Intervento di Vittorio Emanuele Orlando sulla famiglia – 23 aprile 1947
«Ma a che cosa serve, quale fine speciale ed essenziale può avere questo titolo secondo, che abbonda di definizioni? E qui mi si consenta un piccolo fatto personale. Perché in quel mio discorso dissi che non comprendevo perché la famiglia si chiamasse una società naturale, dal momento che tutto è naturale a questo mondo, mi risposero ben tre oratori. Non so se ce ne sarà un quarto, giacché vedo un emendamento dell’onorevole Bosco, e non so se anch’egli allora abbia parlato. Ma, ad ogni modo, vi furono tre oratori valorosi: l’onorevole La Pira, l’onorevole Dossetti e l’onorevole Benvenuti, i quali tutti e tre corsero alla difesa di quella definizione. Non mi pare, però, che appartenessero a settori diversi: appartenevano tutti allo stesso settore, il che potrebbe avere un suo significato. E mi dissero: «Adagio, prima di «naturale» dev’essere sottinteso «di diritto»; la famiglia, dunque, è una società di diritto naturale. Ma siccome questa parola non c’era scritta, vuol dire che avevo ragione io, e che quella espressione era, per lo meno, incompleta. L’aggiunta, dunque, che così vi si apporta, giustifica il rilievo da me fatto, proponendosi di specificare la portata della definizione. Sennonché (è il caso di richiamar qui un motto veneziano, che io non so ripetere — non ho la dolce loquela di quella nostra Venezia triplicemente cara, cioè: «pezo el tacon del buso»), anche a farvi entrare il diritto naturale, dubito forte che la definizione ne esca in qualche modo migliorata. Finora ho saputo — se non sbaglio, ma può darsi che sbagli — che quella del diritto naturale è una scuola filosofica, è una teoria filosofica; è stata illustre e non si può dire tramontata, sebbene presenti delle varianti notevoli, perché c’è un «ius naturale» di San Tommaso, ma ce n’è pure uno di Gian Giacomo Rousseau.Domando, ad ogni modo, qualunque ne sia il significato: dobbiamo in una Costituzione fare una professione di fede filosofica? Non è possibile che qui non ci siano dei positivisti, degli hegeliani, dei kantiani, dei marxisti, ed essi mostrerebbero davvero una grande longanimità, dato che i filosofi tra loro molto non si amino, a lasciare che la Costituzione in Italia adotti una determinata scuola filosofica.
Se l’acutissimo e solertissimo onorevole Togliatti (dato che sia vero — io non lo so — che molte di queste disposizioni siano state concretate in forma di reciproco scambio) se l’onorevole Togliatti ha consentito che si adotti un principio della scuola filosofica di diritto naturale in un testo costituzionale, in cambio di una qualche altra cosa, credo che egli abbia inteso concedere il fumo e riservarsi l’arrosto. Pur tuttavia, resta sempre inspiegabile come mai una Costituzione faccia professione di una fede filosofica.
Altri dicono — c’è, infatti, un altro emendamento —: noi intendiamo affermare che «la famiglia è una società o un istituto originario». Ebbene, a questa definizione, sì, aderisco; ma dico: a che giova?
D’altra parte, perché l’«originarietà» volete limitarla alla famiglia? La famiglia, indubbiamente, è un istituto originario, ossia che precede lo Stato; ma ci sono anche altri istituti che lo precedono; per esempio, il comune, la città. Nessuno penserà che Roma esiste, perché la Costituzione italiana la riconosce, e quello che si dice di Roma si può dire di qualunque comune: forme di vita collettiva, che sorgono naturalmente, originariamente. Lo Stato le disciplina, ma non le crea; esse dunque sono originarie.
Di queste stesse «regioni», che creiamo, talune — non tutte, forse — hanno una radice, indubbiamente, originaria; ossia, nel tempo precedono lo Stato.
Ci sono poi istituzioni originarie dentro lo Stato, e ce ne sono di quelle al di fuori, al di là dello Stato: così, la religione eccede lo Stato, territorialmente; così la razza (e di una politica che la concerne, abbiamo ben sentito i dolori!).
A che serve, dunque, il dire che la famiglia è originaria? Lo volete dire? ditelo; ma è inutile.»