L'opera di Ernesto Sestan: una breve sintesi dei problemi contemporanei
Un primo cambiamento forte nella situazione degli Slavi nella regione si ebbe, come racconta Sestan nel suo Venezia-Giulia, a partire dal XIX secolo, con il dominio austriaco
sull’Istria, sul Veneto e sul Friuli: la legge che aboliva la schiavitù nei territori austriaci, per esempio, fu approvata nel ’700, ma solo nel 1848 vennero aboliti tutti i diritti di
corvée ed i rapporti di servitù vennero sostituiti con normali rapporti economici regolati dal denaro.
Queste misure diedero l’avvio ad un processo di indebolimento del latifondo e della proprietà pubblica, favorendo la diffusione della piccola proprietà. Da un censimento istriano del 1880,
risulta che il 95% della popolazione producente beni agricoli era composta di piccoli proprietari. Si tratta di un dato estremamente significativo: le misure messe in atto
dall’amministrazione austriaca ebbero l’effetto di mettere gli Slavi, da un punto di vista economico e sociale, sullo stesso piano dei contadini italiani. Essi cessarono di essere, di fatto e di
diritto, gli “schiavi”, appellativo utilizzato nel ’900 con intento razzista e spregiativo, e divennero soggetti attivi della vita economica della regione, destinatari di diritti economici cui
avrebbero legittimamente voluto affiancare una serie di diritti politici.
Nello stesso periodo, forti spinte culturali nazionalistiche avevano incominciato ad irradiare dalle capitali europee, rese più forti dalla spinta germanizzatrice impressa dall’Austria alla
propria politica, formalmente, fin dalla fine del Settecento.
Dalla metà dell’800 l’amministrazione austriaca si rese anche protagonista di una serie di grandi opere urbanistiche e infrastrutturali, per le quali accorsero in Istria abitanti da parte di
altre regioni, molti dei quali di origine slava. I lavoratori erano concentrati in cantieri le cui dimensioni erano del tutto inedite per la regione. Secondo Sestan, per gli Slavi istriani
sottoposti all’amministrazione austriaca, l’esperienza dei cantieri fu la prima vera esperienza di massa dai tempi della colonizzazione ed ebbe effetti sconvolgenti per gli equilibri della
regione. Per fare un parallelo efficace, si potrebbe dire che l’esperienza storica dei cantieri austro-istriani ebbe, per gli Slavi della regione, conseguenze culturali e politiche paragonabili a
quelle determinate dall’esperienza della fabbrica per la classe operaia inglese ed europea nell’800. Essa rappresentò l’occasione per il confronto, per il risveglio delle coscienze e per la
diffusione di idee di riscossa e indipendenza nazionali. Essa rese più veloce la diffusione del nazionalismo slavo, che andava costituendosi, non senza conflitti, attorno al nucleo forte
dell’identità serbo-croata.
Nonostante i fenomeni di aggregazione di massa e la crescita della coscienza nazionale, i diritti politici e le rivendicazioni linguistiche e culturali segnavano il passo: nella Dieta istriana
del 1861 vennero eletti solo tre Slavi nella Dieta Provinciale Istriana tutti e tre sacerdoti. Gli Slavi avevano diritto di voto come tutti gli altri, ed erano ormai maggioranza in molte parti
del territorio. Ma il diritto di voto era sancito secondo un discrimine censitario e l’insuccesso elettorale dei candidati slavi testimonia in modo molto chiaro della loro povertà. Il fatto che i
pochi eletti fossero ecclesiastici, secondo Sestan è indice del difficile ruolo sociale degli Slavi e del fatto che la carriera ecclesiastica rappresentasse uno dei rari mezzi di promozione
sociale della parte di popolazione più povera della regione. In tutte le diete provinciali gli Slavi avanzarono richieste per l’utilizzo della lingua slava nei documenti ufficiali, che furono
respinte (E. Sestan, Venezia Giulia. Lineamenti per una storia etnica e culturale, Bari, Centro Librario, 1965, 82-103).
Secondo la ricostruzione di Sestan, la vittoria italiana nel primo conflitto mondiale determinò la quasi istantanea scomparsa di Magiari e Tedeschi dai territori che fino a poco tempo prima erano
stati competenza austriaca. Il dominio italiano divenne effettivo anche in zone interne dell’Istria e del Friuli, nei confronti di popolazioni che, da generazioni, erano ignare di risiedere su
terre che fossero oggetto di diverse rivendicazioni politiche e territoriali.
L’avversione di Istriani e Giuliani verso ogni proposta di parificazione sarebbe spiegabile con il fatto che gli Italiani non erano abituati a convivere su di un piano di parità con le
popolazioni slave e, da questo punto di vista, le vicende della storia contemporanea segnerebbero importanti punti di contatto con la realtà politica e sociale delle epoche precedenti.
Nonostante queste premesse, i primi anni dell’amministrazione italiana sarebbero stati caratterizzati da una certa moderazione.
Il fascismo, al contrario, in Istria ed in Friuli ebbe caratteristiche particolarmente dure:
in primo luogo per ragioni “tradizionali” legate alle zone di confine, che divennero zone di attrito all’inizio del ’900, nel momento in cui la polemica nazionalistica prese a farsi più accesa.
Era normale che un movimento come quello fascista, fortemente nazionalista, avesse in queste regioni un carattere più aggressivo;
inoltre, dopo la smobilitazione, molti reduci del primo conflitto rimasero nelle zone che li avevano visti impegnati nei combattimenti di frontiera. Si trattava, secondo Sestan, di elementi
disadattati e privi di professione, spesso allo sbando e con una forte inclinazione a creare disordini e conflitti.
Particolarmente aggressivi, alcuni di loro furono tra i fondatori del fascismo italiano. A partire dagli anni ’20 questi gruppi di ex combattenti si resero protagonisti di numerosi scontri con i
socialisti, accusati di essere traditori della causa italiana in quanto internazionalisti, e con gli Slavi che si erano organizzati per portare avanti rivendicazioni politiche ed autonomistiche.
Il conflitto raramente si mantenne nei limiti della legalità ed i contrasti furono molto duri. Alle elezioni del 1921 non venne eletto nessun parlamentare slavo, ma i voti degli slavi è probabile
che convergessero sui candidati comunisti e internazionalisti, che ottennero un buon successo.
Pochi mesi dopo si tenne un censimento che, per l’Istria, attestava una maggioranza schiacciante di italiani. Era credibile?
È possibile che il risultato fosse il frutto di una serie di brogli e della complicazione dei quesiti, tutti in lingua italiana. Tale censimento rappresentò la «fragilissima base giuridica» sulla
quale si procedette alla «italianizzazione degli Slavi», a partire dal 1925. Complessivamente, la storia degli Slavi in Istria e in Venezia-Giulia sembra caratterizzata da una forte
discriminazione operata dagli elementi latini presenti sul territorio e l’azione politica svolta dalle autorità di Venezia può essere paragonata, da questo punto di vista, a quella operata dalle
autorità austriache nel periodo della repressione o dal fascismo (E. Sestan, Venezia Giulia, 117, 125).