Storicamente. Laboratorio di storia

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Luca Falciola, "Il movimento del 1977 in Italia"

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Luca Falciola, “Il movimento del 1977 in Italia”, Roma, Carocci, 2015, 270 pp.

«Non esisterà uno storico, non tollereremo che esista uno storico, che […] ricostruisca i fatti, innestandosi sul nostro silenzio, silenzio ininterrotto, interminabile, rabbiosamente estraneo», è la dura avvertenza che apriva uno dei libri più importanti prodotti dal movimento del Settantasette (Bologna, marzo '77… fatti nostri). Del resto, pare proprio che la natura intrinsecamente sfuggente del movimento stesso, dal punto di vista storiografico, renda comunque quanto mai complicato ricostruirne un quadro analitico e narrativo coerente. Ne è ben consapevole Luca Falciola, che esordisce in questo volume evocando «un caleidoscopio di immagini e una babele di parole. Un mosaico di cui non si riescono a ricomporre le tessere» (10). Un labirinto insomma di connessioni, linguaggi, rappresentazioni in cui è facile perdersi; senza contare, ricorda inoltre l'autore, che nella poca letteratura storiografica sul Settantasette risulta ancora insufficiente il fondamentale confronto con le fonti da un lato, col contesto sociale e politico più ampio dall'altro.

È appunto in questa doppia direzione che si muove la ricerca, innanzitutto valorizzando ambiti documentari di varia natura, dalla stampa agli archivi istituzionali e no, a fondi inediti di intellettuali e attivisti. Ma anche dedicando ampio spazio al più vasto scenario economico, politico e sociale dell'Italia di quegli anni; nonché ponendosi l'obiettivo di restituire, su questa duplice base, importanti squarci di cultura politica del movimento, organizzati sul piano espositivo per ambiti tematici più che per "famiglie" ideologiche. Il risultato è un libro senza dubbio importante, un'analisi complessa e a tratti brillante, un'opera che ancora mancava – insomma – nella storiografia sul Settantasette.

Dopo un'ampia parte dedicata alle «crisi» dell'economia e del lavoro negli anni settanta, ma anche al declino dei gruppi di "nuova sinistra" e alla caduta verticale della fiducia diffusa verso istituzioni sempre più screditate, l'attenzione dell'autore si rivolge ad alcuni importanti effetti che tale involuzione sistemica ebbe sul modo in cui la generazione di metà anni settanta guardò al lavoro, al mito della rivoluzione, ai saperi e all'università, alla vita quotidiana e ai consumi. Se in certe analisi quest'ultimo aspetto (il celebre «diritto al caviale», per intenderci), e più in generale la nuova centralità dei bisogni e desideri soggettivi, sono stati sussunti in un troppo facile "individualismo" anticipatore degli anni ottanta, occorre ammettere che qualche indulgenza verso tale opinabile tendenza interpretativa non manca neppure in questa ricerca, che a volte dà l'impressione di considerare interscambiabili individuo e soggetto.

Ai drammatici rapporti fra Pci e movimento, com'è logico, l'autore dedica pagine particolarmente attente (anche se, data l'assoluta rilevanza del tema, avrebbero potuto forse essere ancora più ampie). Mentre il movimento considerava il partito come la «nuova polizia», un misto di socialdemocrazia alla Noske e stalinismo alla Berija, il partito di Berlinguer, dal canto suo, non risparmiava ai giovani del Settantasette le qualifiche di «squadristi», agenti delle forze reazionarie, fino a definire Francesco Lorusso «un nostro nemico», come fece Amendola poco dopo l'omicidio dello studente bolognese (149). Pur sfuggendo opportunamente per tutto il libro alla caricatura interpretativa degli «anni di piombo», l'autore non manca di affrontare in dettaglio il nodo forse più complesso di tutti, quello della violenza, dedicando gli ultimi due capitoli alla violenza politica, appunto, e alla repressione. Da un lato, si esaminano quindi le varie forme di violenza agìta dal movimento, i discorsi che la invocano bellicosamente o quelli che invece – anche in relazione all'evoluzione degli eventi concreti – si impegnano in difficili distinzioni. Dall'altro, sotto analisi è la repressione sferrata dagli apparati statali nei confronti dei contestatori, in base a un principio assoluto di difesa della «legalità» mai storicamente così confuso (anche per la scelta strategica del Pci di schierarsi acriticamente a baluardo dello Stato). Peccato però che, a conclusione di una lettura tanto articolata, l'autore pervenga ad affermazioni forse eccessivamente schematiche, come quando dichiara di individuare la causa efficiente dell'escalation violenta del Settantasette nella sua «predisposizione» ideologica, mentre i «fattori istituzionali (criminalizzazione e repressione)» avrebbero avuto una «influenza solo secondaria» (258).

È solo un esempio di alcuni – pochi – esiti interpretativi probabilmente un po' troppo affrettati; e magari anche inevitabili, in un'opera che per la prima volta si pone l'obiettivo di giungere a un'ampia sistematizzazione di materia così complessa. Elementi che non impediscono comunque di considerare questa ricerca un'opera con la quale, ragionando seriamente del movimento del Settantasette, fare d'ora in poi i conti.