Storicamente. Laboratorio di storia

Studi e ricerche

Il federalismo in Germania. Un sistema esecutivo, unitario, cooperativo

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Introduzione

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Dopo la riunificazione del 3 ottobre 1990 il funzionamento del federalismo in Germania, basato sul «bicameralismo imperfetto», è diventato sempre più lento e farraginoso. Su questo modello istituzionale sono stati espressi giudizi opposti: alcuni hanno criticato l’inadeguatezza dell’eccessivo particolarismo regionale, definendo la Germania «uno Stato unitario camuffato», altri hanno bollato invece la Bundesrepublik come «uno Stato dalla mera facciata federale», dietro la quale vi è il forte potere centralistico del Bundesregierung.

Nonostante i problemi, la Repubblica Federale Tedesca viene spesso ritenuta un modello proprio in ragione del suo sistema federale. Dall’heiliges Römische Reich in poi, questo spazio germanofono è sempre rimasto estraneo, durante tutte le fasi storiche, ai principi centralistici dello Stato nazionale ed è stato caratterizzato da un forte decentramento politico e amministrativo. Quando nel corso del XIX secolo la Prussia accrebbe la propria influenza politica, le cose cambiarono sensibilmente: Bismarck promosse le libertà regionali nei vari Länder, sovrapponendo però in modo ambiguo il governo della Prussia, la potenza egemone del Reich, al governo della Federazione. Soltanto la parentesi del nazismo fu caratterizzata dall’imposizione di un rigido centralismo e dal ferreo controllo di qualsiasi iniziativa autonoma dei Länder. Nel dopoguerra, quando si trattò di ricostruire l’ordinamento politico-istituzionale tedesco, il Grundgesetz, la Costituzione tedesca del 23 maggio 1949, restituì numerose prerogative ai Länder, i cui interessi venivano espressi, oltre che nei rispettivi Landtage, nel Bundesrat, nel tentativo di riequilibrare il potere del Bundesregierung. I rappresentanti della Federazione, deputati eletti dai cittadini, si radunarono invece nel Bundestag. La scelta federale fu l’esito anche delle pressioni alleate, soprattutto degli Stati Uniti, che individuarono nell’assetto federale la garanzia contro un’eccessiva concentrazione del potere politico a Bonn, che avrebbe potuto minacciare la democrazia tedesca e la sua secolare tradizione istituzionale.

É interessante ora analizzare come il sistema federale tedesco abbia saputo coniugare questa tradizione di autonomismo regionale con le sfide poste della Wiedervereinigung e successivamente dal processo di integrazione europea. Bisogna dunque chiedersi se il sistema tedesco abbia dato pragmaticamente risposte rapide e sufficientemente flessibili alle diverse istanze politico-economiche, e se queste pongano la Germania come indiscusso punto di riferimento istituzionale del processo di allargamento dell’Unione Europea in senso federalista, l’unico modello concretamente realizzabile nel Vecchio continente, in luogo di una lontana unione politica, guidata da un governo centrale dotato di ampi poteri.

Il sistema federale tedesco

La Germania odierna è una Repubblica federale parlamentare composta da sedici Länder. Per comprendere il funzionamento del sistema federale tedesco è necessario ricordare due importanti fattori storici, ovvero l’origine intergovernativa dei rapporti tra gli Stati tedeschi e il processo, avviato da Bismarck, di accentramento dei poteri attraverso gli strumenti della legislazione sociale e la tutela dei diritti fondamentali.

La nascita del federalismo tedesco precede quella dello Stato: per quasi un millennio la storia federativa tedesca è stata quella di diverse entità politiche, prive di un unico punto di riferimento, come invece furono Parigi e Londra, ma con una moltitudine di centri minori, trasformatisi gradualmente in Stati durante l’età moderna. Questa impronta storica è determinante per cogliere la peculiarità del sistema federale tedesco[1], ancora oggi basato sulla collaborazione, sul piano esecutivo, dei Länder, che si articola in un organo unico per composizione e, almeno sinora, per efficienza: il Bundesrat. Al federalismo esecutivo si aggiunge il federalismo unitario. Lo sviluppo della legislazione sociale e del Welfare State, unito al primato su ogni altro principio della tutela uniforme dei diritti dei cittadini su tutto il territorio, sancito dalla Costituzione tedesca, ha comportato un forte accentramento delle leggi e dei controlli. Il risultato di questa evoluzione è un sistema federale centralizzato quanto ai processi decisionali, in cui la legislazione è saldamente nelle mani dell’esecutivo, e derogatorio nell’applicazione delle decisioni e all’amministrazione[2]. Inoltre il sistema federale, allo stesso tempo esecutivo e unitario, ha fortemente accresciuto l’intensa attività di cooperazione, verticale tra Federazione e singolo Land, e orizzontale tra i vari Länder[3]. Ne consegue dunque una struttura sinergica, in cui nessuno dei livelli funziona senza l’altro. La Federazione non può infatti svolgere pienamente i propri compiti senza i Länder, i quali contribuiscono alla fase decisionale e controllano la fase esecutiva, tanto che di norma non esistono né un’amministrazione federale decentrata, né tribunali federali periferici; parimenti, i Länder non possono esistere senza la Federazione, perché è da questa che provengono le decisioni che essi stessi contribuiscono a prendere ed è in quella sede che si trovano gli organi decisionali ultimi.

Vi è dunque un sistema simile a quello adottato dall’Ue, che esiste solo come «sovrastruttura» rispetto ai singoli Stati, e profondamente diverso rispetto al federalismo di tipo duale tipico degli Usa, dove vi sono strutture amministrative parallele e dotate di una vasta autonomia. Nel «Modell Deutschland» la cooperazione tra i livelli non è solo una dimostrazione di funzionalità istituzionale, ma un fattore connaturato alla gestione politica dello Stato, che dunque è improntata a una prassi dialettica, collaborativa e consociativa. Pertanto le attuali difficoltà del sistema cooperativo e la ridotta efficienza del «Politikverflechtung» sono considerati potenziali pericoli per il futuro del federalismo i Germania: il sistema di graduale accentramento e intreccio politico ha portato infatti a una «superstruttura unitaria» che sta svuotando l’autonomia e la responsabilità dei Länder.

Il sistema di divisione delle competenze disciplinato dal Grundgesetz è molto articolato, ma nel contempo chiaro e lineare. Le premesse concettuali sono due: la competenza residuale in favore dei Länder[4] e la prevalenza del diritto federale[5]. Le competenze amministrative spettano ai Länder, quelle legislative alla Federazione e le restanti prerogative sono ad uso esclusivo della Federazione. Uno dei pilastri del sistema federale tedesco è il concetto di Einheitlichkeit, che si esprime sia nei valori di fondo sia nelle condizioni materiali di vita che devono essere garantite sull’intero territorio federale. Per la sua storia e per i suoi valori fondamentali, il sistema tedesco non prevede disparità geografiche circa il godimento dei diritti e il livello di sviluppo economico. Proprio nel nome della garanzia della Einheitlichkeit, il legislatore federale, con il consenso dei Länder e dell’intero sistema politico, ha progressivamente espanso il proprio ruolo: lo strumento costituzionale che lo ha reso possibile è stata la clausola della competenza legislativa concorrente. In una vasta serie di materie la Federazione legifera in luogo dei Länder, ogni qualvolta lo ritiene necessario, per assicurare su tutto il territorio federale l’uniformità delle condizioni di vita: ciò significa un’assoluta discrezionalità politica del potere federale nell’esercizio di questi poteri, come confermato dal Bundesverfassungsgericht, dichiaratosi incompetente a giudicare sulla sussistenza o meno dei requisiti per l’esercizio del potere legislativo federale concorrente.

In seguito alla Wiedervereinigung, quando la Einheitlichkeit è divenuta non solo un obiettivo irrealistico per le profonde disparità tra est e ovest, ma anche un concetto politicamente controverso, la disposizione costituzionale è stata modificata. La legislazione federale in questi ambiti non solo deve assicurare condizioni di vita equivalenti, ma può intervenire soltanto quando ve ne sia la Erfordernis, e non più solo il Bedürfnis. Quando tale necessità viene meno, i poteri sono trasferiti ai Länder, e il Bundesverfassungsgericht è competente a giudicare sulla sussistenza di tutti questi requisiti. Questa modifica costituzionale rappresenta simbolicamente il passaggio dal periodo antecedente alla Wiedervereinigung, caratterizzato dalla comune condivisione dell’accentramento dei poteri legislativi in nome dell’Einheitlichkeit, a quello post-1989, segnato dall’affermarsi della volontà di una maggiore differenziazione e competizione tra i Länder. A livello pratico le conseguenze della riforma sono state minime, ma il passaggio è stato fondamentale sotto il profilo politico e simbolico: per la prima volta, infatti, si è invertita la tendenza centripeta del sistema, dando vita a una nuova fase, più differenziata e più conflittuale, specialmente in ambito economico.

Le disposizioni costituzionali in materia di riparto finanziario tra la Federazione e i Länder risalgono al momento di maggiore centralizzazione del sistema federale tedesco, durante il governo di groβe Koalition del triennio 1966-1969. Di conseguenza, i principi fondamentali del sistema finanziario e fiscale sono una vasta e pervasiva competenza federale da un lato, e la tendenza all’uniformità dall’altro, che danno vita a un sistema tributario misto regolato dal legislatore federale. Il gettito delle maggiori imposte, Iva e imposte sui redditi, è ripartito tra la Federazione e i Länder sulla base di una legge federale, approvata dal Bundesrat, da ridefinirsi ogni tre anni, e che quindi rappresenta lo strumento fondamentale di questa materia. Altre imposte vanno interamente alla Federazione[6] oppure soltanto ai Länder[7]. Vi sono poi meccanismi di perequazione finanziaria di tipo orizzontale, tra i Länder, e verticale, con trasferimenti dalla Federazione ai Länder, che garantiscono un equo tenore di vita nel territorio federale.

Questi meccanismi perequativi sono espressione del permanente conflitto, connaturato in ogni sistema federale, tra i principi di autonomia e responsabilità individuale e quelli di solidarietà e corresponsabilità collettiva[8]. Una tensione che richiede un costante riequilibrio rispetto alle nuove esigenze: era pertanto naturale che un sistema estremamente efficace nella fase precedente la Wiedervereinigung mostrasse alcune lacune nella fase successiva, quando le disparità economiche tra i Länder sono fortemente aumentate e la ricchezza complessiva da ripartire si è ridotta. Fino al 1995, quando è cessato il regime derogatorio a favore dei territori orientali, l’attenzione della politica e della giurisprudenza costituzionale era posta sul carattere solidale del sistema federale, che giustificava ampi trasferimenti di denaro dai Länder più ricchi a quelli più poveri, mentre nell’ultimo decennio si è accentuato l’aspetto della responsabilità individuale di ciascun Land per le proprie condizioni economiche. Il momento di passaggio si è vissuto con chiarezza nel 1999, quando i Länder più ricchi, Bayern, Baden-Württemberg e Hessen, ricusarono la legge di perequazione mediante un ricorso al Bundesverfassungsgericht, ritenendo costituzionalmente illegittimo il sistema che imponeva ai tre Länder di trasferire ai più poveri risorse ingenti, con lo scopo di portare la loro dotazione finanziaria fino al 95% della media nazionale[9].

La storica sentenza del Bundesverfassungsgericht del novembre 1999 ha dichiarato illegittima la legge di perequazione, indicando i tempi per l’adozione di una nuova disciplina e i principi ai quali questa avrebbe dovuto ispirarsi: approvazione di un’apposita legge sui parametri per i trasferimenti, obbligo di motivazione di ogni trasferimento e rimodulazione periodica della distribuzione finanziaria. Pur sottolineando i valori della solidarietà all’interno della Federazione, il Bundesverfassungsgericht ha accolto l’istanza dei Länder più ricchi, affermando che tali valori devono convivere con i principi della responsabilità e della competizione economica. Su questa fondamentale premessa, la nuova legislazione prevede un diverso sistema perequativo, di tipo verticale, in vigore dal 2005 al 2019, che sta progressivamente riducendo i trasferimenti orizzontali, consentendo maggiori differenziazioni nelle performances economiche dei diversi Länder. Attualmente la perequazione finanziaria si sta attuando quasi esclusivamente attraverso fondi federali, anche se questo sistema sta gravando pesantemente sul bilancio della Federazione.

Il Bundesrat: partecipazione in cambio di competenze

Il Parlamento tedesco è formato dal Bundestag, composto da deputati eletti per un mandato di quattro anni, e dal Bundesrat, composto dai delegati dei sedici Länder. In seguito alla Wiedervereinigung, il Bundesrat è composto da 69 delegati regionali, assegnati in numero proporzionale alla popolazione che essi rappresentano. Il Bundesrat non viene eletto dai cittadini, ma sono i governi dei singoli Länder a nominare i loro rappresentanti nel Bundesrat, che non viene mai sciolto, ma rinnovato periodicamente in seguito alle elezioni regionali. Lo scopo primario del Bundesrat non è la salvaguardia o il rafforzamento dell’autonomia dei Länder, ma la loro integrazione nella politica nazionale. Le procedure decisionali in seno al Consiglio federale sono infatti tali da non favorire singoli Länder, ma solo l’insieme degli stessi che, attraverso il Consiglio, ha maggiori possibilità di influenzare la politica federale e nazionale. Per questo nel Bundesrat i rappresentanti dei Länder sono soggetti a vincoli di mandato, dovendo spendere in modo unitario il pacchetto di voti che ciascun Land ha a disposizione: si va dai sei voti dei più grandi ai tre dei più piccoli, che risultano in proporzione più rappresentati, secondo un sistema analogo a quello che ispira attualmente il voto a maggioranza in seno al Consiglio dei ministri dell’Ue.

Il Bundesrat rappresenta gli interessi della comunità dei Länder in una serie di iniziative federali, tra cui la legislazione e la revisione costituzionale, l’amministrazione, lo stato di emergenza, la determinazione della posizione in ambito comunitario, le nomine di numerose cariche e le funzioni di controllo. Il Bundesrat non è una Camera del parlamento, ma l’organo preposto alla rappresentanza dei Länder: questo interviene spesso nella legislazione federale, essendo dotato anche di iniziativa legislativa[10], ma con un diverso grado di intensità. Lo strumento ordinario di partecipazione è lo Einspruch, che diventa Zustimmung qualora la legge incida su competenze o interessi dei Länder. Il concetto di interesse dei Länder si è però esteso enormemente, oltre che con la giurisprudenza costituzionale, anche con la prassi: all’inizio si trattava di sole tredici materie, mentre oggi oltre i due terzi delle leggi federali richiedono l’approvazione del Bundesrat, anche perché basta che un solo articolo incida sugli interessi dei Länder per rendere l’intera legge soggetta ad approvazione. Ciò significa che i Länder, non già individualmente ma attraverso il Bundesrat, sono in grado di porre il veto su gran parte della legislazione federale. A differenza di quanto immaginato dai costituenti, che avevano previsto il veto del Consiglio federale come un’ipotesi eccezionale, oggi il potere di veto è divenuta una prassi corrente. Esiste però una procedura in grado di superare lo stallo che può crearsi con il veto del Bundesrat: in tal caso, si riunisce una commissione paritetica di rappresentanti del Bundesrat e del Bundestag per cercare un accordo, tramite la commissione di conciliazione. In molti casi essa ha effettivamente trovato un compromesso, ma resta comunque fermo il principio di fondo: se il Bundesrat pone il veto e non si sposta dalle sue posizioni, è in grado di bloccare gran parte della legislazione federale.

Il Bundesrat funziona dunque come una valvola. Se l’attività legislativa federale è ridotta, si riduce il ruolo partecipativo dei Länder ma aumenta la loro autonomia legislativa, perché si legifera a livello regionale anziché federale. Se, invece, aumenta la massa legislativa federale, come è accaduto quasi costantemente nei sessant’anni di vigenza del Grundgesetz, aumentano proporzionalmente il peso partecipativo dei Länder e il loro potere di veto. Questa dinamica ha funzionato molto bene per un cinquantennio: i Länder hanno volutamente rinunciato a un po’ del loro già limitato potere legislativo in cambio di un peso maggiore nelle decisioni importanti. Con il progressivo incremento delle competenze esercitate in sede comunitaria, si è infatti ampiamente ridotto il già ristretto ambito delle competenze legislative dei Länder. Per affrontare questo repentino svuotamento delle prerogative regionali, si è ricorso al medesimo criterio già seguito per la ripartizione delle competenze tra Länder e Federazione: i primi hanno rinunciato all’autonomo esercizio di molte delle proprie competenze legislative, in cambio di una maggiore e più efficace partecipazione alla determinazione della politica federale complessiva in ambito europeo. Il simbolo più evidente di questo scambio si ritrova nell’articolo 23, riformulato nel 1992 in seguito al Trattato di Maastricht e volto a disciplinare non più, come in passato, le procedure per la Wiedervereinigung, ma il percorso dell’integrazione europea. Dopo aver stabilito i limiti del processo di integrazione, che ricalcano i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale tedesco, e dopo aver costituzionalizzato il principio di sussidarietà, si è formalizzata la già sperimentata «procedura Bundesrat». Nelle materie di propria competenza i Länder condizionano, attraverso il Bundesrat, la posizione complessiva che la Germania deve assumere in sede comunitaria. Il grado di condizionamento varia a seconda della materia, e va da un mero diritto di essere informati fino all’imposizione di un obbligo per il Bundesregierung, e persino alla possibilità che sia un ministro regionale a rappresentare la posizione tedesca nelle sedi comunitarie. Il sostanziale diritto di codecisione dei Länder in ambito comunitario nei frangenti indicati comporta non di rado per la Germania la scelta obbligata dell’astensione nelle votazioni delle istituzioni europee in cui la Repubblica Federale è coinvolta come Stato membro, e le conseguenze che questo sistema possa produrre attualmente in una Unione a Ventisette sono facilmente immaginabili. È dunque intorno al Bundesrat che ruota tutto, e la funzionalità della «procedura Bundesrat» è ancora una volta proporzionale al grado di cooperazione che i Länder sanno raggiungere tra loro. Infatti, il Bundesrat è l’organo supremo ai fini della rappresentanza della posizione comune, o comunque maggioritaria, dei Länder, ma politicamente impotente quando le posizioni di questi ultimi sono inconciliabili.

Quello tedesco è l’unico ordinamento a struttura federale che fa parte del sistema comunitario fin dalla nascita della Comunità europea: per questo la Germania ha sperimentato prima degli altri Stati federali i problemi peculiari che l’integrazione europea ha comportato e ancora implica per un’organizzazione complessa, basata su una pluralità di centri e livelli di governo, e più degli altri ha proposto soluzioni normative per conciliare decentramento interno e accentramento comunitario. In quest’ultimo si evidenzia il ruolo del Bundesrat, stabilendo che la Federazione può trasferire per legge i diritti di sovranità, ma questa norma deve ottenere l’approvazione del Senato federale, cui è dunque riconosciuto un diritto di veto per il trasferimento di competenze a livello comunitario. Nella sostanza, la centralità del Bundesrat, nel 1993 ancora ritenuto una garanzia di qualità e di efficienza, viene integralmente riproposta: lo stesso meccanismo di coinvolgimento dei Länder sul piano interno viene applicato alla dimensione comunitaria: partecipazione in cambio di competenze. Nonostante il grande successo di questa soluzione in chiave comparata, dovuta anche al fatto di essere la prima disciplina adottata da uno Stato dell’Unione per regolare costituzionalmente la partecipazione degli enti regionali al processo decisionale comunitario, essa non si presta a fungere da modello per altri ordinamenti, in quanto incentrata su un organo, il Bundesrat, del tutto peculiare e intimamente connesso alla struttura federale tedesca.

Prima di disciplinare i dettagli del coinvolgimento dei Länder in ambito comunitario, la Costituzione della Germania prevede, nell’incipit dell’articolo 23, i limiti della partecipazione tedesca all’Ue che sono essenzialmente quelli elaborati dal Bundesverfassungsgericht. Si tratta di una disposizione fortemente connotata sotto il profilo ideologico che impone all’Unione valori e principi essenzialmente analoghi a quelli che ispirano il Grundgesetz e identici a quelli imposti ai Länder[11] e sottratti alla revisione costituzionale[12]. Perché la Germania possa parteciparvi, l’Ue deve quindi basarsi sui medesimi principi inviolabili su cui si fonda l’ordinamento tedesco; un’ulteriore garanzia ideologica è data dalla previsione dell’impossibilità di ulteriori trasferimenti di sovranità all’Unione senza il consenso dei Länder. Sulla base di questi presupposti si può comprendere l’importante e molto criticata sentenza del Bundesverfassungsgericht del 1993 sui limiti all’integrazione europea, nota come «sentenza Maastricht». Secondo tale verdetto i principi cardine della Costituzione tedesca e, soprattutto, il principio democratico espresso nella funzione legislativa del parlamento eletto dai cittadini, impediscono trasferimenti di sovranità all’Unione che oltrepassino il limite intangibile di tali principi. Ciò significa, quindi, che il postulato democratico del Grundgesetz non impedisce la partecipazione tedesca a un’organizzazione sovranazionale detentrice di sovranità, ma implica che tale partecipazione sia subordinata all’esistenza di una legittimazione popolare del processo decisionale dell’organizzazione. Nel concreto, una violazione del principio democratico si configura quando una norma di diritto interno conduce l’ordinamento tedesco all’applicazione del diritto comunitario senza osservare i limiti e le tappe di un prestabilito programma di integrazione, e quindi eventuali successive modifiche sostanziali di tale programma non sono da considerarsi coperte dalla legge di ratifica dello stesso. Di conseguenza, il Bundesverfassungsgericht si ritiene competente a valutare se gli atti normativi comunitari rientrano nei limiti dei diritti di sovranità attribuiti alle istituzioni che li hanno emanati o se vi esulano. In questo secondo caso la Germania ha non solo il diritto, ma il dovere costituzionale di non dare seguito a tali atti. Questa posizione, sia pure attenuata nella prassi in quanto questa teoria non è mai stata concretamente applicata, è indicativa del nuovo corso, ed è stata recentemente ribadita per quanto concerne la ratifica del Trattato di Lisbona, con forti richiami alla prevalenza del Grundgesetz e dei diritti in essa contenuti, nei confronti sia dell’Ue che della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Sia pure costruita sulla infondata e semplicistica preoccupazione che l’Ue potesse trasformarsi a breve termine in uno Stato federale, la posizione dei giudici costituzionali sembra essere la conseguenza della clausola introdotta poco prima con la riforma dell’articolo 23 che impone all’Unione di fondarsi sul medesimo concetto democratico-rappresentativo su cui si fonda la Repubblica Federale. Si tratta forse anche di un contrappeso giurisdizionale al fatto che in Germania, a differenza di molti altri Paesi, la ratifica del trattato di Maastricht, come, del resto, di tutti i trattati europei e internazionali, è avvenuta senza ricorrere al referendum e non vi è stato dunque un raccordo diretto con la volontà popolare. Anche per questo nel 2004, con la ratifica da parte della Repubblica Federale del Trattato costituzionale dell’Ue, in seguito respinto da Francia e Olanda, si sono fatte pressanti le voci che chiedevano almeno in questo caso il ricorso alla consultazione popolare. Ciò non è avvenuto, ma il solo fatto che abbia scatenato un dibattito senza precedenti indica il lento radicarsi di una nuova percezione dei tedeschi rispetto alla possibilità di decidere direttamente su alcune questioni cruciali come appunto l’integrazione europea.

Dalla complessa disciplina costituzionale del rapporto tra la Germania e l’Europa emergono tre spunti di riflessione. Il primo è l’esaltazione del ruolo del Bundesrat come essenziale contrappeso rispetto alla discrezionalità del governo in materia comunitaria, con riferimento alla formazione della volontà da esprimere in seno agli organismi comunitari e, di conseguenza, all’attuazione nell’ordinamento interno, basato sul criterio del federalismo esecutivo, del diritto comunitario. La funzione primaria del Bundesrat consiste non solo e non tanto nella salvaguardia dell’autonomia dei Länder quanto, per la sua natura di organo federale con funzioni federative prima che parlamentari, nella garanzia dell’integrazione dei Länder nella politica nazionale, per bilanciare l’asimmetrica distribuzione delle competenze tra i livelli di governo, come funzioni legislative essenzialmente in capo ai Länder. Per assecondare questa funzione, tuttavia, la nuova disciplina incide pesantemente sulla forma di governo tedesca, limitando ulteriormente il già ridotto ruolo dei parlamenti regionali e creando un rapporto tra Bundesrat e governo federale prima inesistente, almeno sul piano formale. Il Bundesrat può infatti condizionare e, talvolta, persino vincolare il governo nella determinazione della politica comunitaria, acquistando un sostanziale potere di indirizzo nei confronti di questo e recuperando l’originaria dipendenza del governo federale dagli esecutivi regionali, caratteristica della prima fase del processo federativo tedesco. Tale potere di indirizzo, che si manifesta attraverso pareri vincolanti, rende in questo ambito la posizione del Bundesrat più forte di quella del Bundestag, anch’esso espressamente coinvolto nel circuito informativo in ambito comunitario. In secondo luogo, la presenza di dettagliate garanzie di informazione per il parlamento e per i Länder, attraverso il Bundesrat, in materia comunitaria, ribadisce l’essenza collaborativa del sistema federale tedesco, trasferendola anche all’ambito dei rapporti con l’Ue. La garanzia di un continuo scambio di informazioni è considerata ed è effettivamente condizione ineludibile anche per un’efficace attuazione del diritto comunitario.

Questo esempio dovrebbe essere considerato rispetto a ipotesi di importazione del Modell Deutschland in altri ordinamenti, perché l’indubbia efficienza di tale sistema è garantita da un sostrato «consociativo» a livello di cultura politica, e i medesimi accorgimenti istituzionali, trasferiti in differenti e più litigiose realtà socio-politiche, potrebbero condurre alla totale paralisi della dialettica verticale e orizzontale tra gli organi coinvolti. Un’ultima riflessione è sul taglio fortemente ideologico che l’articolo 23 assume rispetto al processo di integrazione europea, tanto da giungere a dettare le condizioni della partecipazione tedesca all’Unione e da contenere un’implicita possibilità di distacco della Germania dallo «Stato confederale europeo», qualora tali condizioni non dovessero realizzarsi. Una simile ipotesi è nei fatti remota, ma proprio in quanto prevista non del tutto da escludere. Più delle sue inesistenti conseguenze pratiche, emerge il dato di snodo epocale della riforma sotto il profilo dell’identità tedesca in Europa, di cui l’intervento del Bundesverfassungsgericht è una conseguenza prevedibile e quasi obbligata. Ne risulta così il ruolo chiave del passaggio tra il vecchio articolo 23 e il nuovo: il primo dedicato alla Wiedervereinigung, il secondo incentrato sull’integrazione europea di una Germania pienamente sovrana e conscia del suo peso politico, proprio nel momento in cui il suo peso economico iniziava a decrescere.

La Germania e l’Europa

Gli articoli della Costituzione tedesca che, in seguito alla Wiedervereinigung, necessitavano di una profonda revisione, sono stati al centro del dibattito costituzionale tedesco dal 1990 ad oggi. Nel campo dei rapporti Bund-Länder, ciò è valso soprattutto per la questione del ruolo che questi avrebbero dovuto svolgere nell’Ue, come già accennato. I Länder infatti temevano che, a causa della crescente integrazione, avrebbero perso competenze e influenza, poiché a livello europeo nei processi decisionali formali solo la Federazione è direttamente rappresentata. Nel corso delle discussioni, i Länder chiarirono che essi avrebbero collegato in un unico provvedimento l’approvazione del trattato di Maastricht e la modifica costituzionale. In entrambi i campi il loro consenso si rendeva necessario. Essi potevano dunque minacciare di impedire la ratifica del trattato, qualora i loro obiettivi di politica costituzionale non fossero stati raggiunti. Con una evidente operazione di scambio, essi riuscirono a ottenere ampi diritti di partecipazione alla definizione della politica europea della Federazione, che essi consideravano una compensazione per ulteriori perdite di competenze in favore dell’Ue. La Federazione, prima che il consiglio dei ministri prenda le sue decisioni, deve richiedere il parere del Bundesrat e tenerne conto. Nella misura in cui sono in gioco competenze proprie dei Länder, questi possono, con una maggioranza di due terzi, costringere il Bund a rappresentare i loro interessi, purché in tal modo non vengano ostacolati importanti finalità della politica di integrazione. Gli ammonimenti riguardo una potenziale complicazione dei processi decisionali, o una restrizione degli spazi di manovra del governo federale in seno al Consiglio d’Europa, non sono stati presi in considerazione. Dietro gli sforzi di consolidamento strutturale della Germania vi erano contrasti tra Bundesregierung e Landtage, superati solo con la sostanziale esclusione degli interessi europei.

Recentemente però questo sistema, definito federalismo non solo esecutivo ma partecipativo, mostra alcuni segnali di crisi, anche se di tipo politico più che istituzionale. Da un quindicennio la maggioranza politica all’interno del Bundesrat è quasi sempre diversa da quella che al Bundestag sostiene il governo, e pertanto spesso il Bundesrat viene impropriamente utilizzato come strumento di opposizione alla politica federale, più che come organo di partecipazione dei Länder. Una minoranza nel Bundestag può utilizzare, come spesso fa, la maggioranza nell’organo di rappresentanza dei Länder per bloccare progetti politici a livello federale, per perseguire i quali i cittadini hanno eletto una maggioranza. Questo uso politico del Bundesrat conduce a un rischio di stallo del sistema decisionale, potendo ostacolare tutte le decisioni importanti e costringendo il governo federale a un’estenuante e spesso improduttiva negoziazione con l’opposizione, confondendo le responsabilità e innescando dinamiche poco virtuose. Una sorta di coabitazione alla tedesca che rende difficoltosa l’attività decisionale, rendendola troppo lenta e pesante e poco adatta alle sfide moderne della governabilità.

Altro importante nodo da sciogliere è quello relativo alle competenze. Per definire esattamente che cosa fosse di pertinenza del Bund e cosa dei Länder, si è frettolosamente deciso di eliminare la Rahmengesetzgebung[13], lasciando talvolta l’intera competenza ai Länder, in altre occasioni trasferendo alcune materie alla legislazione federale esclusiva: un vero e proprio passo avanti quindi verso la costruzione di un federalismo di tipo competitivo. Completamente rivoluzionata è stata anche la legislazione di tipo concorrente, la quale consiste nella possibilità lasciata ai Länder di intervenire su una determinata materia qualora non abbia già legiferato il Bund. Tale modifica è avvenuta a partire dalla rimodulazione della cosiddetta clausola di necessità: prima della riforma il Bund aveva il diritto di legiferare in tutte le materie concorrenti qualora si presentasse la necessità di garantire uguali condizioni su tutto il territorio nazionale. Per quanto concerne le materie per le quali è prevista ancora una clausola di necessità ed elencate all’articolo 74[14], è concessa l’opportunità ai singoli Länder di fare ricorso al Bundesverfassungsgericht per far dichiarare che, in merito a un determinato provvedimento, non sussiste più la necessità di una disciplina legislativa unitaria adottata ai sensi della clausola di necessità. Anche in questo caso è evidente che la riforma sia il risultato di una faticosa mediazione tra due visioni contrapposte: l’una più accentratrice, che assegna maggior potere alla Federazione, e l’altra più federalista, che considera la possibilità di un più forte intervento regionale. Entrambe le posizioni erano presenti, seppur in maniera eterogenea, sia nella Cdu che nella Spd, coautori della riforma. Nulla si è fatto invece sul fronte finanziario, dove il federalismo fiscale competitivo è ancora un lontano obiettivo, dato che ai Länder rimane la prerogativa sulle imposte locali sui consumi, ma il sistema tributario attuale, molto uniforme e incapace di garantire un’autonomia adeguata, resta invariato. È stato anche confermato il Solidarpakt II, volto a trasferire aiuti, seppure indiretti, dalle regioni economicamente più forti ai deboli Länder orientali, attraverso specifici programmi di sussidio, approvati al momento della Wiedervereinigung per favorire la ricostruzione a Est. Nella riforma è stato ribadito che prima o poi questi aiuti devono cessare e che il loro utilizzo dovrà essere soggetto a un controllo periodico. A tal proposito il Bundestag, il Bundesrat e il Bundesregierung hanno il pieno diritto di essere informati circa l’attuazione delle misure e lo stato dei miglioramenti: questo rappresenta un passo in avanti verso una più completa autodeterminazione locale, sebbene il federalismo tedesco rimanga, anche dopo la riforma, un federalismo di stampo nettamente cooperativo. Anche se l’opposizione, formata dai Büdnis ‘90, Fdp e Grünen, ha duramente criticato questi provvedimenti, la groβe Koalition Spd/Cdu spera che questa profonda riforma porti alla modernizzazione istituzionale della Germania e al ritorno dell’efficienza del meccanismo costituzionale tedesco che è parte fondante del Modell Deutschland.

In conclusione, il sistema federale tedesco continua a presentare un carattere centralizzato, con una forte capacità di leadership del governo federale, in un contesto, però, di federalismo cooperativo, che consente la significativa partecipazione dei Länder alla politica nazionale, prerogativa ribadita con l’emendamento costituzionale del 1994 che ha attribuito al Bundesrat il diritto di veto sulle questioni riguardanti la Ue[15]. Il sistema tedesco ha retto quindi alle sfide prima dei cambiamenti politici interni e ora sta rispondendo in maniera concreta ed efficace alla difficile sfida dell’integrazione europea, traendo addirittura forza riformatrice dai cambiamenti dettati dall’agenda dell’Unione. Il federalismo tedesco, dopo aver dato una ottima prova di sé durante «i difficili anni Novanta» può senza dubbio porsi come modello nell’integrazione politica dei Ventisette. Il Modell Deutschland potrà dunque funzionare, con i dovuti adattamenti, anche alle sfide del nuovo Millennio.

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D. Willoweit, Deutsche Verfassungsgeschichte: vom Frankenreich bis zur Wiedervereinigung Deutschlands. Ein Studienbuch, vol. IV, München, Beck, 2001.

Note

[1] D. Willoweit, Deutsche Verfassungsgeschichte: vom Frankenreich bis zur Wiedervereinigung Deutschlands. Ein Studienbuch, vol. IV, München, Beck, 2001, 41-54.

[2] ibid., 163-172.

[3] J. Hartmann, Handbuch der deutschen Bundesländer, Bonn, Bundeszentrale für politische Bildung, 1994, 33-48.

[4] Art. 30 GG: «Die Ausübung der staatlichen Befugnisse und die Erfüllung der staatlichen Aufgaben ist Sache der Länder, soweit dieses Grundgesetz keine andere Regelung trifft oder zuläßt».

[5] Art. 31 GG: «Bundesrecht bricht Landesrecht».

[6] Dazi doganali, Art. 106 c.1 GG.

[7]Imposta sulle successioni e sulla birra, Art. 106 c.2 GG

[8] ibid., 19-32.

[9] Nel 1999 vi sono stati trasferimenti orizzontali per 7,5 miliardi di euro, e nel 2000 i cinque Länder più ricchi hanno trasferito agli undici più poveri 8,2 miliardi di euro.

[10] Art. 76 c.3 GG.

[11] Art. 28 GG.

[12] Art. 79 c.3 GG.

[13] La cosiddetta «legislazione quadro», che affidava la legislazione di principio allo Stato centrale e quella di dettaglio alle regioni.

[14] Tra di esse, legislazione economica e assistenza pubblica.

[15] S. Ventura, Il federalismo, Bologna, Il Mulino, 2002, 80-89.