CGT e CGTU
Per la CGTU, l’adesione al sindacato era, complessivamente, parte integrante di un percorso di socializzazione politica nella sfera comunista, che poteva comprendere anche o in alternativa
l’appartenenza ai Comitati proletari antifascisti (CPA) e, più raramente, l’iscrizione al gruppo comunista territoriale. In questo senso la CGTU affiancò alle consuete rivendicazioni
salariali e alla tutela degli immigrati, forti rivendicazioni ideologiche, al punto che, secondo molti, appare difficile distinguere in questa fase l’azione sindacale da quella partitica (A.
Pepe, O. Bianchi, P. Neglie, La CGdL e lo Stato autoritario, In: A. Pepe (a cura di), Storia del sindacato in Italia nel ‘900. Vol. II, Roma, Ediesse, 1999, 303 e G. Noiriel,
Longwy. Immigrés et prolétaires 1880-1980, Paris, Presses Universitaires de France, 1984, 263).
Molto differente era l’approccio dei rappresentanti della CGT, che, tra il 1924 e il 1925, ottenne alcuni positivi risultati nel bacino di Briey. I dirigenti della CGT locale chiarirono fin da
principio che gli italiani, così come gli altri stranieri, si sarebbero potuti occupare di questioni salariali, dell’igiene delle abitazioni, del rispetto delle legge sulle 8 ore, mentre non era
loro concesso di svolgere attività politica all’interno del sindacato (Cfr. Rapport N. 28 du 5 janvier 1925 par le Commissaire Spécial de Briey au Préfet de Meurthe-et-Moselle, ADMM 10 M 122).