La memoria è inoltre intrinsecamente belligena. Necessariamente selettiva, poiché riposa su una “messa in intrigo” del passato […] che implica necessariamente una cernita […] essa interdice ogni conciliazione, conservando l’odio e perpetuando i conflitti. […]. La memoria spinge in tal modo al ripiegamento identitario su sofferenze singolari giudicate incomparabili per il solo fatto che si identifica con coloro che ne sono state le vittime, mentre lo storico deve rompere per quanto può con ogni forma di soggettività. La memoria si conserva con commemorazioni, la ricerca storica con studi scientifici. La prima è per definizione al riparo da dubbi e revisioni. La seconda, al contrario, ammette per principio la possibilità di una rimessa in discussione, nella misura in cui tende a stabilire dei fatti, fossero anche dimenticati o scioccanti rispetto alla memoria, e a situarli nel loro contesto per evitare l’anacronismo. L’atteggiamento storico, per essere considerato tale, deve in altri termini emanciparsi dall’ideologia e dal giudizio morale [de Benoist 2005, pp. 20-21].
Nell’introduzione al suo volume Nazismo e Comunismo Alain de Benoist opera una netta distinzione fra il concetto di memoria storica ed il lavoro scientifico
dello storico che merita di essere riprodotta per intero: