'«amor di Patria» confuso dal «fanatismo nazional-socialista» con l'«idolatria della razza e divinizzazione dello Stato». Il segretario di Stato affermava l'esistenza di due patriottismi: «un patriottismo falso, che fa della Patria una specie di idolo barbaro assetato di tirannia e di sangue, e il vero patriottismo». Per una compiuta ricostruzione degli atteggiamenti cattolici in ordine ai concetti di «patria» e «nazione» tra le due guerre cfr. Menozzi 2010.

[25]  Il neopaganesimo razzista giudicato dalla stampa francese, «La Settimana religiosa», 12 maggio 1935.

[26]  Povero sangue puro..!, «Vita Trentina», 28 febbraio 1935.

[27]  Rassegna politica, «Vita Trentina», 19 settembre 1935.

[28]  Il Congresso Nazista, «La Vita Cattolica», 22 settembre 1935.

[29]  Il primo provvedimento razzista tout court fu il decreto-legge del 19 aprile 1937, n. 880, Sanzioni per i rapporti d'indole coniugale fra cittadini e sudditi. Sulle reazioni della Santa Sede alla pubblicazione del decreto si veda Ceci 2010. Sull'emanazione delle leggi razziali in Italia alcune opere di riferimento sono De Felice 1993; Sarfatti 1994; Matard-Bonucci, 2008; Menozzi, Mariuzzo 2010. Si segnalano inoltre alcuni contributi del numero monografico de «La Rassegna mensile di Israel», LXXIII/2: Israel 2007; Capristo 2007; Minerbi 2007.

[30]  Nel mondo, «La Vita del Popolo», 28 febbraio 1937.

[31]  Più vittime della guerra, «La Settimana religiosa», 28 novembre 1937.

[32]  Ebrei e comunisti, «La Vita Cattolica», 28 novembre 1937. Il medesimo articolo venne pubblicato dal settimanale diocesano di Padova esattamente un anno dopo, quando il decreto legge del 17 novembre era già stato emanato. Cfr. Ebrei e comunisti, «La Difesa del Popolo», 25 dicembre 1938.

[33]  Don Giuseppe Scarpa fu assistente ecclesiastico della Fuci veneziana e dei Laureati cattolici, docente del seminario e parroco della chiesa San Salvador [Vian 2003].

[34]  Si vedano gli articoli di padre Rosa a commento del decreto di condanna da parte del Sant'Uffizio della società Amici d'Israele, nei quali distingueva tra un antisemitismo moderno non tollerabile e uno invece accettabile, se non addirittura auspicabile perché cristiano: Il pericolo giudaico e gli «Amici d'Israele», «La Civiltà Cattolica», 79 (1928), vol. II, 335-344; Semitismo e antisemitismo. A proposito del decreto del Sant'Uffizio su «gli Amici di Israele», «L'Avvenire d'Italia», 30 maggio 1928, 2. Si vedano anche le considerazioni di Miccoli 2000.

[35]  Nell'attesa del Salvatore, «La Settimana religiosa», 28 novembre 1937.

[36]  Si veda per esempio un articolo del settimanale diocesano di Padova dove si usavano le espressioni «razze latine» e «razze tedesche protestanti»: L'ipocrisia di certi giornali, «La Difesa del Popolo», 25 ottobre 1914. Perin 2011b. Sui diversi utilizzi e significati del lemma «razza», oltre a Maiocchi 1999 e Pisanty 2006, si vedano anche Pogliano 2005, 1-12; Barbujani 2010.

[37]  Dopo la venuta del Salvatore, «La Settimana religiosa», 2 gennaio 1938.

[38]  Dopo la venuta del Salvatore, «La Settimana religiosa», 23 gennaio 1938.

[39]  Dopo la venuta del Salvatore, «La Settimana religiosa», 27 febbraio 1938.

[40]  Nell'attesa del Salvatore, «La Settimana religiosa», 5 dicembre 1937.

[41]  Nell'attesa del Salvatore, «La Settimana religiosa», 12 dicembre 1937.

[42]  Nell'attesa del Salvatore, «La Settimana religiosa», 19 dicembre 1937.

[43]  Dopo la venuta del Salvatore, «La Settimana religiosa», 16 gennaio 1938.

[44]  L'iconografia dell'ebreo, attraverso la sua deformazione somatica (naso adunco, labbra spesse, barba) doveva servire a rappresentare il "nemico" per dimostrarne un'alterità identificabile con l'inferiorità. Su questo tema si veda Pallottino 1994, 17-26.

[45]  Dopo la venuta del Salvatore, «La Settimana religiosa», 23 gennaio 1938.

[46]  Dopo la venuta del Salvatore, «La Settimana religiosa», 6 febbraio 1938.

[47]  Dopo la venuta del Salvatore, «La Settimana religiosa», 13 febbraio 1938.

[48]  Dopo la venuta del Salvatore, «La Settimana religiosa», 20 febbraio 1938.

[49] Dopo la venuta del Salvatore, «La Settimana religiosa», 27 febbraio 1938.