Dichiarazione di Giorgio Pitacco, 1918
Un’idea della politica italiana verso queste minoranze può essere ricavata da una dichiarazione dell’onorevole Giorgio Pitacco, resa nell’aprile del 1918 e riportata da Sestan nella sua opera (Venezia Giulia. Lineamenti per una storia etnica e culturale, Bari, Centro librario, 1965, 110), attestante un atteggiamento di forte chiusura e intransigenza che, nella migliore delle ipotesi, non avrebbe fatto nessuna concessione alle richieste di una minoranza che si sentiva decisamente oppressa.
Si vuole introdurre anche in Italia, dove su quaranta milioni di italiani vi sono due o trecentomila Slavi parlanti quasi tutti già la nostra lingua, e un’assimilazione sarebbe facilissima e sollecita, una specie di paragrafo 19 come è in vigore in Austria, con garanzie scolastiche e linguistiche a favore di alcuni nuclei, i quali, per le lotte sostenute fino ad oggi, approfitterebbero di queste concessioni per pretendere riconoscimenti di diritti in odio alla nazione. Non va dimenticato che concedere il diritto di aprire un asilo d’infanzia, vuol dire riconoscere il diritto all’università; il concedere una singola pretura significherebbe arrivare in breve tempo alla suprema corte, e non solo per i nuclei dei nuovi territori, ma anche per quegli Slavi che abitano intorno a Cividale, e che non ebbero mai scuole in altra lingua che non fosse l’italiana.
È impossibile non notare accenti comuni tra le affermazioni dell’on. Pitacco e le ricostruzioni storiche proposte all’inizio del ’900, nelle quali gli Slavi venivano presentati come minoranza insignificante, quando non nociva agli equilibri economici e sociali dell’Istria.