Polenta, pane, erbaggi e poco altro
Sempre illuminanti per la loro sintesi sono le parole dedicate da Piero Meldini alla questione in oggetto:Stabilire quale sia l’apporto delle cucine regionali non è facile perché se poco sappiamo dell’alimentazione popolare, della cucina ignoriamo quasi tutto: né granché forse c’è da sapere. Sbarazziamoci immediatamente del radicato mito di una cucina tradizionale, semplice e sana trasmessa di madre in figlia dalla notte dei tempi e giunta intatta o quasi fino ad anni recenti. Questa cucina immaginaria al pari di numerosi altri stereotipi sulla cultura popolare è un luogo comune della cultura romantica rinverdito dal petulante e retrivo folclorismo fra le due guerre.
Si tolga alla cucina della nonna la carne (totalmente sconosciuta a chi sudava), il pesce di qualità pregiata, la farina di frumento, il burro, l’olio di oliva, le patata (fin quasi la metà dell’Ottocento consumate dalle bestie o dagli agiati) e il pomodoro, accettato solo dopo e non dovunque il 1860, e vediamo cose rimane.
Tutto ciò che viene propinato all’insegna del tipico, del caratteristico del paesano, del casalingo, scrive Piero Camporesi è quasi sempre Kitsch alimentare, paccottiglia di rigatteria cucinaria, che trova slancio e fortuna nella nostalgia del consumatore, orfano del passato, ignaro delle arbitrarie e cervellotiche manifestazioni perpetrate sopra il suo dolente e pungente desiderio di una mitica cucina genuina, confezionata dalle mani amorevoli di mamme e nonnine larvali e inafferrabili.
P. Meldini, A tavola e in cucina, in: P. Melograni (a cura di), La Famiglia Italiana dall’Ottocento ad oggi, Roma-Bari, Laterza, 1988, 432-33.