Il filo rosso dell’elaborazione serratiana, allo stesso tempo forza e limite, era «il suo porsi costantemente dal punto di vista della classe» assunta come «una realtà
prepolitica», la sua «aderenza profonda alle masse» che aveva già in nuce «l’eclettismo e la tendenza serratiana al compromesso» e quella concezione dell’unitarismo come criterio di
interpretazione della storia socialista, contrassegnato dall’intransigenza di classe e dal rifiuto della collaborazione. Il marxismo serratiano prese dunque una via nettamente pedagogica, optando
per una «operazione di innesto [ed allo stesso tempo] di trasformazione e recupero della continuità». Per dirla, ancora una volta, con le parole di De Felice, quella di Serrati era «una concezione
della rivoluzione, dell’organizzazione e del ruolo del partito strettamente secondinternazionalista» che si rivolgeva sempre al passato «sia come difesa, valorizzazione e sviluppo dell’originalità
di una tradizione, sia come individuazione nel passato di criteri di orientamento per il presente» [De Felice, Serrati, Bordiga, Gramsci e il problema della rivoluzione in Italia,
1919-1920, cit., 45, 52, 72].