Davide Albertario (1846-1902)
Davide Albertario nasce a Filighera, in provincia di Pavia, nel 1846 da una famiglia di agricoltori benestanti; frequenta il seminario a Milano e a Monza e, trasferitosi a
Roma, si laurea nel 1868 in teologia all'Università Gregoriana. Nel 1869, pochi mesi prima di entrare nella redazione dell’«Osservatore Cattolico», viene ordinato sacerdote a Milano
dall'arcivescovo Nazari di Calabiana. Nel 1873, assieme ad altri due sacerdoti, assume la proprietà e la direzione della testata. L’operato del giornale subisce un continuo controllo da parte della
gerarchia ecclesiastica sia locale, che lo contrasta, sia vaticana, che invece tende a proteggerlo. Negli anni Ottanta diverse vicende giudiziarie vedono personalmente coinvolto Albertario. La più
famosa è quella in sede canonica, seguita alla presunta infrazione del digiuno precedente la celebrazione della messa, che dà vita nel 1882 al cosiddetto "processo del caffè". La vertenza termina
con l'assoluzione solo nell'aprile del 1885 e in questo arco di tempo, anche a causa dei crescenti dissidi con i vescovi Bonomelli e Scalabrini, Albertario deve trascorrere, in una sorta di esilio
cautelativo imposto dal Vaticano, un anno a Napoli, allontanandosi formalmente dalla direzione del giornale. Al ritorno a Milano, ritiratisi i condirettori, diviene responsabile unico. Nel 1887
viene intentato un processo per ingiurie e diffamazioni contro la redazione, in sede civile, da don Antonio Stoppani, ripetutamente attaccato come fautore del rosminianesimo, e la testata è
costretta a pagare multe salatissime. Tuttavia, in quello stesso anno, la ripresa dell'intransigentismo in seguito al fallimento dei tentativi di conciliazione tra Chiesa e Stato italiano,
determina una ripresa anche del giornale tanto che, nonostante questo travagliato percorso, nel 1892 Albertario assume la vicepresidenza della quarta sezione (stampa) dell’Opera dei Congressi, e
nel 1894 giunge a festeggiare solennemente il suo giubileo sacerdotale e giornalistico, con il consenso vaticano. Agli inizi degli anni Novanta ha nel frattempo chiamato in redazione nuovi e più
giovani collaboratori, come Filippo Meda - che gli succederà alla direzione -, Angelo Mauri, Ernesto Vercesi e Paolo Arcari. Grazie anche a loro il giornale comincia a sviluppare due linee
editoriali principali, richiamanti da un lato la necessità di una maggiore attenzione per il sociale, e dall'altro quella di prepararsi, pur nel fermo rispetto dell'astensione, a una futura attiva
partecipazione politica (concetto presente fin dalla metà degli anni Settanta, ma ora propagandato con maggior fermezza). L'accentuato interesse per la questione sociale, che si mette in rilievo
quanto meno dall'emanazione della Rerum Novarum (1891), diventa evidentissimo soprattutto dall'inizio del 1898, quando viene pubblicata una serie di articoli dal titolo La macchina
all'operaio?, in cui si arriva a sostenere che le macchine dovrebbero essere proprietà esclusiva della classe lavoratrice, attirando sul direttore l'ostilità dei moderati, sia liberali sia
cattolici, che lo considerano un pericoloso sobillatore, che incita le masse alla rivolta. Dopo i moti milanesi di maggio, occasione per altri infiammati articoli che creano notevole scalpore,
Albertario viene quindi arrestato e processato dal tribunale di guerra con l'accusa di essersi reso «banditore di idee democratiche e socialistiche», di aver combattuto la monarchia e di aver
suscitato «l'odio di classe». È condannato ad una multa di mille lire e a tre anni di reclusione, ma grazie a un indulto ne sconta solo uno a Finalborgo [Albertario 1900], durante il quale la
direzione del giornale (sospeso dal 10 maggio al 7 settembre) viene assunta da Meda. Muore a Carenno, dove s’era ritirato per problemi di salute, nel 1902, ed è salutato a Milano da funerali
solenni e affollati. Autori di biografie apologetiche sono il nipote Giuseppe Pecora [1934, nuova ed. 2002], e gli ex colleghi Filippo Meda [1919] ed Ernesto Vercesi [1923]. Di facile reperibilità
le voci biografiche Fonzi [1960] e Canavero [1982]. Alcuni studi dedicati ad Albertario e al suo giornale: Bondioli [1958], Majo [1989], Canavero [1988], Zuffi [1988], Cattaneo [2009].