Il Gran Cammeo di Francia, conservato al Cabinet des Medailles della Bibliothèque Nationale di Parigi (Inv. 264: Fig.1 e Fig. 2), fa pienamente onore al suo nome. La pietra (una sardonica indiana a cinque strati) misura 31 cm di altezza per 26,5 cm di larghezza. Si tratta del cammeo piú grande che sia mai stato prodotto: indicativo è il confronto con cammei di epoca moderna, i piú grandi e preziosi dei quali raggiungono al massimo (e molto raramente) un diametro di otto o nove cm. Prestigiosa è anche la provenienza del cammeo. Fino alla rivoluzione esso apparteneva al tesoro dei re di Francia, conservato nella cappella reale, la Sainte Chapelle. Qui viene menzionato per la prima volta in un inventario del 1341; secondo la tradizione il cammeo sarebbe stato portato in occidente intorno alla metà del duecento da Baldovino II, imperatore del regno latino di Costantinopoli, allora in disperate difficoltà; probabilmente l'imperatore cercava di barattare questo cimelio di valore inestimabile con concreti aiuti economici o militari; in questo modo il cammeo sarebbe stato acquistato da Luigi IX, re di Francia. Che il cammeo provenisse da Costantinopoli depone per il fatto che avesse fatto parte del tesoro degli imperatori romani. Questo dovrebbe essere arrivato a Costantinopoli con il trasferimento della sede imperiale in epoca costantiniana: prima di allora era sicuramente conservato a Roma, probabilmente nel palazzo imperiale sul Palatino. Il cammeo quindi è uno di quegli oggetti enormemente preziosi che dall'antichità ad oggi sono passati di mano in mano, fra imperatori e re, senza andare mai perduti.
Al prestigio del cammeo corrisponde un’iconografia altamente elaborata: ed è proprio questa a costituire il problema. In tutta la storia dell'arte romana non si trova un'altra opera che abbia dato adito a tante e tali discussioni.
Negli ultimi settant'anni l'identificazione dei personaggi rappresentati e la datazione precisa del cammeo sono stati oggetto di innumerevoli controversie; a tutt'oggi, un accordo sembra essere più lontano che mai; ma quel che è peggio: mentre da un lato vengono avanzate sempre nuove proposte, dall’altro mancano dei criteri per distinguere le (poche) ipotesi plausibili dalle (molte) inverosimili, restringendo il campo delle alternative da discutere; la discussione sembra quindi allargarsi sempre di più, senza fare tuttavia alcun progresso. Per capire le ragioni di questa situazione così poco soddisfacente occorre dare un’occhiata alla storia della ricerca.Questa storia ha un inizio ben preciso. In una lettera del 23 settembre del 1620 Nicolas Claude Fabri de Peiresc, antiquario di chiara fama e lui stesso collezionista di gemme antiche, scrive da Parigi al suo vecchio amico Girolamo Aleandro a Roma[1]: “Io ho scoperto di nuovo in luogo peregrino et rare volte aperto, una gioia antiqua, la maggiore e la piú bella ch'io abbia mai veduta”. Poco oltre Peiresc specifica che il luogo peregrino è in effetti una chiesa, ma si guarda bene dal fare il nome della Sainte Chapelle; Aleandro si trova molto lontano: ma è piú prudente non dare troppe informazioni. Sul cammeo “si veggono scolpite vintiquattro figure [...] Il soggietto della scoltura è l'Apotheosi dell'Imperatore Augusto, di buona maestria, et del tutto conforme alle antique”. L'interpretazione di Peiresc è rivoluzionaria: infatti nella Sainte Chapelle “la traditione era che fosse la representatione del trionfo di Giosepho”. Peiresc è il primo a rendersi conto che la scena rappresentata sul cammeo non ha niente a che vedere con le storie di Giuseppe: essa si riferisce non all'antico testamento, bensí alla storia romana.
Sul cammeo, scrive Peiresc, “si veggono tre ordini di figure, l'uno comme in Cielo ò in Aria, l'altro comme in Terra sotto il primo, et il terzo dissotto il secondo, come in carcere sotterranea”. Nell'ordine superiore (Fig. 3) Peiresc riconosce al centro l'imperatore Augusto (no 10, fig. 2: “la facie di Augusto rassomiglia benissimo il profilo delle medaglie”), accompagnato forse da Giulio Cesare (no 12, fig. 2) e da Marcello (no 11, fig. 2, in groppa ad un cavallo alato). Nell'ordine di mezzo (Fig.4) vediamo al centro l'imperatore Tiberio in trono (no 1, fig. 2), e accanto a lui sua madre Livia (no 2, fig. 2); nel giovane armato di fronte a Tiberio Peiresc propone di riconoscere Germanico (no 3, fig. 2), nipote dell'imperatore e suo successore designato; accanto a lui la madre, Antonia Minore (no 4, fig. 2); la donna seduta dietro a Germanico viene identificata con sua moglie Agrippina (no 8, fig. 2); di fronte a lei il figlio minore, il futuro imperatore Caligola (no 7, fig. 2). A destra invece Peiresc vorrebbe riconoscere Druso Minore (no 5, fig. 2), figlio di Tiberio, con sua moglie Livilla (no 6, fig. 2). L'ordine inferiore, nettamente separato dai personaggi della famiglia imperiale, è costituito da un gruppo di barbari prigionieri: subalterni e anonimi. Dall’identificazione dei personaggi proposta da Peiresc deriva una datazione del cammeo ai primi anni del regno di Tiberio, quando i due potenziali successori al trono, Germanico e Druso Minore, erano ancora vivi; ambedue sarebbero scomparsi prematuramente: Germanico nel 19, Druso Minore nel 23.
L'interpretazione di Peiresc fu accettata praticamente dalla totalità degli studiosi. Per oltre due secoli ha costituito un fondamento indiscusso e - si sarebbe detto - indiscutibile per chiunque si occupasse del cammeo. Se vi erano ancora dei dubbi, questi riguardavano al massimo l'identità di alcune figure secondarie (come ad esempio il personaggio in abito orientale no 13 fig. 2: Peiresc aveva pensato che si trattasse della Dea Roma; altri proposero piuttosto Julus, il figlio di Enea fondatore della gens Julia, Alessandro Magno, Apollo oppure Mitra); controversa rimase pure l'occasione specifica dell'incontro fra Tiberio e Germanico, a proposito della quale Peiresc non aveva preso posizione: si trattava del ritorno di Germanico dalla spedizione sul Reno o della partenza del medesimo per la guerra contro i Parti? Ma nelle grandi linee l'interpretazione del cammeo sembrava perfettamente chiara.
La situazione cambiò improvvisamente nel 1934 con la pubblicazione di un articolo di Ludwig Curtius[2]. Curtius mise a confronto la figura no 12, fig. 2, che Peiresc aveva identificato con Giulio Cesare, con una moneta con il ritratto di Druso Minore, figlio di Tiberio (Fig. 7 e Fig. 8): l'identità dei tratti fisionomici parve evidente e indiscutibile. Sulla scia di questo successo Curtius optò decisamente per il confronto fisionomico come metodo sicuro per stabilire l'identità anche degli altri personaggi raffigurati sul cammeo. Ne derivò un'interpretazione completamente diversa da quella di Peiresc. Invariata rimane solo l'identificazione di tre personaggi: no 1, fig. 2 Tiberio, no 2, fig. 2 Livia e no 10, fig. 2 Augusto; i due guerrieri no 3 e no 5 , fig. 2 invece (sulla base di confronti peraltro scarsamente convincenti) diventano Caligola e Claudio; il ragazzino in abito militare no 7, fig. 2 viene identificato con Tiberio Gemello, figlio di Druso Minore. Con i nomi dei personaggi cambia, naturalmente, anche la datazione del cammeo. Il vero protagonista della scena non è piú Tiberio in trono, bensì il suo successore Caligola (no 3, fig. 2). Il cammeo deve essere stato commissionato immediatamente dopo la morte di Tiberio nel marzo del 37 (ma prima che Caligola obbligasse Tiberio Gemello a suicidarsi, il che avvenne nell'ottobre di quello stesso anno: i tempi sono, come si vede, molto stretti). Ciononostante, il cammeo mostra Tiberio come se fosse ancora in vita. La scena pertanto ha un carattere retrospettivo, riferendosi specificamente alla situazione dopo la morte di Druso Minore nel 23: situazione che avrebbe (sempre secondo Curtius) creato le premesse per la successiva carriera di Caligola.
Vedremo fra poco che la situazione dopo la morte di Druso Minore fu in verità assai piú complessa, e che Caligola (contrariamente ai suoi due fratelli maggiori: Nerone e Druso) non vi ebbe un ruolo di primo piano. Ma quello che interessa per il momento, al di là delle singole proposte, è l’uso del confronto fisionomico come metodo primario e praticamente esclusivo. Questa scelta metodica ha fatto scuola. Un ottimo esempio è costituito da un lungo articolo di Hans Jucker del 1976[3]; si tratta fino ad oggi del contributo più esauriente che sia stato dedicato all'iconografia del cammeo, un vero capolavoro di erudizione storica e di sagacia interpretativa - anche se il risultato, come vedremo, è scarsamente convincente. Dal punto di vista del metodo Jucker segue fedelmente le orme di Curtius. Egli accetta le identificazioni proposte da Curtius per le figure no 12 e no 5, fig. 2: Druso Minore e Claudio. Il personaggio chiave sarebbe però proprio quest'ultimo, Claudio; accanto a lui Jucker riconosce la quarta moglie, Agrippina Minore (no 6, fig. 2) e - al margine opposto della scena - il figlio di lei, Nerone (no 7, fig. 2): l’iconografia presuppone quindi il matrimonio fra Claudio e Agrippina nel 49. Al centro dell’immagine Jucker torna invece (sorprendentemente) a vedere Germanico (no 3, fig. 2) al cospetto di Tiberio: si tratterebbe della partenza per la guerra contro i Parti nell’anno 17. Il cammeo, in conclusione, sarebbe stato commissionato in occasione delle nozze fra Claudio e Agrippina e andrebbe interpretato come un omaggio retrospettivo alla memoria di Germanico: fratello di Claudio e padre di Agrippina.
Al di là di tutte le differenze, le affinità fra Curtius e Jucker sono abbastanza evidenti: 1) ambedue si basano, per ogni singolo personaggio, sul metodo del confronto fisionomico. Ma si tratta veramente di un metodo valido? Appena un anno prima che uscisse l'articolo di Curtius, Ranuccio Bianchi Bandinelli aveva notato, a proposito del personaggio no 3, fig. 2: “il supposto ritratto di Germanico [...] ha, come gli altri ritratti dello stesso cammeo, lineamenti così poco marcati e individuali, che può concordare con qualunque ritratto che abbia le stesse caratteristiche familiari Giulio-Claudie”[4]. Sagge parole! In effetti le queste caratteristiche familiari sono così forti da rendere molto problematiche le identificazioni su base esclusivamente fisionomica; non è un caso, se proprio il metodo fisionomico ha portato a tante controverse proposte per le figure rappresentate sul cammeo. 2) Sia Curtius che Jucker sono portati a riconoscere l'imperatore regnante all'epoca in cui fu commissionato il cammeo non con il personaggio centrale, in trono (no 1, fig. 2), ma con una figura relativamente marginale: il committente del cammeo viene identificato da Curtius con il personaggio no 3, fig. 2 (Caligola), da Jucker con il no 5, fig. 2 (Claudio); ma proprio il confronto fra le due tesi ne mette in evidenza il carattere largamente velleitario. 3) Curtius e Jucker sono concordi nel ritenere che il cammeo sia stato commissionato molto tempo dopo la scena rappresentata al centro, che quindi avrebbe un carattere retrospettivo. Curtius immagina che il cammeo, che si riferisce ad una costellazione di personaggi degli anni venti, sia stato commissionato dopo la morte di Tiberio nel 37; Jucker invece ritiene che il cammeo sia stato prodotto nel 49 e che la scena si riferisca alla partenza di Germanico nel 17. In ambedue i casi non abbiamo piú una chiara distinzione fra viventi e defunti; anzi, vediamo comparire anche dei personaggi che, all'epoca della scena rappresentata, non sono ancora neppure nati: mentre Germanico (secondo l'interpretazione di Jucker) parte nel 17 per la guerra contro i Parti, Druso minore (che morirà nel 23) è già asceso in cielo; e accanto a Germanico vediamo il piccolo Nerone, che nascerà vent’ anni dopo. Si direbbe che il cammeo non faccia nessuna differenza fra viventi, defunti e nascituri. Come farà lo spettatore ad orientarsi in un'immagine che sembra rifiutarsi ad ogni ordine ed ogni struttura? In effetti è proprio questa mancanza di orientamento che, sulla scia inaugurata da Curtius, ha portato ad una vera e propria inflazione di identificazioni e di interpretazioni controverse. Ma la colpa di questa inflazione è veramente del cammeo? O non deriva piuttosto da un difetto d'impostazione metodica?
Torniamo a Peiresc e rivediamo quali fossero le premesse del suo metodo di interpretazione: premesse così banali che Peiresc non le menziona neppure; ed anche per noi non varrebbe la pena di specificarle, se non fosse che la ricerca scientifica moderna le ha così spesso trascurate. Queste premesse sono due: 1) il cammeo è un oggetto di enorme pregio e prestigio, destinato ad essere messo in mostra a corte: pertanto l'immagine deve necessariamente seguire le regole del cerimoniale di corte. La composizione ha un centro evidente ed inequivocabile: esso coincide con il personaggio no 1, fig. 2, in trono, circondato da una corona di figure secondarie; questa posizione centrale non può spettare che all'imperatore attualmente regnante; se l'imperatore in trono va identificato con Tiberio, se ne deduce che il cammeo deve necessariamente essere stato eseguito durante il suo regno (14-37). 2) La distinzione fra l'ordine di mezzo (in cui tutte le persone hanno letteralmente i piedi in terra) e l'ordine superiore (in cui tutte le persone sono rappresentate in stato di levitazione) ha una precisa funzione; essa serve a distinguere fra personaggi viventi e personaggi defunti. Nell'ordine superiore (e quindi celeste) abbiamo i defunti: secondo Peiresc Augusto, Giulio Cesare e Marcello; nell'ordine di mezzo vediamo invece i viventi: Tiberio, Livia e altri membri della famiglia imperiale; fra questi, in posizione di particolare evidenza, Germanico, nipote di Tiberio e suo figlio adottivo. Data la presenza di Germanico fra i viventi, ne segue che il cammeo deve essere stato eseguito prima della sua morte prematura: fra il 14, anno dell'avvento al regno di Tiberio, e il 19.
Queste premesse, che riguardano la struttura generale dell'immagine, erano e rimangono perfettamente valide - al di là delle singole identificazioni proposte. Essendo queste identificazioni controverse, vorrei procedere in due stadi: chiarire per prima cosa quali sono i personaggi la cui identificazione, allo stato delle conoscenze attuali, è veramente sicura; ed esaminare poi, senza cercare ulteriori confronti fisionomici, piuttosto la struttura del gruppo nel suo insieme e vedere quali conseguenze se ne possono dedurre.
Cominciamo quindi con le identificazioni sicure: sono tutto sommato solo due.
Il personaggio no 10 (Fig. 5) va sicuramente identificato con Augusto. Il tipo del ritratto corrisponde con minime varianti al cosiddetto tipo Primaporta, noto da centinaia di repliche (Fig. 6)[5]; Augusto è rappresentato capite velato, con lo scettro nella destra; la corona radiata lo caratterizza come divo. A lato di Augusto, come ha visto giustamente Curtius, il personaggio no 12, fig. 2 va identificato con Druso Minore, il figlio di Tiberio (no 12: Fig.7). In effetti Druso è uno dei pochi membri della famiglia Giulio-Claudia ad avere un ritratto dalla fisionomia individualizzata che si distingue chiaramente dal generico volto di famiglia. Il confronto fra la figura sul cammeo ed il ritratto di Druso su di un asse emesso pochi mesi prima che questi morisse (Fig. 8)[6] non lascia adito a dubbi: inconfondibilmente ritroviamo lo stesso profilo con la fronte bassa e fuggente, il naso adunco, il mento corto e rotondo. Fra tutte le figure sul cammeo ne abbiamo quindi due che sono sicuramente indentificabili; non sono molte; ma vediamo quali conseguenze ne possiamo trarre.
La morte del figlio di Tiberio nel 23 fu un avvenimento grave, ma di attualità relativamente limitata: dopo la morte di Tiberio stesso nel 37, nessuno avrebbe più sentito il bisogno di lamentare o anche solo di ricordare la perdita di Druso Minore. Data l’importanza che il cammeo attribuisce all'ascesa in cielo di Druso, possiamo dedurre che esso è stato eseguito probabilmente poco dopo la morte di Druso e sicuramente prima della morte di Tiberio. Ne segue che il personaggio in trono (no 1, fig. 2) deve necessariamente essere Tiberio. Stabilire questo è importante perché (sorprendentemente) l'identificazione del personaggio su base puramente fisionomica risulta impossibile; in particolare, non vi è nessuna somiglianza con il ritratto di Tiberio, sempre caratterizzato da un gran naso aquilino (Fig.9)[7]. La spiegazione è abbastanza semplice: sul cammeo la testa del sovrano è stata rilavorata in epoca successiva per attualizzarne l’aspetto (Fig.10-11); l’intervento, puntualmente analizzato fra l'altro da Jucker, va probabilmente datato intorno alla metà del terzo secolo: alla moda di quest’epoca corrispondono i capelli cortissimi e la barba rappresentata da minute incisioni sulla guancia e sul labbro superiore. In origine il personaggio era imberbe e dotato di un’abbondante capigliatura; nel corso della rilavorazione fu rasato il cranio al di sopra della corona e vennero eliminati anche i capelli sulla fronte e sulla nuca; ma alcune ciocche erano state incise troppo profondamente perché fosse possibile cancellarle completamente; ne restano delle tracce, abbastanza ben visibili a luce radente: tre brevi incisioni orizzontali sulla fronte dei solchi falcati fra la nuca e l'orecchio (Fig.11). Nel corso della rilavorazione, evidentemente fu modificata anche la linea del profilo, normalizzando sopratutto la forma del naso. Per identificare il personaggio, la fisionomia non offre pertanto alcun aiuto: è solo l'ascensione in cielo di Druso nel registro superiore che ci mette in condizione di stabilire che il personaggio in trono, effettivamente, non può essere che Tiberio.
Da questo dato deriva anche l’identificazione della donna seduta accanto a lui (no 2, fig. 2). Infatti Tiberio, dopo la sua infelice unione con Giulia, figlia di Augusto, conclusasi con un divorzio nel 2 a.C., non contrasse nessun altro matrimonio; la donna al suo fianco quindi non potrà essere che la madre Livia, vedova di Augusto: ed in effetti la testa sul cammeo, anche se rilavorata (Fig.12: si noti il forte scalino fra la pettinatura ed il viso), mostra un profilo che corrisponde perfettamente al profilo di Livia, noto da molti ritratti sicuramente identificabili: si veda, ad esempio, un cammeo a Vienna che mostra la vedova di Augusto in trono con in mano un busto del marito divinizzato (Fig. 13)[8].
Chi può essere il guerriero no 3, fig. 2, posto in posizione di tanto rilievo di fronte all’imperatore? Peiresc e dopo di lui molti altri, fino a Jucker, avevano pensato a Germanico. Ma lo vieta una banale ragione cronologica: Germanico è morto nel 19, 4 anni prima di Druso; è impossibile che sul cammeo Druso sia rappresentato come defunto, e Germanico come vivo; se è morto Druso, deve essere morto anche Germanico: l'identificazione del personaggio di fronte a Tiberio è di nuovo aperta. Il problema non è solubile sulla base di confronti fisionomici.
Cerchiamo quindi di chiarire la struttura di tutto il gruppo dell'ordine di mezzo (Fig. 4). Elemento cospicuo di questo gruppo sono tre personaggi vestiti di una corazza anatomica, tipica degli alti ufficiali dell'esercito romano: il no 3 (Fig. 14: con guance lanuginose: si tratta della tipica barbula, caratteristica degli adolescenti prima che comincino a radersi), il no 5 (Fig.15: con la lanugine meno pronunciata: deve quindi esser un po’ più giovane) ed infine il no 7: ancora un ragazzino (Fig.16: con una corazza di forma leggermente diversa, probabilmente di cuoio e non di metallo). Questo ragazzino corazzato è, iconograficamente parlando, un unicum e richiede una spiegazione: è assai troppo piccolo per ricoprire concretamente un'alta carica militare; la corazza quindi non puo' corrispondere ad un rango effettivo; essa ha piuttosto il carattere di un segnale visivo che mette in evidenza una particolare affinità con il mondo militare e, contemporaneamente, sottolinea lo stretto rapporto con il guerriero adolescente no 3. Altrettanto stretto è il rapporto fra questi due personaggi ed il terzo guerriero con la corazza (no 5, fig. 2). Ne deriva che abbiamo a che fare con una triade di giovani guerrieri di cui viene iconograficamente sottolineata la diversa età: l’ipotesi più semplice è che si tratti di tre fratelli. Ora proprio nei primi anni venti vediamo emergere nell'ambiente della corte imperiale tre fratelli che acquistano rapidamente un notevole peso politico. Si tratta dei tre figli di Germanico: Nerone Cesare (nato nel 6), Druso Cesare (nato nel 7 o nell'8) e infine Caio Cesare (più tardi detto Caligola, nato nel 12): nel 23 avevano rispettivamente 17, 16 e 11 anni. Di Caligola del resto era risaputo come fin dalla più tenera età fosse stato abituato alla vita militare (anche il suo nomignolo deriva da un tipo di scarpe militari che evidentemente era solito portare già da bambino: le caligae)[9]; in questi termini così ce lo descrive l’inizio di una poesiola popolare citata da Svetonio: in castris natus, patriis nutritus in armis... (Calig. 8,1).
Se nei tre corazzati vanno riconosciuti i figli di Germanico, è chiaro che nell'ordine superiore, fra i defunti, dobbiamo necessariamente aspettarci la presenza del padre. Avendo già identificato le figure no 10 e 12, per esclusione Germanico andrà necessariamente riconosciuto nel no 11, fig.2: il cavaliere sul destriero alato, condotto verso Augusto da un amoretto. In cielo abbiamo quindi Germanico e Druso Minore ai lati del capostipite, Augusto.
Su questa base possiamo, tornando all’ordine di mezzo, tentare di identificare anche i personaggi femminili. Nel caso della figura centrale, seduta accanto a Tiberio, abbiamo già visto che deve trattarsi di Livia, madre dell'imperatore nonché vedova di Augusto. Ai margini della scena, a destra e a sinistra, vediamo altre due donne sedute (no 6 e 8 fig. 2): ambedue un po' piu in basso di Livia - sia materialmente che sul piano gerarchico. Di chi può trattarsi? Se sul cammeo sono rappresentati Germanico ed i suoi tre figli, non potrà mancare Agrippina, vedova di Germanico e madre dei tre ragazzi. L’ipotesi più semplice è che si tratti della donna no 6, fig.2: come Livia corrisponde ad Augusto, così questa corrisponde a Germanico (no 11). Agrippina è seduta accanto al secondogenito Druso Cesare; ambedue, sia Druso che Agrippina, alzano gli occhi al cielo; la direzione degli sguardi ed il gesto del braccio destro di Druso si rivolgono non tanto a Germanico quanto ad Augusto. Come figlia di Agrippa e della figlia di Augusto, Giulia, Agrippina discende in linea diretta dal Divo. Questo vale per Agrippina e, attraverso lei, per i suoi figli, ma per nessun altra delle persone rappresentate sul cammeo; e soprattutto non vale per Tiberio, originariamente membro della gens Claudia, ed entrato a far parte della gens Julia solo per essere stato adottato da Augusto: su questo punto dovremo ritornare. Di Agrippina conosciamo del resto anche il ritratto su un sesterzo dei primi anni del regno di Caligola (Fig.17)[10]: il profilo non è particolarmente caratteristico, ma il tipo di pettinatura corrisponde con assoluta esattezza a quello del personaggio no. 6 (Fig.18). Un confronto di questo genere naturalmente non è sufficiente a dimostrare che nella donna no.6 vada riconosciuta Agrippina: basta però a stabilire che l'identificazione con Agrippina è tipologicamente possibile. La base argomentativa, per stabilire l’identità del personaggio, non è costituita dal confronto numismatico bensì dalla struttura della scena nel suo insieme. Arrivati a questo punto, anche la denominazione della terza donna seduta (no 8, fig.2: ha in mano un rotolo: probabilmente il contratto di nozze) non sembra piú costituire un problema: sarà quasi inevitabile identificarla con la terza vedova, Livilla, moglie del defunto Druso Minore e quindi nuora di Tiberio. Pertanto abbiamo un perfetto rapporto di corrispondenza fra i tre defunti nell'ordine superiore (Augusto, Germanico e Druso) e le tre vedove nell'ordine di mezzo (Livia, Agrippina e Livilla).
Rimane ancora da stabilire l'identità dell'unica donna in piedi (no 4, fig. 2): in confronto alle tre vedove sedute deve trattarsi di una figura di rango leggermente inferiore, probabilmente piú giovane. Essa abbraccia Nerone e sembra contemporaneamente aiutarlo a sistemarsi l'elmo sulla testa: si tratta di un gesto molto intimo, concepibile solo fra madre e figlio o fra moglie e marito. Di queste due possibilità la prima è da scartare, il quanto la madre di Nerone è già stata identificata con la donna seduta no 6. La no 4 quindi non potrà essere che Giulia: figlia di Druso (no 12, fig. 2) e di Livilla (no 8, fig. 2), e quindi nipote di Tiberio. Il matrimonio fra Nerone e Giulia nell'anno 21 aveva stabilito un nesso ancora piú stretto fra i due rami della gens Julia: la famiglia di Druso e quella di Germanico.
Tuttavia, stabilire l’identità dei singoli personaggi non costituisce che un primo passo. Per capire il significato dell’immagine nel suo complesso bisogna ricordare la situazione politica di quegli anni e soprattutto considerare la problematica dinastica (vedi lo stemma genealogico della famiglia: Fig.19, in neretto sono i nomi dei personaggi che compaiono sul cammeo). Augusto, nel 4, aveva adottato il figlio di primo letto di sua moglie Livia, Tiberio; questi a sua volta era stato indotto ad adottare Germanico, il figlio di suo fratello Druso Maggiore. Il senso della doppia adozione era abbastanza chiaro: garantire una successione a lunga scadenza e assicurare una posizione di preferenza a Germanico, marito di Agrippina, discendente diretta di Augusto (contrariamente a Tiberio). Dopo la morte di Tiberio - secondo il disegno di Augusto - il potere sarebbe passato nelle mani non del figlio di Tiberio, Druso Minore, bensí di Germanico. Ma il progetto era destinato a dissolversi. Nel 17 Tiberio affidò a Germanico l'incarico di ristabilire l'ordine nelle province orientali. Mentre le operazioni erano appena iniziate, nel 19, Germanico si ammalò e morì nel corso di pochi giorni. Veniva così a mancare il successore previsto a suo tempo da Augusto; a Tiberio, che ormai aveva superato la sessantina, si presentavano diverse possibilità: egli avrebbe potuto designare come successore suo figlio Druso, a suo tempo posto in secondo piano da Augusto; oppure avrebbe potuto dare la preferenza ai figli di Germanico, suoi nipoti per adozione (che per parte di madre discendevano direttamente da Augusto). Pare che Tiberio optasse piuttosto per la prima alternativa. Nel 23 fu coniata una moneta con il ritratto di Druso (Fig. 8), dotata di un'iscrizione che sottolinea il rapporto genealogico: Druso Cesare, figlio di Tiberio Augusto, nipote del Divo Augusto; forse Tiberio si accingeva a presentare ufficialmente Druso come suo successore, ma pochi mesi dopo l'emissione della moneta questi moriva. A questo punto, venivano inevitabilmente alla ribalta i figli di Germanico.
Ed ecco i tre figli di Germanico comparire anche sul nostro cammeo. Dei tre naturalmente quello piú importante è il maggiore, Nerone, piazzato in posizione preminente, direttamente di fronte al trono imperiale, in atto di assumere da Tiberio un incarico militare, probabilmente il comando di una spedizione contro il tradizionale nemico orientale, i Parti (infatti vediamo una figura in abito orientale, seduta per terra in atteggiamento contrito, fra Livia ed Agrippina: probabilmente una personificazione della Parthia). Partendo per l’oriente, Nerone si mostra pronto a calcare le orme del padre, che proprio durante una spedizione contro i Parti era prematuramente deceduto. A sinistra e a destra vediamo i fratelli di Nerone, i quali con il loro atteggiamento dinamico preludono a futuri successi militari: Druso portando sulle spalle un trofeo, Caligola calcando un mucchio di armi tolte ai nemici. Questo preludio è tanto piú importante in quanto Nerone stesso all'epoca non aveva ancora personalmente dato alcuna prova di perizia militare: poteva vantare solo la fama ereditata dal padre. Ma il senso dell'immagine va assai oltre i preparativi per una spedizione militare. La posizione privilegiata di Nerone come emissario ed interlocutore diretto di Tiberio lo qualifica non solo per il comando militare, ma anche come potenziale erede al trono. Che il cammeo del resto ponga l'accento proprio sulla successione dinastica, è reso perfettamente chiaro dalla presenza, in cielo, di Augusto, Germanico e Druso. Non si tratta quindi solo della guerra contro i Parti: si tratta della continuità della gens Julia e di chi sarà chiamato a succedere a Tiberio. Questo aspetto viene reso ancora piú evidente dal personaggio no 13, fig. 2, che sembra portare Augusto sulle spalle: si tratta con ogni probabilità di Julus, figlio di Enea; questo mitico fondatore della gens Julia è rappresentato in abito orientale, quanto mai appropriato per un Troiano, e con in mano una sfera da identificare con il globo celeste, simbolo dell'impero romano che si estende su tutto il mondo. Il messaggio complessivo del cammeo è abbastanza chiaro. Se però cerchiamo di situarlo nel contesto politico dell’epoca, questo messaggio acquista delle implicazioni quanto mai minacciose. Riferendosi alla successione di Tiberio, il cammeo tocca un punto assolutamente nevralgico della politica di quegli anni.
Dopo la morte di Druso era quasi inevitabile che l'attenzione generale si concentrasse sui figli di Germanico. Tiberio stesso parve prendere posizione in questo senso. Subito dopo la morte di Druso, ancora prima che si celebrasse il funerale, Tiberio partecipò ad una seduta del senato, dove - senza mostrare lui stesso alcun turbamento - prese a consolare i senatori in lacrime. “Rammaricò quindi l'inesperta giovinezza dei nipoti [si tratta dei figli gemelli di Druso e Livilla], il declinare dell'età propria, e chiese che fossero introdotti i figli di Germanico, unico sollievo alle sue angosce presenti. Escono i consoli, confortano con le loro parole quei giovanetti, e li accompagnano alla presenza di Cesare. Il quale, presili per mano, esclama: Padri coscritti, questi orfani del padre, io li avevo affidati allo zio, invocando da lui [...] di averli cari come fossero del suo stesso sangue, di educarli per se e per i posteri. Toltomi Druso, a voi queste istanze io rivolgo, a voi io qui pubblicamente elevo, nel nome degli dei e della patria, questa invocazione: i pronipoti di Augusto, i discendenti di cosí illustri avi, accogliete voi, voi guidate, compiendo l'ufficio vostro e mio”; e rivolto a Nerone e Druso aggiunge: “costoro terranno luogo per voi di genitori; la condizione nella quale siete nati è tale, che tutto ciò che vi accade, di bene o di male, tocca l'interesse dello Stato” (Tac. Ann. 4, 8, 3-5).
Le parole che Tacito qui mette in bocca a Tiberio sono altisonanti, solenni, piene di pathos - e allo stesso tempo stranamente povere di significato concreto. Il principe esorta il senato ad adottare i figli di Germanico. Ma che cosa significa? Il ruolo di padre adottivo può solo essere assunto da un individuo, e non da un organo collettivo come il senato. Tutto sarebbe stato perfettamente chiaro se Tiberio avesse lui stesso adottato i tre orfani: esattamente come a suo tempo Augusto aveva adottato Caio e Lucio Cesare, dopo la morte di Agrippa. Ma Tiberio se ne guarda bene. E l'accenno a ciò che “di bene o di male” potrà accadere a Nerone e a Druso, si lascia intendere anche come una sottile e velata minaccia. Ciononostante: è molto probabile che la maggioranza dei senatori abbia interpretato il discorso di Tiberio come una chiara investitura: evidentemente il principe desiderava che Nerone e Druso venissero considerati come i suoi futuri eredi. Ma questa interpretazione doveva presto rivelarsi prematura.
All'inizio dell'anno 24, i pontefici ed altri sacerdoti inclusero i nomi di Nerone e Druso nella rituale preghiera di capodanno per la salute del Principe. Questi reagì immediatamente e con inopinata violenza, come se l'avere associato al suo nome anche quello di Nerone e di Druso costituisse un affronto inaudito. Tiberio, fatti chiamare i pontefici, duramente “li apostrofò se avessero per avventura obbedito alle preghiere e alle minacce di Agrippina”. In altre parole: Tiberio sospetta un intrigo contro di lui e vede come probabile iniziatrice del medesimo la madre dei tre ragazzi. Piú tardi, in Senato, Tiberio insiste ancora sull'accaduto “per ammonire che pel futuro nessuno si permetta di esaltare con prematuri omaggi l'animo dei giovani, facilmente eccitabile, alla superbia” (Tac. Ann. 4,17,1). Queste parole facevano rientrare nei ranghi i figli di Germanico e rendevano priva di fondamento ogni speculazione sulla successione al trono.
Questa situazione d'incertezza non è più cambiata. Tiberio (come nessun altro imperatore) si è pervicacemente rifiutato di designare un successore, lasciando la questione in sospeso, per anni ed anni. Ancora nel 35, a 76 anni (e due anni prima di morire), Tiberio redasse un testamento in cui nominava non uno ma due eredi del suo patrimonio privato (e quindi due eredi pari passu anche sul piano politico): il più giovane dei figli di Germanico, Caio detto Caligola, ed il suo nipote Tiberio Gemello, figlio di Druso: rifiutando anche in questa occasione di dare la preferenza all'uno o all'altro. Questo continuo ed ostinato rifiuto di una presa di posizione è spesso stato interpretato come segno di debolezza: mi sembra assai più probabile scorgervi il segno di una deliberata strategia politica.
Come è noto, Augusto aveva perseguito una strategia perfettamente opposta, cercando di designare prima possibile e nel modo più chiaro possibile il suo futuro successore (anche se poi i successori designati erano sempre morti prima del tempo: ad eccezione, infine, di Tiberio). La chiarezza della successione era strettamente legata alla stabilità del potere. L'autorità del Principe, sia all'interno della famiglia che sul piano politico, era indiscussa; un'opposizione degna di questo nome sembra non sia esistita; in un'unica occasione, nel 23 a. C., pare ci sia stato da parte di un gruppo di senatori un tentativo di porre fine al potere di Augusto: tentativo frustrato e mai piú ripetuto. Augusto poteva fare pieno affidamento sia sull'appoggio dei sudditi che sulla lealtà dell’eventuale successore: e proprio per questo era in grado di designare un successore senza mettere minimamente in pericolo il proprio potere.
Ai tempi di Tiberio la situazione era profondamente cambiata. I rapporti all'interno della famiglia erano caratterizzati da sospetti reciproci e da paura: almeno dalla morte di Germanico in poi. Questa morte era stata poco chiara: di malattia, si diceva; ma Germanico stesso era certo di essere stato avvelenato, e non pochi vedevano in Tiberio il probabile mandante (Suet. Tib. 52, 3). Questi sospetti erano, probabilmente, privi di fondamento: ma il loro risultato psicologico, anche all’interno della famiglia imperiale, deve essere stato devastante. D’altra parte anche il clima politico generale era tutt’altro che roseo. I primi approcci fra Tiberio imperatore ed il senato furono freddi e improntati ad una reciproca diffidenza. Con il passare del tempo poi divenne sempre più frequente che i senatori, per ingraziarsi il sovrano, si denunciassero a vicenda: i processi contro i denunciati si concludevano regolarmente con pesanti condanne, in genere a morte. Il risultato finale fu una specie di regime di terrore: “Non mai come in quella occasione la cittadinanza fu invasa dall'angoscia e dalla paura: sospettati financo i parenti; disertate le riunioni, sfuggito ogni colloquio, ogni orecchio, noto od ignoto, che ponesse ascolto; pure le cose mute e morte, pure i tetti e le pareti scrutate con diffidenza” (Tac. Ann. 4, 69). Forte e persistente sembra sia stato in Tiberio il timore di finire vittima di una congiura: Tacito cita una lettera ai senatori in cui Tiberio confessa “esser la sua vita tribolata dalle ansie per il sospetto delle insidie nemiche” (Ann. 4, 70; è chiaro che queste insidie non possono riferirsi a nemici esterni; il sospetto si rivolge verso l’interno); secondo Svetonio, Tiberio era solito dire di sentirsi come uno che tiene un lupo per le orecchie ( Tib. 25,1). I sospetti sicuramente non erano del tutto infondati. D’altra parte anche fra i senatori malcontenti e che eventualmente avrebbero appoggiato una congiura non vi era nessuno che avesse avuto l’intenzione di ristabilire la repubblica. Era ormai chiaro a tutti che il senato aveva bisogno di un Principe, e quindi - nel caso della morte di Tiberio - di un successore. Che cosa sarebbe accaduto, se Tiberio avesse acconsentito a designare un erede? La rosa dei potenziali candidati era stretta: vi era un generale consenso che non poteva trattarsi che di un membro della famiglia imperiale. Ma, dopo la morte di Druso Minore, proprio all’interno della famiglia non vi era più nessun candidato, della cui lealtà Tiberio avrebbe potuto fidarsi pienamente. Qualsiasi successore avrebbe necessariamente finito per costituire un'alternativa a Tiberio stesso. Questo avrebbe rafforzato l'opposizione ed indebolito la posizione di Tiberio: forse addirittura messo in pericolo la sua vita. Date queste premesse, il rifiuto da parte di Tiberio di designare un successore obbedisce ad una chiara strategia politica: impedire che l'opposizione trovi un punto di riferimento in un potenziale successore e quindi in una concreta alternativa personale al principe regnante, mantenendo l'opposizione divisa e priva di prospettive. Questa strategia evidentemente ha avuto successo: dopo tutto Tiberio, nonostante il continuo timore di una congiura, è rimasto al potere fino al 37 ed è riuscito a morire nel suo letto.
Vista in questa luce la violenta reazione di Tiberio all'inclusione dei nomi dei due figli di Germanico nella preghiera di capodanno (omaggio in fin dei conti del tutto innocuo) acquista il carattere di un segnale politico molto preciso: si trattava di far capire a tutti che non vi era nessun erede designato e che la successione continuava ad essere una questione aperta. Le allusioni di Tiberio ad eventuali minacce rivolte ai pontefici da parte di Agrippina o al carattere ancora immaturo dei due giovani sono abbastanza chiare; peraltro c'era, nelle immediate vicinanze di Tiberio, chi usava un linguaggio assai più esplicito e violento. Seiano ad esempio, il potente prefetto dei pretoriani e confidente stretto di Tiberio, era prontissimo ad interpretare ogni appoggio dato ai figli di Germanico come un atto d’insubordinazione nei confronti del Principe e a dipingere lo spettro di una rivolta. Seiano (scrive Tacito) “insistentemente premeva, denunciando esser la cittadinanza intera divisa in fazioni, come in una guerra civile; esservi molti che si dichiaravano partigiani di Agrippina, e se non vi si ponesse un freno sarebbero diventati sempre di piú: di non vedere altro rimedio alla crescente discordia, che la pronta eliminazione di alcuni fra i piú temerari” (Ann. 4, 17, 3; cfr. Suet. Tib. 54).
Date queste permesse è facile capire come i rapporti fra Tiberio e Agrippina diventassero sempre più tempestosi. Nell'anno 26 una cugina di Agrippina viene accusata di preparare incantesimi contro Tiberio; Agrippina, sentendosi minacciata anche lei, corre da Tiberio per difendere la cugina e “per combinazione lo trova in atto di sacrificare ad Augusto”. Esasperata, Agrippina “esclama che un sacrificio al divo Augusto mal conviene a chi di Augusto perseguita la discendenza; che lo spirito divino di Augusto non risiede in mute statue, ma bensì in lei stessa, Agrippina, immagine vivente di lui e nata dal suo sangue divino” (Ann. 4,52). Lo sguardo, che sul cammeo Agrippina rivolge direttamente ad Augusto, trova qui un corrispettivo preciso. Ma sia lo sguardo che le parole riportate da Tacito sono altamente pericolose, in quanto si riferiscono effettivamente ad un punto debole di Tiberio: Tiberio stesso per nascita non era membro della gens Julia, nelle sue vene correva il sangue della gens Claudia: sangue indiscutibilmente nobilissimo, ma non sangue di Augusto; Agrippina, al contrario, era nata dal sangue di Augusto e poteva quindi definirsi “immagine vivente di lui”.
A fare ulteriormente precipitare la situazione contribuí un intrigo di Seiano. Questi “fece avvertire Agrippina, a mezzo di persone che le si fingevano amiche, che Tiberio tramava per avvelenarla, e che si guardasse dai banchetti del suocero [Tiberio, in quanto padre adottivo di Germanico]. Agrippina, incapace di fingere, giacendo a mensa presso Tiberio se ne stava rigida in volto e muta, e non toccava cibo; finché Tiberio, a caso, o perché messo sull'avviso, per sottoporla a più sicura prova, lodata la bontà di certe mele, gliene porse personalmente una. Agrippina, ulteriormente insospettita, passò il frutto ai servi senza neppure accostarlo alla bocca. Tiberio, senza rivolgersi a lei direttamente, disse alla madre che non sarebbe sembrato inopportuno adottare misure piú severe verso una persona che evidentemente lo riteneva capace di veneficio” (Tac. Ann. 4, 54). Le parole di Tiberio sono apertamente minacciose: chi accusa di veneficio il Principe si autoproclama inimicus principis e quindi hostis populi romani; le conseguenze sono drastiche e potenzialmente letali: l'inimicizia nei confronti del Principe e del popolo romano infatti costituisce un delitto ed è passibile di morte.
Nell'anno 27 Tiberio si ritirò in Campania, per non mettere mai più piede a Roma. A controllare la situazione a Roma rimase Seiano. I risultati non si fecero attendere a lungo. Poco dopo la partenza di Tiberio, Agrippina e Nerone furono sottoposti dapprima agli arresti domiciliari, poi processati, dichiarati nemici del popolo romano e deportati in due piccole isole del Tirreno; sia l'uno che l'altra furono probabilmente sottoposti a violenti maltrattamenti: Agrippina perse un occhio (Suet. Tib. 54, 3; 61,1); ambedue morirono in prigionia, Nerone nel 31, Agrippina nel 33. Nel frattempo era stato messo sotto accusa anche il secondogenito di Germanico, Druso; fu anche lui dichiarato nemico del popolo Romano, imprigionato sul Palatino e lasciato morire di fame nella sua cella (Suet. Tib. 54, 2). A questo punto, nel 33, dei figli di Germanico l'unico sopravvissuto era Caio detto Caligola; verso la fine dell'anno 30 era andato a vivere a Capri insieme a Tiberio; nel 35 Tiberio fece testamento, nominando suoi eredi Caligola e Tiberio Gemello, il figlio di Druso Minore. Nel 37, morto Tiberio, Caligola sarà proclamato imperatore e costringerà subito dopo Tiberio Gemello al suicidio, ben sapendo che la mera esistenza di un successore designato metteva in pericolo il suo potere.
Torniamo al nostro cammeo: quando può essere stato commissionato, e da parte di chi? L'arco di tempo in cui se ne può collocare la fabbricazione è quanto mai stretto: l'iconografia del cammeo presuppone la morte di Druso Minore nel 23 e non è pensabile dopo l'arresto di Agrippina e Nerone nel 27. Il cammeo quindi deve essere stato eseguito fra il 23 e il 27 al piú tardi; probabilmente fu commissionato subito dopo la morte di Druso, quando effettivamente molte erano le ragioni per ritenere che i figli di Germanico fossero ormai predestinati alla successione. Chi può essere stato il committente? Abbiamo due sole certezze: deve essere stato un esponente di primissimo piano dell’élite imperiale, ricco e potente; e non può assolutamente essere stato Tiberio. Sul cammeo non vi è traccia dei due giovanissimi figli di Druso. Vengono invece messi in evidenza i tre figli di Germanico: sono loro a costituire la speranza della gens Julia e quindi dell'intero popolo romano; il primogenito, Nerone, viene inequivocabilmente presentato come candidato alla successione. Il cammeo quindi fa esattamente quello che Tiberio ha sempre accuratamente evitato di fare: prende posizione per quanto riguarda il problema della successione. Ma anche se non conosciamo l'identità del committente, possiamo essere abbastanza sicuri dello scopo della committenza: il cammeo non poteva essere che un regalo e per un regalo di questo calibro non è pensabile che un unico destinatario.
La pietra deve provenire dall'India. Le sardoniche striate erano enormemente preziose. Plinio nella Naturalis Historia (37, 78, 204) le menziona al terzo posto, dopo diamanti e smeraldi; l'oro, in confronto, non occupa che la decima posizione. Inoltre una pietra di queste dimensioni (ricordiamo che si tratta del cammeo più grande che sia mai stato prodotto) deve essere costata una fortuna. Un oggetto così non poteva essere destinato che all'imperatore. Questo probabilmente non vale solo per il Grand Camée: anche altri cammei di livello simile saranno da interpretare come regali destinati all’imperatore. In genere questi cammei di altissima qualità sono stati considerati in chiave esattamente contraria: come delle commissioni imperiali, la cui iconografia costituirebbe un'espressione immediata ed autentica delle concezioni dell’imperatore stesso ad uso di un cerchio ristretto di fedelissimi. Se invece consideriamo il Principe non come il committente, ma come il destinatario, i cammei si presentano in una luce molto diversa. Con un regalo come questo il committente cercava di blandire l’imperatore, di indovinarne le intenzioni, forse anche di incoraggiarne certe decisioni. Prendiamo in considerazione, ad esempio, la cosiddetta Gemma Augustea, un cammeo di altissima qualità oggi a Vienna (Fig. 20)[11]. Eseguito pochi anni prima della morte di Augusto, esso mostra il Principe seduto accanto alla dea Roma; di fronte ad Augusto vediamo Germanico in abito militare e Tiberio in atto di scendere da un cocchio guidato da una vittoria. L'iconografia evidentemente si riferisce alla doppia adozione dell'anno 4, che aveva fatto di Tiberio il figlio di Augusto e di Germanico il figlio di Tiberio. Il committente della Gemma Augustea aveva avuto buon gioco; le intenzioni di Augusto relative alla successione erano perfettamente chiare; non era difficile indovinarle ed applaudirle: il regalo avrebbe fatalmente incontrato il favore del destinatario. Completamente diverso è il caso del Grand Camée. Sotto il regno di Tiberio la questione della successione era diventata sempre più imperscrutabile: l'imperatore si ostinava a tacere e ogni tentativo di indovinarne le intenzioni poteva rivelarsi come un grave errore; tanto maggiore però sembrava il premio per chi riusciva a cogliere nel segno. Il committente del Gran Cammeo ha voluto prendere posizione: egli manifesta la sua fedeltà alla gens Julia, all’interno della quale mette però in evidenza del tutto speciale i figli di Germanico e presenta Nerone come candidato alla successione.
Ricordo ancora una volta le minacciose parole che Tacito mette in bocca a Seiano: “esservi molti che si dichiaravano partigiani di Agrippina, e se non vi si ponesse un freno sarebbero diventati sempre di più: di non vedere lui, Seiano, altro rimedio alla crescente discordia, che la pronta eliminazione di alcuni fra i più temerari”. Tacito naturalmente ha scritto questo ex eventu, ben sapendo come erano finiti Agrippina ed i suoi due figli maggiori. Il cammeo dimostra che questo esito drammatico, non era facilmente prevedibile dai contemporanei: neanche da un alto personaggio dell’élite senatoria (un committente di rango minore per il nostro cammeo è impensabile). Il cammeo potrebbe essere stato commissionato subito dopo la morte di Druso, quando i figli maggiori di Germanico sembravano essere di gran lunga i favoriti per la successione; ma l’esecuzione del cammeo deve inevitabilmente aver richiesto del tempo: è praticamente da escludere che il regalo sia stato consegnato al Principe ancora prima che si verificasse l’incidente delle preghiere di capodanno. Evidentemente, anche dopo questo incidente il committente del cammeo non aveva perduto il suo ottimismo, restando fermo nel suo appoggio ai figli di Germanico, ma lontanissimo dal considerare questo appoggio come una mancanza di lealtà nei confronti di Tiberio stesso. Anzi: egli proclama ad alta voce la sua fedeltà a tutta la gens Julia e la sua speranza che Tiberio scelga finalmente un successore,ponendo fine all'insicurezza, alle speculazioni ed agli intrighi. Se non vi fossero stati dei senatori che nutrivano una tale speranza, il cammeo non sarebbe stato prodotto. Quanto a me, mi sarebbe piaciuto essere presente alla presentazione del regalo e vedere la reazione di Tiberio. Non avrei invece voluto trovarmi nei panni di chi fece il regalo. Il cammeo era destinato a portare disgrazia e morte: probabilmente al committente, sicuramente ad Agrippina ed ai suoi figli maggiori; pochi anni dopo, nessuno di loro era piú in vita.
Note
[1] La lettera ha avuto un enorme influenza, pur circolando solo in forma di copie manoscritte; per un’edizione recente del testo originale italiano: J.F. Lhote & D. Joyal, Correspondance de Peiresc et Aleandro, Clermont-Ferrand, 1995, vol. II: 1619-1620, 200-212 (lettera 77).
[2] L. Curtius, Ikonographische Beiträge zum Porträt der römischen Republik und der Julisch-claudischen Familie VI: Neue Erklärung des Pariser Cameo mit der Familie des Tiberius, «Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts, Roemische Abteilung», 49 (1934), 119-156.
[3] H. Jucker, Der große Pariser Kameo. Eine Huldigung an Agrippina, Claudius und Nero, «Jahrbuch des Deutschen Archäologischen Instituts», 91 (1976), 211-250.
[4] R. Bianchi Bandinelli, Per l’iconografia di Germanico, «Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts, Roemische Abteilung», 47 (1932), 153-169; la frase citata: 155, nota 1.
[5] Musei Vaticani, Braccio Nuovo Inv. 2290; cfr. D. Boschung, Die Bildnisse des Augustus, Berlin, 1993, 38-40 e 179, no 171.
[6] H. Mattingly, Coins of the Roman Empire in the British Museum I: Augustus to Vitellius, London, 1965, 134, no 99; J.P. Kent, B. Overbeck & A.U. Stylow, Die römische Münze, München, 1973, 98, Nr.161 Tav.42.
[7] Mattingly, Coins of the Roman Empire cit., 128, no 68; Kent, Overbeck & Stylow, Die römische Münze cit., 97, Nr. 154 Tav.39.
[8] Cammeo Vienna, Kunsthistorisches Museum, Inv. IX a 95: W.R. Megow, Kameen von Augustus bis Alexander Severus, Berlin, 1987, 254, B 15.
[9] Suet. Calig. 9; cfr. anche Tacito Ann. 1, 41, 2.
[10] Mattingly, Coins of the Roman Empire in the British Museum cit., 159, no 81; Kent, Overbeck & Stylow, Die römische Münze cit., 98, 165 Tav.43.
[11] Kunsthistorisches Museum, Inv. IX a 79; cfr. Megow, Kameen von Augustus bis Alexander Severus, cit. 155-163.