Il volume curato da Farhat, architetto e docente presso l’Ecole Nationale Supérieure du Paysage (ENSP) e l’Ecole d’Architecture di Versailles, costituisce un contributo innovativo nell’ambito di un
  campo di ricerca – quello della storia del giardino – che negli ultimi anni ha conosciuto una grande evoluzione, ed è giunto a configurarsi come disciplina indipendente sia dalla storia dell’arte
  che dall’orticultura.
  Più che delineare l’attività dell’architetto-giardiniere André Le Nôtre – figura quasi “mitica” della storia dei giardini del Grand Siècle, sulla quale tuttavia le fonti restano piuttosto
  rare – il testo si concentra sul contesto culturale all’interno del quale la sua opera prese forma. I giardini divengono così lo strumento interpretativo per leggere un paesaggio «aujourd’hui
  étranger à nos modes de conception et de perception, mais dont héritent, en particulier le territoire de l’Ile-de-France et, universellement, l’art urbain et la planification régionale» (C.
  Dupont-Logié, M. Mosser, p. 5).
  Inizialmente concepito come la raccolta degli atti del convegno La culture d’André Le Nôtre, 1613-1700. Institutions, arts, sciences et techniques en France (Sceaux, 14-16 ottobre 1999),
  il testo è stato poi arricchito di altri contributi che rendono conto della complessità del tema trattato. Gli autori, provenienti da differenti ambiti disciplinari – storia dell’arte, storia della
  letteratura, archeologia, archivistica, scienze economiche e matematiche, agronomia, architettura  ecc. –, collaborano a tratteggiare un panorama culturale in perpetua evoluzione, ugualmente
  caratterizzato da fenomeni di lunga durata e da eventi e pratiche peculiari. Tale procedimento metodologico, che non si risolve nell’affresco di un universo compiuto, ma piuttosto in un discorso
  segnato dalla discontinuità, indefinitamente reinventato e ricomposto, “frammentato” appunto, permette secondo Farhat di inserire l’opera di Le Nôtre all’interno di un paesaggio concepito nello
  stesso tempo come «environnement culturellement construit, au sens de représentations in situ» e, metaforicamente, come «représentations à posteriori d’une culture» (p. 8).
  Sulla base di questi assunti programmatici – che riprendono da una parte i più recenti approcci di ricerca della storia dei giardini e dall’altra il dibattito, sviluppatosi all’interno delle
  discipline geografiche, sul valore del paesaggio quale risultante del rapporto tra ambiente, società e cultura – il testo è articolato in quattro sezioni.
  Nella prima, Institutions, si prende in esame un campo finora poco praticato dagli studi sul giardino: il ruolo rivestito dalle giurisdizioni territoriali, dalle costituzioni fondiarie e
  dalle corporazioni di mestiere nella creazione, nella gestione e anche nella rappresentazione sociale delle «strutture paesaggistiche». Particolarmente esplicativi i saggi di G. Buridant
  (Chasse, sylviculture et ornement) e A. Rostaing (La bêche ou le compas?) che analizzano rispettivamente i fattori che a partire dal XVI secolo fecero della foresta lo scenario
  nel quale si manifestò una nuova cultura dell’appropriazione e regolamentazione dello spazio, e il ruolo assunto dai giardinieri nella progettazione dei giardini nella prima metà del XVII
  secolo.
  La seconda sezione, Sciences, prende in esame i canali attraverso i quali la concezione spaziale della “rivoluzione scientifica”, lo spazio della fisica moderna, ma anche la nascente
  “scienza” alchemica, possono aver influenzato la costruzione dei giardini. Tra gli altri, S. Roux (La philosophie naturelle à l’époque de Le Nôtre) e P. Falguières (Philosophes au
  jardin) riflettono sul luogo comune dell’affiliazione dell’arte di Le Nôtre all’opera di Cartesio, e più in generale sulla corrispondenza, genericamente accettata, tra la struttura assiale e
  prospettica dei giardini “alla francese” e l’emergere, nella filosofia naturale, del concetto di uno spazio finito e omogeneo.
  Nella terza sezione, Techniques, sono analizzati i saperi e le pratiche che a vario titolo entrano in campo nella progettazione dei giardini. Si tratta di temi che, rompendo in parte con
  un approccio metodologico che ha visto i giardini “alla francese” prima di tutto quali metafore della natura, immagine della costruzione matematica dello spazio o luoghi dalle forti valenze
  politiche, rivelano i nuovi orientamenti della ricerca e il ruolo che l’analisi della progettazione del giardino sta assumendo all’interno delle discipline inerenti all’organizzazione del
  territorio. Particolarmente significativi, in questo senso, i contributi di D. Bessot sulla storia delle anamorfosi, di A.V. Segre sull’evoluzione dei modelli e dei saperi per la costruzione dei
  parterres en broderie, di A. Allimant sulla gestione delle risorse idrogeologiche e di P. Prost e sulle «pratiche del terreno» che accomunavano architetti-giardinieri e ingegneri
  militari.
  La quarta sezione, Arts, è dedicata al contesto artistico nel quale Le Nôtre si formò e svolse la sua attività. Tra gli altri, il saggio di M. Mosser (Jardins et imaginaire
  paysager) tratteggia, attraverso l’analisi della ricca collezione di opere d’arte del giardiniere, il suo «immaginare paysager» e porta alla luce una figura dalla personalità complessa, dai
  gusti raffinati ed eclettici, a tratti molto lontana dal ritratto «fissato in eterno» dell’architetto «des grandes machineries “de l’ordre”, et des impeccables perspectives “de la raison”» (p.
  282).
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