La separazione di fatto o propria auctoritate
Secondo i canoni, chi desiderava separarsi avrebbe dovuto rivolgersi all’ordinario ecclesiastico per ottenere la necessaria autorizzazione ad interrompere il debito coniugale e la convivenza sotto lo stesso tetto. La separatio propria auctoritate era una scelta duramente contrastata fin dal Medioevo. A più riprese, e comminando durissime pene, le disposizioni papali, i sinodi e i tribunali condannarono qualunque forma di abbandono non autorizzato del tetto coniugale. La separazione senza opportuna autorizzazione poteva essere punita con la scomunica e la negazione dei sacramenti; in alcuni casi, poi, si poteva arrivare a misure più pesanti come il bando o l’incarcerazione. Solo in pieno ‘700 queste rigide posizioni sulla separazione di fatto furono in parte riviste; secondo il “liberale” testo del protonotaio apostolico Cristoforo Cosci sulla separazione, il De separatione thori coniugalis edito nel 1773, nei casi di pericolo fisico e spirituale dei singoli poteva ammettersi la fuga anche senza preventivo decreto del giudice.Cfr. G. di Renzo Villata, Separazione personale, cit., p. 1361; P. Rasi, La separatio tori e le norme del concilio di Trento, in “Rivista di Storia del Diritto Italiano”, XXI, 1948, 231-259, p. 235; A. Jemolo, Il matrimonio nel diritto canonico, Bologna, Il Mulino, 1993. p. 84; C. La Rocca, Tra moglie e marito, cit., pp. 224 sgg.