Cittadinanza censitaria
L’Italia, che per tutto il secolo scorso aveva mantenuto un atteggiamento liberale nei confronti delle doppie cittadinanze, cambiò rotta. La legge sulla cittadinanza del 1992 non si limitò a consentire agli emigranti di mantenere per il periodo più lungo possibile la cittadinanza del paese di origine e ai discendenti di poterla acquisire con relativa facilità, ma inserì una clausola fortemente restrittiva per quanto riguarda gli stranieri residenti privi di sangue italiano o europeo, a cui vengono chiesti dieci anni di residenza continuativa nel paese e a domanda inoltrata, di sottostare alla discrezionalità del giudice Per rendere subito efficace il provvedimento, la riforma venne applicata anche agli stranieri che erano già in corso di naturalizzazione secondo la precedente norma, che richiedeva solo cinque anni di permanenza sul territorio. La legge non solo si presenta come la più restrittiva e discrezionale d’Europa occidentale, ma venne approvata in controtendenza rispetto ai cambiamenti legislativi negli altri paesi europei. Come se non bastasse è fortemente contraddittoria: mentre per gli immigrati in Italia è fondamentale il radicamento sul territorio, strettamente dipendente dalla ricchezza degli immigrati, per gli italiani non è rilevante: l’italianità si porta nel sangue.Cfr. C. Bonifazi, L’immigrazione straniera in Italia, Bologna, il Mulino, 1998.