L'analisi del territorio rurale e agricolo che qui presentiamo si fonda su una concezione di paesaggio inteso come segno e espressione della relazione uomo – natura, non solo come costrutto storico ma anche come ponte verso il futuro [Quaini 2006]. I paesaggi rurali, negli ultimi decenni, paiono interessati da almeno tre fenomeni: l'esplosione della città al di fuori dei confini tradizionali, le difficoltà che investono il settore primario e, contemporaneamente, il ritorno alla campagna da parte di giovani agricoltori, un fenomeno quest'ultimo quantitativamente limitato, ma molto significativo dal punto di vista socioculturale. Terremo conto, quindi, della fase critica che vive oggi l'agricoltura, e con essa i suoi paesaggi, ma anche delle esperienze che appaiono in grado di creare nuovo senso locale e nuove opportunità per produttori e consumatori, nell'ottica della sostenibilità ambientale dei processi di produzione e consumo e di nuove relazioni nel territorio.
Il paesaggio è visto qui come strumento in grado di sintetizzare, rappresentare e comunicare le progettualità delle società locali (o parti di esse), come orizzonte per l'immaginazione collettiva e veicolo per la riproduzione dei valori che danno forma alle reti sociali, in grado di generare nuovi percorsi di territorializzazione [Magnaghi 1998; 2001]. Il territorio di riferimento è la regione Emilia-Romagna, in particolare la provincia di Bologna; al centro dell'analisi proposta troviamo la relazione tra pratiche e rappresentazioni del quotidiano, ossia tra produzione, scambio e consumo, da un lato, e il paesaggio, inteso come contesto fisico e simbolico delle attività umane. Le pratiche quotidiane, infatti, e in particolare quelle legate ai comportamenti di consumo e agli stili di vita, rappresentano un fenomeno sempre più rilevante anche dal punto di vista della comunicazione di valori. Il paesaggio in qualche modo è il frutto, per lo più inconsapevole o indiretto, di queste relazioni e pratiche, ed è anche lo spazio evolutivo per le società locali, sia in termini concreti sia come ambito per l'immaginazione collettiva [Romani 1998; 2008]. La riflessione che qui si presenta, pertanto, si incentra proprio sulla relazione tra processi di produzione e consumo e paesaggio, come prodotto materiale di esse ma anche come spazio identitario e culturale, come orizzonte cognitivo utile per progettare, e riprogettare, l'evoluzione del territorio da parte della società locale [Farina 2004; Romani 2008].
Il consumo è visto dai sociologi come strumento attraverso il quale gli attori costruiscono e comunicano la propria identità: gli oggetti e i modi del consumare e, più in generale, dell'abitare, costituiscono grammatiche utili agli abitanti (oltre che consumatori) per gestire il proprio quotidiano, i rapporti sociali e le relazioni territoriali [Douglas e Isherwood 1979; Sassatelli e Leonini 2008]. In questo appare evidente il nesso che unisce le forme del consumare, del produrre e dell'abitare con il paesaggio, inteso come segno tracciato dalle società locali e come vero e proprio linguaggio, utile per ragionare sui rapporti tra uomo e natura. Se lo stile di vita occidentale, evidentemente, non testimonia un'assunzione di responsabilità in termini ecologici, al contrario, nelle fila di coloro che si definiscono consumatori critici e che praticano soluzioni alternative per le proprie scelte quotidiane (ecologiche, etiche e solidali, di sobrietà, auto-produzione, ecc.) i beni e i comportamenti legati alla sfera del consumo sono considerati, sul piano concreto, come tasselli di un altro mondo possibile in costruzione; sul piano culturale, invece, diventano strumenti per la comunicazione di un progetto di territorio, un nuovo paesaggio possibile, attraverso un vero e proprio “linguaggio delle pratiche”.
Nonostante si vogliano cogliere, in questa sede, le situazioni in cui i sistemi agricoli paiono oggi più fertili e vivaci, laddove sono abbozzati paesaggi alternativi rispetto all'appiattimento generato dall'agroindustria e dall'urbanizzazione sfrenata, è impossibile prescindere dal contesto in cui questi fenomeni sono riconoscibili, cioè quello di generale crisi che i sistemi agricoli e il territorio rurale incontrano di fronte alle pressioni dell'espansione urbana, ai danni provocati dall'agricoltura industriale o all'abbandono dell'attività agricola [Bocci e Ricoveri, 2006]. In primo luogo sono descritte queste dinamiche macro, sulla base dei dati statistici relativi all'agricoltura e all'urbanizzazione, mentre per quanto riguarda la seconda parte, che valorizza le esperienze innovative e alternative legate all'agricoltura biologica e agli stili di vita sostenibili, si è fatto riferimento a un approccio qualitativo, interessato a cogliere il significato culturale e le pratiche sociali dei soggetti considerati. A questo scopo, oltre ad appoggiarsi alla consultazione bibliografica e di siti web del settore, è stata molto importante la partecipazione attiva a reti locali di produttori biologici e consumatori critici, oltre che all'esperienza personale di vivere in un'area cardine per i temi affrontati, una zona periurbana collinare della Provincia di Bologna, ancora rurale ma lambita dai modelli insediativi e paesistici tipici della città. È in questa sezione che si riportano i frutti di un lavoro di ricerca ispirato all'etnografia, ma radicato nell'ambito della geografia umana.
Tra agricoltura industriale e urbanizzazione selvaggia
Dal primo censimento dell’agricoltura al 2000, cioè in circa quaranta anni, la superficie agricola totale della regione si è ridotta di oltre un quarto, perdendo 500 mila ettari. Dal 1990 al 2000 il numero delle aziende è diminuito di oltre il 28% ed è andato perduto il 14,4% di Superficie Agricola Totale (S.A.T.) e il 9,6% della S.A.U. (Superficie Agricola Utilizzata) [2] . La tendenza pare in calo negli ultimi anni, nel censimento del 2007 da 2000 al 2007 infatti la diminuzione registrata della S.A.T. È stata del 6,9% e del 5,6% della S.A.U. (dati ISTAT).
Come riporta anche un documento della Regione, nel 2000 “per ogni 100 ettari di superficie territoriale 34 sono destinati ad usi non agricoli (aree urbanizzate, acque interne, terreni abbandonati, ecc.), 16 appartengono ad aziende agricole ma sono occupati da boschi o tare oppure sono incolti, mentre i rimanenti 50 rappresentano la SAU” [3] . In questo documento, comunque, la Regione sostiene che, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, la causa principale di questo calo non sarebbe da imputare all’utilizzazione dei terreni a fini di urbanizzazione, o comunque a fini extra-agricoli, poiché tale fenomeno ha interessato particolarmente la pianura, mentre tra il tra il 1961 ed il 2000 il maggiore calo nelle superfici agricole si riscontra in montagna (le aziende agricole della pianura perdono il 10,7%, quelle di collina il 27,7% e quelle di montagna il 49,4%): “In pratica, l’agricoltura montana si è dimezzata negli ultimi quarant’anni, ad un ritmo che è stato particolarmente sostenuto negli anni Ottanta ma soprattutto negli anni Novanta, durante i quali si sono persi più ettari che nell’intero trentennio precedente” [4] . Per quanto riguarda la provincia di Bologna, facendo riferimento ai dati pubblicati sul quadro conoscitivo del PTCP (Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, 2004) la tendenza appare confermata:
dal 1970 al 2000 sono stati destinati ad altre attività ed usi 49.490 ettari di superficie agricola territoriale[...]; di questi oltre 25mila ettari di superficie agricola territoriale sono stati persi nell’ultimo decennio: si tratta di circa il 52% della perdita totale; nello stesso periodo, hanno chiuso l’attività 11.096 aziende agricole, di cui circa il 50% nell’ultimo decennio; la chiusura di queste aziende ha comportato il trasferimento dei terreni che esse coltivavano ad altri soggetti; il 58% del suolo è confluito in altre aziende agricole, il restante 42% non è più utilizzata come superficie agricola. [ PTCP 2004, 366]
La crescita del suolo urbanizzato, o comunque non agricolo, appare evidente considerando la crescita degli abitanti dei comuni dell'hinterland bolognese a discapito del capoluogo: mentre il comune di Bologna perde abitanti, il 12% dal 1981 al 1991 e il 9% dal 1991 al 2001, gli altri comuni negli stessi intervalli temporali registrano una crescita: Budrio +4% e +7%,le unioni di comuni Terre di Pianura +3% e +13%, Valle del Samoggia +20% e +18%, le Comunità Montane Cinque Valli Bolognesi +11% in entrambi i periodi e l'Alta e media Valle del Reno +3% e +9%, solo per fare alcuni esempi [PTCP 2004, 135]. Gli abitanti si spostano dalla centro urbano e vanno ad accrescere le fasce periurbane e extraurbane, complici anche il minore costo degli alloggi al di fuori dei confini della città storica e le aspirazioni a una maggiore qualità della vita a cui la città non sembra più in grado di rispondere. Il risultato è il ben noto fenomeno indicato con i termini di sprawl, città diffusa, città infinita, ecc., in estrema sintesi una proliferazione di strutture insediative sparse nel territorio a cui non corrisponde una sufficiente rete di servizi e spazi per la vita pubblica [Ingersoll, 2004].
Città e campagna si mescolano nel reticolo della mobilità, le schiere di villette si sostituiscono ai filari alberati e alle siepi, le cascine si trasformano in condomini, con appartamenti con ingressi indipendenti e giardini privati, mentre viene meno l'identità e il senso di comunità dei luoghi [Ingersoll 2004]. Anche il PTCP della provincia registra questi cambiamenti, relativamente alla qualità della nuova edificazione negli ambiti rurali e la presenza di destinazioni d’uso conflittuali:
la nuova edificazione negli ambiti rurali, è caratterizzata per un'assunzione acritica di modelli edificatori propri delle frange periferiche imperniate su lotti di piccola dimensione; la “villetta” o il piccolo edificio condominiale sono ripetuti con poche varianti tematiche nell’ambito rurale. La non proponibilità dei modelli del passato, dovuta principalmente ai volumi eccessivi, non è stata affiancata dall’individuazione di modelli compatibili nella forma e nei materiali. A questi aspetti si assommano crescenti conflittualità tra i nuovi residenti nelle zone rurali e le attività produttive agricole (odori, rumori, polveri, prodotti fitosanitari, ecc.) [PTCP 2004, 372]
Alle delizie bucoliche, per gli abitanti, si accompagnano così gli svantaggi che la campagna implica per chi la abita secondo i principi della città, primo fra tutti il pendolarismo obbligato, per lo più legato alla mobilità privata, cioè all'auto, non solo negli spostamenti casa-lavoro ma anche verso i centri commerciali, i luoghi dello svago e del tempo libero. In generale si afferma la dipendenza dal capoluogo principale per i servizi legati alle strutture educative, sanitarie, ma molto spesso anche dal punto di vista sociale e relazionale; il contesto locale si vive per lo più per la funzione residenziale e le relazioni instaurate al suo interno sono scarse [Ingersoll, 2004, Bonora e Cervellati, 2009].
Se alcuni, come abbiamo visto, osservando la perdita di suolo agricolo nel territorio regionale sostengono che la causa sia da imputare allo spopolamento della collina e, ancora di più, della montagna, piuttosto che all'urbanizzazione, ragionando però sul paesaggio e in termini di sistemi complessi , è possibile proporre una diversa interpretazione [Bonaiuti 2003]. Appare evidente, infatti, la correlazione tra l'erosione del suolo agricolo ad opera dell'espansione urbana non pianificata e il passaggio da un'economia in gran parte agricola allo sviluppo dei settori secondario e terziario, con gli stili di consumo che questo cambiamento ha portato con sé. Il valore dei terreni urbanizzati, o urbanizzabili, può aumentare, in funzione delle attività dell'edilizia e delle speculazioni finanziarie, solo in un contesto in cui il suolo agricolo non ha più valore di fronte a un'economia globalizzata che fornisce cibi a basso costo (e di bassa qualità) e dove non è più riconosciuto come indispensabile alla sopravvivenza delle comunità locali.
Considerando i processi culturali insieme ai fenomeni socioeconomici e territoriali si può individuare una prospettiva di continuità e un filo logico che unisce l'abbandono dell'Appennino e dell'agricoltura, incominciato negli anni Cinquanta e Sessanta, la tendenza di accentramento della popolazione sul capoluogo bolognese, e la successiva esplosione della città al di fuori dei confini, anche teorici, dell'urbano. L'accentramento nell'area urbana, che offriva lavoro e l'aspirazione a una vita migliore, viene meno man mano che i costi diventano troppo elevati e la città sempre meno accattivante per i diversi conflitti che ospita al suo interno e per le condizioni ambientali, sempre più degenerate. I dati attuali, infatti, registrano movimenti di popolazione verso i comuni di tutta la provincia, ben oltre la prima cintura, fino a quelli della prima fascia dell'Appennino. Ovviamente si tratta di un ritorno in larga misura legato alla funzione residenziale, che non risulta significativo ai fini della cura dei sistemi agricoli e che, anzi, in modo inconsapevole aggrava gli stessi problemi che pretenderebbe risolvere [5] . Si può identificare questa tendenza come il passaggio da un abitare integrato nei luoghi, com'era quello della società contadina, dedito all'uso delle risorse locali e, insieme, alla cura che questo richiede, a un abitare che esprime una domanda di paesaggio come orizzonte per contemplazioni domenicali, spazi verdi utili per incrementare le rendite o da consumare, in gran parte dal finestrino dell'automobile. Gli effetti di queste dinamiche sui paesaggi agrari sono, evidentemente, la sostituzione delle strutture rurali, delle architetture colturali, dei canali e della viabilità locale da parte delle infrastrutture della mobilità, delle strutture residenziali e commerciali.
Mentre la città avanza, con i comportamenti e le identità culturali che le sono tipici, la campagna arretra, perde terreno, anche perché l'agricoltura è sempre meno viva e attiva (così come gli agricoltori, che sono sempre più anziani), e con essa scompaiono gli ultimi equilibri legati spontaneamente (o coercitivamente) ai cicli ecologici e alle risorse locali, come quelli che ruotavano intorno alla casa rurale tradizionale [Gambi e Barbieri 1970]. L'agricoltura, laddove resiste, si divide tra gli estremi dell'industrializzazione dell'impresa agricola professionale, con gli svantaggi che questa comporta per gli ecosistemi e per le economie locali, per sfumare nei paesaggi dell'abbandono, con conseguenze dannose quantomeno per le trame del reticolo idrogeologico. Per contrasto con questa rappresentazione, riprendiamo un'immagine, riportata da Sestini nel volume sul paesaggio, scritto nel 1963, in cui l'autore descrive il territorio del Bolognese e della Romagna, come appariva allora, quando ancora la società contadina resisteva e persistevano i suoi segni nel territorio:
la campagna appare fertile e rigogliosa, ricca di colture variate, con associazione pressoché costante di seminativi e piante legnose. La varietà si avverte entro ogni singola unità poderale. Con i seminativi di piante alimentari, tra cui prevale il frumento, alternano le leguminose foraggere, la barbabietola e la canapa, (…); teorie di olmi e di pioppi, più raramente di gelsi, sostengono la vite; filari e scacchiere di ciliegi, peschi e alberi da frutta sono frequenti. I maceri da canapa costituiscono anch'essi un caratteristico elemento del paesaggio. (...) Le dimore rurali, situate sui poderi ma in vicinanza delle strade, appaiono per solito come edifici tozzi e massicci. (...) è comunque caratteristico l'ampio cortile (...), chiuso spesso da una siepe di biancospino, marruca, rovi o anche di bosso, con qualche albero frondoso. Il paesaggio assume una particolare sfumatura dove il frutteto, o anche l'orto, acquistano prevalenza, di regola senza eliminare le colture seminative, che formano tappeto ai peschi, albicocchi, ciliegi, susini. (…) [Sestini 1963, 79-80].
Alternative: agricoltura biologica e contadina, nuovi stili di vita
Tuttavia, come abbiamo detto, osservando più a fondo i mutamenti degli ultimi decenni, il quadro d'insieme non si esaurisce nella decadenza e nell'inaridimento di terreni e comunità locali fin qui rappresentato. Esiste un fermento, sul piano culturale nell'economia reale, intorno alla produzione biologica e locale, per cui è possibili individuare nuovi paesaggi rurali in via di costituzione, nuovi orizzonti per le nostre campagne.
E' il caso delle reti della filiera corta di prodotti biologici e dello scambio su base locale e solidale, fenomeni che sul paesaggio agrario generano conseguenze legate in primo luogo alla ri-localizzazione delle produzioni, alle scelte produttive ecologiche e tradizionali e alle nuove relazioni sociali e attività culturali che a partire da queste reti prendono avvio. Anche in Emilia-Romagna, come in altre regioni italiane, è in crescita la vendita diretta da parte delle aziende agricole ed è vivace il fenomeno dei G.A.S. (gruppi d'acquisto solidale) [Link a ] nell'ambito dei quali gruppi di consumatori si organizzano per rifornirsi da produttori biologici e locali. In regione esistono più di cinquanta gruppi d'acquisto, alcuni formati da poche famiglie, altri molto complessi come il GasBo (Bologna) che coinvolge centinaia di famiglie, suddivise in più sottogruppi territoriali, con due magazzini per lo stoccaggio dei prodotti e una complessa rete di volontari e collaboratori.
Questi canali diventano importanti non solo per chi acquista i prodotti, ma grazie anche alla maggiore comunicazione e partecipazione che consentono le nuove tecnologie e internet, anche come reti di diffusione di informazioni riguardo alle pratiche ecologiche sui temi più diversi (alimentazione, igiene, energia, edilizia, acqua, cohounsing, ecoturismo e turismo responsabile, ecc.). Oltre allo scambio di prodotti prevalentemente a scala locale si crea anche una comunità locale (anche se in parte si tratta di flussi che scorrono nei canali del web) intorno a nuovi valori, quali la giustizia economica, il rispetto dell'ambiente, la tracciabilità dei cibi fondata sul un rapporto diretto tra produttore e consumatore e una nuova fiducia, al di là dei meccanismi di razionalizzazione del sistema alimentare industriale a volte aleatori, come dimostrato dai numerosi scandali alimentari.
In crescita anche il fenomeno dei mercati contadini (a Modena, Reggio Emilia, Bologna e in diverse città della Romagna); a Bologna, ad esempio, da alcuni anni si svolgono tre mercati di produttori biologici la settimana, organizzati dall'associazione CampiAperti per la Sovranità Alimentare [Link a http://www.campiaperti.org] (il primo risale al 2001), associazione che riunisce produttori e consumatori che autogestiscono i mercati, oltre ai mercati contadini, di produttori biologici e convenzionali, organizzati da Slow Food (bimensile, a partire dal 2009) e da Coldiretti (settimanale, avviato nel 2010). Nel caso di CampiAperti, le aziende che partecipano all'associazione rivendicano molto spesso un'identità contadina, per il significato politico che questo termine oggi sottende, rispetto ai processi di omologazione dei prodotti, di accentramento del potere economico e marginalizzazione dei produttori imposti dal mercato globale [Ploeg 2008]. Quasi sempre si tratta di piccole o medie aziende, per lo più a conduzione familiare, che operano attraverso la diversificazione delle attività e gestendo in modo sostenibile i cicli ecologici nei processi produttivi, facendo affidamento sul metodo biologico, riscoprendo i tradizionali equilibri dell'azienda agricola, le varietà locali, le sinergie tra le colture e così via. Il paesaggio agrario ne trae giovamento, anche se su piccola scala, perché ricompare la varietà, la percezione di un territorio agricolo vivo e diversificato, in cui ci si ricorre alla consociazione tra le piante per valorizzare le rese, si mantengono i boschetti e le siepi invece di eliminarli per lasciare spazio alle macchine, perché ospitano i predatori dei parassiti e favoriscono così anche la biodiversità e gli equilibri delle reti ecologiche.
Ma queste esperienze dell'agricoltura ecologica e alternativa si identificano anche per le nuove relazioni che generano nel territorio e che ricongiungono agricoltori e cittadini: la campagna pervade la città, dove giungono i suoi prodotti e l'informazione su di essi (dai processi produttivi alle modalità di cucinarli, visto che spesso è necessario un nuovo apprendimento per cucinare le erbe spontanee, le verdure che il sistema alimentare industriale ha dimenticato, o è necessaria più fantasia per trovare nuove ricette quando le verdure disponibili sono poche, come nei mesi più rigidi, nel rispetto del consumo locale. Ma sono anche i cittadini, sempre più spesso, a spostarsi in campagna, per riscoprire il proprio territorio e rinnovare il rapporto con il cibo, le sue origini e la sua materialità. Non si contano le proposte di corsi e attività enogastronomiche, laboratori di cucina dove il contatto anche fisico con i prodotti e il percorso dal campo alla tavola rientra nella conoscenza ricercata, mentre si realizzano giornate delle “fattorie aperte”, le aziende diventano “fattorie didattiche” o ancora si rivelano strumenti utili anche per l'integrazione di persone con diverse difficoltà di inserimento lavorativo e disabilità fisiche o mentali (agricoltura sociale).
L'agricoltura, e il paesaggio agrario in queste nuove relazioni si rivelano come un contesto capace di fornire non solo prodotti alimentari ma anche tutta una serie di servizi utili a scopi sociali e culturali a cui la città sembra rispondere vivacemente. Un'esperienza interessante, in questo ambito, è quella dell'associazione Montagnamica, che riunisce agricoltori e trasformatori dell'Appennino. Grazie anche all'impegno del Forno Calzolari (che ha due negozi, uno a Monghidoro e uno a Bologna, vicino a via Toscana, in una continuità anche territoriale tra città e campagna), sono state recuperate alcune varietà di grano locali, che vengono coltivate da agricoltori dell'Appennino, tra Monzuno e Loiano, e utilizzate regolarmente dal forno per la propria produzione. Ai fini della molitura è stato anche recuperato un vecchio mulino nella valle del Savena, lungo la quale è stato istituito un percorso didattico, intitolato appunto “la via del pane”. Nel comune di Pianoro è stato creato anche uno spazio “Infoshop” che insieme alle informazioni per chi visita il territorio distribuisce i prodotti dei soci di Montagnamica (formaggi, birra di castagne, farro e farine, vini, miele e altri prodotti dell'Appennino).
Queste attività testimoniano un esempio di come il paesaggio possa rappresentare anche un'opportunità per nuove modalità di sviluppo ecologicamente sostenibili e di cui sembra esistere anche una domanda consistente da parte di consumatori sempre più sensibili, invece che costituire un vincolo per le espansioni dell'edificato e per la diffusione di forme dissipative di sviluppo (di cui il territorio e il mercato paiono ormai saturi). Anzi, vogliamo immaginare che la crisi economica possa essere di impulso per la riscoperta delle bellezze locali e a nuove forme di turismo lento e rispettoso dei luoghi, che riscoprano il loro valore in senso complesso. E chissà che queste occasioni di sviluppo locale non rappresentino anche l'occasione perché trovi spazio una nuova agri-cultura che abbia le sue radici nei campi e i frutti sulle nostre tavole, in numero sempre crescente, un'agri-cultura capace di prendersi cura in modo migliore dei nostri territori e del paesaggio [Bocci e Ricoveri 2006; Quaini 2009].
Bibliografia
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Link utili
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www.sinab.it
Sistema d'informazione nazionale sull'agricoltura biologica
www.aiab.it
AIAB, Associazione Italia Agricoltura Biologica
www.agricolturacontadina.org
Petizione per legge d'iniziativa popolare per l'agricoltura contadina
www.rfb.it/asci
ASCI, Associazione di Solidarieta' per la Campagna Italiana
http://biodiversita.info
Civiltà Contadina, associazione per la salvaguardia della biodiversità rurale
www.quarantina.it
Consorzio della Quarantina, associazione per la terra e la cultura rurale
www.semirurali.net
Rete Semi Rurali per la tutela della biodiversità
www.campiaperti.org
CampiAperti per la Sovranità alimentare, associazione dei produttori e consumatori biologici (Bologna)
http://terraterra.noblogs.org
terraTERRA, rete mercati di Roma
www.ortidipace.org
Orti di pace, progetti per intendere l'orto come occasione di scambio con la natura, l’ambiente e la comunità
www.ruralpini.it
Sito a cura di Michele Corti: ruralismo, montagna da vivere, alpeggi, pastoralismo...
http://crepeurbane.noblogs.org
CrepeUrbane, Ecosistemi urbani resistenti - Giardinaggio critico (Bologna)
www.retegas.org
Rete nazionale di collegamento dei gruppi d'acquisto solidale
www.retecosol.org
Rete di Economia Solidale
http://www.retebioregionale.ilcannocchiale.it/
Rete bioregionale italiana, la pratica del bioregionalismo e dell'ecologia profonda
http://www.mappaecovillaggi.it/
mappa degli ecovillaggi italiani
http://www.wwoof.it/
Associazione internazionale per scambio lavoro e volontariato nelle fattorie biologiche
In Regione
http://www.gasbo.it
sito del Gruppo d’acquisto solidale di Bologna
www.prober.it
Associazione Produttori Biologici e Biodinamici dell’Emilia-Romagna
www.sportellomensebio.it
sito della Regione sul biologico nelle mense, in accordo alla legge n. 29 del 4/1 1/2002,
www.mangiocarnebio.it
sito per acquistare online prodotti biologici dell’Emilia-Romagna, soprattutto carne
www.montagnamica.it
Strada dei vini e dei sapori dell'Appennino Bolognese
Note
[1] “Agricoltura e territorio”, Regione Emilia-Romagna, Dossier Censimento, Settembre 2002, 51-55.
[2] Ibidem
[3] Ibidem
[4] Si tratta di ciò che F. Hirsch definisce “paradosso dell'opulenza”: il mercato risponde a bisogni che sono riconosciuti come individuali e perde di vista le conseguenze della crescita per la collettività, anche allo scopo della soddisfazione che i beni desiderati possono garantire. Hirsch fa l'esempio della casa al mare: tutti vogliono la casa al mare, per soddisfare il desiderio di contatto con la natura, di tranquillità, ecc., ma se non si pongono dei limiti all'edificazione il risultato è la perdita dei benefici auspicati. Il mercato non mette in evidenza i limiti strutturali di alcuni beni. La soddisfazione di bisogni collettivi (non riconosciuti come tali) mediante soluzioni individuali, genera la perdita di valore dei beni in questione e l'impossibilità di soddisfare il bisogno iniziale. Hirsch, F., 2001, I limiti sociali allo sviluppo, Studi Bompiani, Milano, (ed. or. 1976).