I cetnici e le truppe collaborazioniste: domobranci, belogardisti e cosacchi
Nel goriziano, oltre ai tedeschi, erano stanziate truppe collaborazioniste di diversa nazionalità, soprattutto slave. La convivenza tra formazioni militari di diversa etnia, creò in questo territorio un clima decisamente diverso rispetto a quello che si poteva riscontrare a Trieste o sul litorale.
Dalla provincia tedesca di Lubiana arrivarono i belogardisti e i domobranci. Erano “sloveni bianchi”, appartenenti per lo più al partito cattolico e, in parte, a quello liberal-monarchico. Essendo fortemente anticomunisti, avevano deciso di collaborare con le truppe naziste al fine di ottenere un distaccamento della Venezia Giulia dall’Italia e una sua annessione alla Jugoslavia di Pietro II. Successivamente, verso la fine del 1944 arrivarono a Gorizia anche le truppe cetniche. Il loro nome derivava dal termine serbocroato Četa, che significa “banda” o “franchi tiratori”. Alla metà dell’Ottocento i cetnici erano gruppi di autodifesa serbi, bulgari e greci che operavano nelle aree balcaniche sotto il controllo dell’Impero ottomano. Durante la Grande guerra gruppi di cetnici serbi combatterono contro gli austroungarici e i tedeschi che avevano occupato la Serbia. Con la nascita del Regno dei serbi, dei croati e degli sloveni, i cetnici si configurarono come movimento politico-militare di carattere panserbo, fortemente nazionalista e spesso utilizzato dalle autorità statali per reprimere i moti separatisti. Con l’occupazione nazista della Jugoslavia il movimento si spezzò in due tronconi, entrambi caratterizzati da un forte nazionalismo e da un convinto anticomunismo. La parte dei cetnici guidata da Milan Nedič decise di collaborare con gli occupanti tedeschi mentre le forze guidate da Dragoljub Mihajlovič scelsero di schierarsi contro i nazisti e di organizzare forme di Resistenza, sempre in vista di un’unificazione nazionale in ottica serbo-centrica [molti dei dati fin qui riportati sono tratti da P. Milza, S. Bernstein, N. Tranfaglia, B. Mantelli (eds.), Dizionario dei fascismi, Milano, Bompiani, 2002, 88-90]. Dopo un iniziale accordo con la Gran Bretagna che riconobbe ufficialmente Mihajlovič capo della Resistenza, questi gruppi entrarono in contrasto con le forze partigiane comandate da Tito. I tedeschi non ci misero molto ad approfittare di queste divisioni per arruolare tra le loro fila numerosi gruppi che facevano riferimento a Mihajlovič in nome della condivisione dell’anticomunismo. Ciò accadde soprattutto nel momento in cui gli Alleati decisero di collaborare con i partigiani di Tito rompendo l’accordo con i cetnici. I nazionalisti serbi iniziarono così ad affiancare i nazisti nelle operazioni di repressione antipartigiana in cambio di cibo, armamenti e protezione.
Le truppe cetniche collaborazioniste vennero mandate nel territorio goriziano alla fine del 1944 proprio a seguito della loro esperienza nella lotta antipartigiana e per la loro abilità nelle pratiche di guerriglia, a lungo esercitate nei boschi dei Balcani. Inoltre collaborarono alle operazioni propagandistiche distribuendo e facendo affiggere manifesti e locandine nei locali pubblici e nei negozi. Infine, presiedevano i posti di blocco esterni alla città. Pare che circa 3000 cetnici fossero stanziati a Postumia, altri 15.000 a Ilirska Bistriva (Villa del Nevoso) e ulteriori gruppi si trovavano a Dornberg e a Vipacco. Lo stato maggiore era stato costituito a San Pietro, piccolo comune vicino a Gorizia. [L. Spangher, Gorizia 1943-1944-1945. Seicento giorni di occupazione germanica e quarantatré jugoslava, Gorizia, Edizione “Friul C.”, 1995, 157.]
Tutti questi reparti collaborazionisti slavi accampavano pretese e speranze nazionalistiche sulla Venezia Giulia, pretese che vennero sfruttate e alimentate dagli occupanti nazisti al fine di mantenere una certa disciplina. [L. Fabi, Storia di Gorizia, Padova, Il Poligrafo, 1991, 187.]
Infine, bisogna ricordare la presenza nella Venezia Giulia dei cosacchi. In particolare, i cosacchi del Kuban occuparono, durante il secondo conflitto mondiale, le montagne della Carnia, in
Friuli, insediandosi nella piana di Cavazzo, ribattezzata da essi “Nuova Krasnodar”.
Questi popoli, a causa delle violenze loro perpetrate da parte dei sovietici, iniziarono a collaborare con i tedeschi già in occasione della campagna di Russia. I nazisti, promisero alle
popolazioni insediate nei pressi del Don, del Kuban e del Terek la restituzione della loro patria come futura ricompensa per l’aiuto prestato all’esercito tedesco durante la guerra, e si
garantiva, qualora fosse stato temporaneamente impossibile il rientro in Ucraina, l’insediamento in una terra dove condurre un’esistenza autonoma nel pieno rispetto delle tradizioni. L’illusione
cosacca di recuperare l’indipendenza dei tempi passati svanì sotto i colpi della controffensiva sovietica a Stalingrado, iniziata il 19 novembre del 1942. Durante la ritirata dell’esercito
nazista, si accodarono numerosi civili, intere famiglie con bambini che, caricate in fretta e furia le poche masserizie, affidarono a quell’esercito in fuga l’ultima fievole speranza di salvezza,
alimentata nei mesi seguenti dalla promessa di un rifugio in una terra simile a quella che avevano lasciato. Nell’estate del 1944 i tedeschi proposero ai cosacchi di insediarsi nei territori
della Carnia, dopo averli aiutati a contrastare i partigiani che si erano appropriati della zona creando la “Zona libera della Repubblica della Carnia e Prealpi”. Verso la fine di luglio del 1944
alla stazione della Carnia, il paese che segna il confine tra la regione omonima e il Friuli, cominciarono ad affluire i primi convogli di cosacchi e di caucasici. Queste popolazioni, dopo lunghe
peregrinazioni al seguito dei tedeschi in ritirata dal fronte orientale attraverso la Polonia, la Romania, la Cecoslovacchia, l’Ungheria e l’Austria, s’illudevano di aver raggiunto la “terra
promessa”. Ne arrivarono circa 40.000. Tale illusione durò poco. Con la sconfitta nazista anche le popolazioni cosacche e caucasiche dovettero ritirarsi o disperdersi. Alcune di esse si
ritrovarono a transitare anche nel territorio goriziano [P. Deotto, Stanitsa Tèrskaja. L’illusione cosacca di una terra (Verzegnis, ottobre 1944 - maggio 1945), Udine, Gaspari editore,
2005 e a R. Rossa, Venti cammelli sul Tagliamento. L’avventura cosacca in Friuli dal 1944 al 1945, Udine, Istituto Friulano del Movimento di Liberazione, 2007.]
Nella popolazione di Gorizia, la presenza o il passaggio di queste popolazioni ha lasciato un ricordo molto vivido e sicuramente traumatico. Si può notare, anzi, che le memorie relative
all’ultimo periodo della guerra trovano un punto di convergenza comune nella descrizione dei popoli invasori in ritirata. Potremmo quasi dire che questo è l’ultimo nucleo su cui le memorie
collettive di tutti i gruppi presenti sul territorio sono sostanzialmente concordanti. Il ricordo dei cetnici e dei cosacchi ritorna praticamente nelle narrazioni di tutti i testimoni. Inoltre,
va sottolineato come l’immagine di queste popolazioni venga associata quasi unicamente al momento della loro ritirata e non alla loro attività durante lo svolgimento del conflitto.