La concezione bordighiana del partito e della politica si manifestò nei suoi elementi essenziali dopo il XVI Congresso Nazionale del PSI (Bologna, ottobre 1919), quando la
critica di Bordiga si spostò dalla destra riformista alla maggioranza massimalista del PSI, considerato un partito incapace di trasformarsi e di fare la rivoluzione sul modello bolscevico. La
preminenza del partito e della politica in Bordiga è, secondo la storiografia di tradizione gramsciana, una forzatura estrema che porta a una considerazione subalterna del ruolo del sindacato, ad
una sottovalutazione delle masse come soggetti autonomi e coscienti e ad una distinzione della politica dall’economia. La priorità della politica e del partito si risolverebbe in semplice
propaganda e sviluppo della coscienza socialista, nello stile della II Internazionale, e non sarebbe affatto la cosiddetta appropriazione leninista di Bordiga. F. De Felice, ad esempio,
nell’attribuzione bordighiana al partito di compiti fondamentali nella rivoluzione vede soprattutto «una costruzione dottrinaria» e «una confusione tra partito che guida e le masse che fanno la
rivoluzione». [De Felice, Serrati, Bordiga, Gramsci e il problema della rivoluzione in Italia, 1919-1920, cit., 154, 156].