Nel “biennio rosso” una delle questioni chiave fu l’attuabilità della Rivoluzione russa in Italia (il mimetismo del modello bolscevico, come lo chiamano i critici).
Imprescindibile a tale scopo era dunque una interpretazione del processo rivoluzionario russo. V. Romitelli, nello studio della storia della politica italiana, individua quattro eventi
difficilmente realizzabili che rendono possibile la prima Rivoluzione vittoriosa: la presa del Palazzo d’Inverno da parte dei bolscevichi; la permanenza al potere del nuovo governo guidato da
Lenin; la pace di Brest-Litowsk voluta fortemente dai bolscevichi; l’idea e la realizzazione della Terza Internazionale, che “sancisce il chiudersi dell’epoca delle rivoluzioni tentate e l’aprirsi
dell’epoca delle “rivoluzioni vittoriose” avente la Russia sovietica come modello e come patria” [V. Romitelli, M. Degli Esposti, Quando si è fatto politica in Italia? Storia di situazioni
pubbliche, Catanzaro, Rubbettino, 2001, 212]. Questo paradigma di accesso alla politica apre tre problemi di notevole entità per chi tenta di assumerlo: un problema di ordine militare,
concernente l’azione insurrezionale; un problema legato alle immediate trattative di pace concluse dai bolscevichi nel marzo 1918; un problema concernente la realtà e la propaganda della
Rivoluzione russa (non è provato che la direzione politica dello Stato derivi da forme di autorganizzazione operaia dopo l’Ottobre). Il “fare come in Russia” sarebbe in realtà un
rebus complicatissimo: «voler tentare un’operazione militare d’assalto e a sorpresa, capace di dare al paese una pace tramite una nuova forma di Stato fondata sull’autorganizzazione
operaia» [Romitelli, Degli Esposti, Quando si è fatto politica in Italia? Storia di situazioni pubbliche, cit., 215]. Risulta dunque evidente la estrema difficoltà per i rivoluzionari
italiani ed europei del primo dopoguerra della fedele messa in pratica dell’archetipo di riferimento.