Il processo rivoluzionario russo è generalmente analizzato, come fa con estrema chiarezza Bombacci, in due fasi: il febbraio è la fase borghese, l’ottobre la fase comunista.
Questa lettura introduce due questioni di notevole rilevanza. La prima è di stampo teorico: la relazione tra ciò che la Rivoluzione russa fu e ciò che avrebbe dovuto essere secondo la formulazione
marxiana. La seconda è di stampo politico: la relazione tra la consapevolezza di Lenin di non aver seguito alla lettera Marx e di averlo superato e la necessità di esportare un modello fattibile e
vittorioso di rivoluzione comunista nell’Europa del primo dopoguerra.
Quella di Bombacci sarebbe, dunque, la lettura “classica” della rivoluzione russa (e socialista). La Russia zarista dell’inizio del 1917 per poter fare la rivoluzione socialista doveva passare per una rivoluzione borghese (il corrispettivo del 1789 francese, appunto) se voleva essere fedele alla definizione di Marx. In ambito internazionale la critica a tale interpretazione “classica” fu precoce. Si pensi a Kautsky, da un punto di vista socialdemocratico, e a Pannekoek e Gorter da un punto di vista di estrema sinistra comunista. Di nuovo, ritorna potentemente la questione del superamento del metodo secondinternazionalista e, allo stesso tempo, del rapporto col passato, insieme alla interpretazione bolscevica che «la rivoluzione in Europa dovrebbe dunque seguire lo stesso corso [di quella russa], obbedendo agli stessi principi fondamentali» [Spriano, Storia del Partito Comunista Italiano. 1. Da Bordiga a Gramsci, cit., 20-21].
Quella di Bombacci sarebbe, dunque, la lettura “classica” della rivoluzione russa (e socialista). La Russia zarista dell’inizio del 1917 per poter fare la rivoluzione socialista doveva passare per una rivoluzione borghese (il corrispettivo del 1789 francese, appunto) se voleva essere fedele alla definizione di Marx. In ambito internazionale la critica a tale interpretazione “classica” fu precoce. Si pensi a Kautsky, da un punto di vista socialdemocratico, e a Pannekoek e Gorter da un punto di vista di estrema sinistra comunista. Di nuovo, ritorna potentemente la questione del superamento del metodo secondinternazionalista e, allo stesso tempo, del rapporto col passato, insieme alla interpretazione bolscevica che «la rivoluzione in Europa dovrebbe dunque seguire lo stesso corso [di quella russa], obbedendo agli stessi principi fondamentali» [Spriano, Storia del Partito Comunista Italiano. 1. Da Bordiga a Gramsci, cit., 20-21].