Slavi ed Occidente nel Medioevo: fattori di mutamento e immigrazione
Alcuni importanti fattori storici, di natura politica ed ideologica, avrebbero contribuito, secondo alcuni storici giuliani tra cui Sestan, a rendere possibili e meno contrastati l’immigrazione e
gli insediamenti degli Slavi nella regione:
in primo luogo l’unione militare con gli Avari ed il carattere fortemente aggressivo e cruento delle incursioni e migrazioni dell’VIII secolo, che avrebbero causato la fuga di molti degli
abitanti delle aree interessate dal passaggio migratorio, liberando porzioni di territorio per nuovi insediamenti;
a cavallo tra VIII e IX secolo, avrebbero cominciato a prodursi anche importanti mutamenti politici e culturali, consentendo una maggiore integrazione delle popolazioni slave nelle aree a ridosso
dei confini occidentali, o, quantomeno, una minore ostilità da parte degli abitanti: i Franchi, sconfiggendo gli Avari in Europa meridionale, avrebbero liberato e separato da essi la componente
slava, meno aggressiva e guardata con minore ostilità dai popoli confinanti. L’unione di vaste porzioni di territorio europeo sotto le insegne dell’impero carolingio e l’eliminazione dei confini
interni, avrebbero reso più facili gli spostamenti: la mobilità etnica sarebbe stata vissuta con minor timore e interpretata come mero fenomeno migratorio anziché come invasione.
La presenza degli Slavi in Istria si sarebbe poi assestata nei secoli successivi, con l’importazione del feudalesimo da parte della nobiltà tedesca: la componente slava avrebbe fatto da base
produttiva per il nuovo modello politico e sociale. Il feudalesimo sarebbe stato matrice e base materiale per l’innesto di numerosi mutamenti nella regione, tra cui il cambiamento della
composizione etnica (E. Sestan, Venezia Giulia. Lineamenti per una Storia Etnica e Culturale, Bari, Centro Librario, 1965, 35-46).
La conversione dei popoli Slavi e l’affermazione politica ed economica di Venezia, decisamente più aperta nei confronti delle immigrazioni per ragioni legate alla produzione e al commercio,
avrebbero fatto il resto.
Sia Sestan, che Ivetic e Bertosa, fanno presente che la colonizzazione dell’Istria incoraggiata da Venezia interessò principalmente il meridione della penisola e solo in misura decisamente minore la sua parte settentrionale. Ciò dipendeva dalla difficile situazione dell’agro di Pola e delle pianure fertili del Sud, ma anche dal fatto che le campagne e le città settentrionali erano maggiormente popolate per effetto di vari fattori: l’immigrazione “feudale” incoraggiata dalla nobiltà germanica, gli spontanei insediamenti sloveni, a seguito degli Avari, ma anche una serie di insediamenti successivi, fortemente legati alle dinamiche socio-economiche della regione: si trattava di movimenti legati al rapporto delle città della costa con il territorio circostante, soprattutto montuoso; le città erano il luogo in cui gli abitanti dell’interno potevano vendere i propri prodotti, frutto delle colture, degli allevamenti o della manifattura locale, e acquistare ciò di cui avevano bisogno.
Si tratta di un fenomeno sociale caratteristico ed esteso a tutta l’area del Mediterraneo. Per Braudel, il montanaro dell’Europa meridionale si trasformava, per alcune settimane o per alcuni mesi all’anno, in venditore ambulante: periodicamente scendeva dai monti per vendere i propri prodotti (latte, formaggio, carne, pelli, manufatti e tessuti), in cambio dei prodotti di costa o di pianura di cui le comunità dell’entroterra erano prive e di cui sentivano il bisogno (sale, olio e vino, soprattutto). Un movimento che si ripeteva di anno in anno, immutato per secoli (F. Braudel, Civiltà e Imperi del Mediterraneo nell’Età di Filippo II, Torino, Einaudi,1986, 30).
Uno scambio continuo, che poteva avere luogo nelle fiere e nei mercati locali delle città della pianura e della costa, arricchito dalle opportunità rappresentate dal passaggio delle flotte e degli equipaggi nei porti dell’Istria. Un traffico facilitato dall’immigrazione, nelle città o nei pressi immediati, di artigiani o commercianti delle montagne e dell’entroterra, avanguardie commerciali e culturali del mondo interno che periodicamente bussava alla porta della città per rispondere ai propri bisogni.
Un fenomeno diffuso dunque, che in Istria assumeva la forma di uno scambio inter-etnico, oltre che materiale ed inter-culturale, per effetto degli stanziamenti slavi nel Friuli e nella Carniola e che certamente finì per agevolare fenomeni migratori, anche se circoscritti e strettamente legati ad attività di produzione manifatturiera o commerciali. A partire da queste considerazioni è quindi possibile contestualizzare storicamente la formulazione del Vescovo Tomasini, ripresa da più di un commentatore, in base alla quale in Istria, oltre agli italiani vi sarebbero stati due gruppi etnici: «I Morlacchi» che «attendono alle terre» e «li Cargnelli alla Mercanzia» (B. Benussi, L’Istria nei suoi due millenni di Storia, Venezia-Rovigno, Collana degli Atti del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, 1997, 346).