Racconti di vita: analisi discorsiva e dimensione sociale della memoria
Può darsi che le interviste non aggiungano molto a quello che sappiamo riguardo agli eventi accaduti, ma possono dirci cose altrimenti più nascoste sui costi psicologici. «Ci
informano su ciò che i fatti hanno voluto dire per chi li ha vissuti e per chi li racconta; non solo su ciò che le persone hanno fatto, ma su ciò che volevano fare, che credevano di fare, che
credono di aver fatto; sulle motivazioni, sui ripensamenti, sui giudizi e le razionalizzazioni» [A. Portelli, Storie orali. Racconto, immaginazione, dialogo, Roma, Donzelli, 2007,
12].
Questo approccio permette di articolare la dimensione sociale della memoria individuale secondo un’analisi che ne evidenzia più dimensioni. Potremmo dire che la nostra analisi dei racconti di
vita si deve configurare essenzialmente come un’analisi di pratiche narrative, pratiche in cui l’attività di interpretazione e reinterpretazione del proprio passato da parte di ciascun individuo
ha in effetti uno stretto rapporto con le sue appartenenze sociali, con il contesto socio-politico attuale e con il contesto in cui si è svolta l’intervista.
«Le fonti orali sono fonti narrative. Per questa ragione la loro analisi non può prescindere dalle categorie generali dell’analisi del racconto». [A. Portelli, Storie orali. Racconto,
immaginazione, dialogo, cit., 9]. In secondo luogo, sulla base delle teorizzazioni di Halbwachs e Ricoeur, [P. Ricouer, La memoria, la storia, l’oblio, Milano, Cortina, 2003 e id.,
Ricordare, dimenticare, perdonare. L’enigma del passato,Bologna, Il Mulino, 2004], dobbiamo sempre tener presente che i dispositivi narrativi sono culturalmente mediati, e di
conseguenza, i modi in cui la memoria viene esposta sono dettati dal contesto sociale.
Le memorie individuali vanno quindi intese come pratiche narrative inserite in un contesto sociale preciso e in quanto tali vanno analizzate.