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Jean-Noël Allard, “La Cité du rire”

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Jean-Noël Allard, La Cité du rire. Politique et dérision dans l’Athènes classique. Paris: Les Belles Lettres, 2021. 472 pp.

Jean-Noël Allard anima lo spazio politico dell’Atene democratica attraverso l’analisi delle implicazioni e delle finalità della derisione – fattore strutturale ed elemento pervasivo, socialmente costruito e istituzionalizzato – in una tensione tra consenso e moti di dissenso, contraltare e deterrente delle frizioni tra le parti contro il rischio della stasis.

L’approccio “transdisciplinare” di Allard matura una tradizione metodologica che riprende l’antropologia, la sociologia di Pierre Bourdieu e il concetto di “spazio pubblico” di Habermas (1993): la derisione pertiene alla pratica sociale, specchio di un orizzonte di pensiero collettivo, e presenta uno statuto ontologico non definito, deducibile dalla sua fenomenologia.

Il primo capitolo, Conceptions grecques de la dérision (pp. 35-68), riconduce il vocabolario del riso alla sfera semantica del conflitto. In Platone la derisione delegittima l’ignoranza e l’invidia come antitetiche al governo dei filosofi. In Aristotele trapelano tanto il potenziale disgregante della derisione, quanto l’aspetto coesivo e funzionale ai rapporti sociali. In Senofonte il concetto parrebbe applicarsi a una dinamica risolutiva del conflitto: nella Ciropedia, il senso dell’umorismo costituisce una qualità politica del sovrano, la cui filantropia traspare dalla tolleranza della derisione, che tuttavia dissimula soltanto la disuguaglianza nei rapporti di potere.

Attraverso una ricognizione giuridico-letteraria della derisione nell’oratoria giudiziaria, il secondo capitolo, Litiges judiciaires et dérision (pp. 69-96), rileva una situazione paradossale nella violenza triviale che emerge dell’applicazione di procedure d’accusa che rivelano in seno al corpo sociale una serie di contrasti e suscitano nei giudici, che rappresentano l’affermazione del diritto democratico sulle dinamiche partigiane, un sentimento di disapprovazione. La mancanza di un inquadramento giuridico specifico e l’eccezionalità dei provvedimenti in questo senso, come nel caso della parodia dei misteri eleusini del 415, sembrerebbe però mettere in discussione la percezione di una effettiva pericolosità della derisione per l’equilibrio sociale.

Il terzo capitolo, La censure des pratiques de dérision (pp. 97-123), evidenzia, attraverso riferimenti puntuali al contesto storico-politico, la parallela eccezionalità e circostanzialità nei provvedimenti di censura della derisione nel contesto deliberativo o teatrale, come nel caso dell’intervento di Cleone dopo la rappresentazione dei Babilonesi nel 426, due anni dopo la rivolta di Mitilene: la tematica del dramma implicava una riflessione sul trattamento degli alleati dell’Atene egemone e poteva suscitare ulteriori velleità di indipendenza. Inquadrando nell’ottica democratica il concetto di libertà di parola come autonomia intellettuale derivante da un’attitudine critica e coerente alla morale comune, il ricorso da parte degli oratori a espressioni derisorie anche violente si giustifica sulla base di un’utilità retorica ideologicamente riconosciuta, che esclude la possibilità di un condizionamento della libertà d’espressione.

Rilevata la dipendenza della derisione dalle strutture sociali e culturali cittadine, il quarto capitolo, Les usages de la dérision à l’Assemblée et dans les tribunaux (pp. 125-160), si concentra sulla dimensione pragmatica della derisione, considerando la formalizzazione della retorica nella trattazione aristotelica e nella Retorica ad Alessandro. La riconosciuta funzionalità delle allusioni dispregiative in tribunale corrisponde alla presenza di sanzioni in Assemblea: nel contesto democratico ateniese l’inimicizia assurge a una dimensione socialmente riconosciuta. Dalla presenza di sezioni dedicate all’interno dei trattati di retorica si evince una “canonizzazione” dei procedimenti derisori, che produce rappresentazioni condivise e finalizzate al controllo sociale.

La fabrique de la dérision judiciaire (pp. 163-224), oggetto del quinto capitolo, rileva l’interconnessione tra il contesto dell’enunciazione e il «cadre culturel» (p. 164) in cui essa risultava efficace attraverso il ricorso a luoghi comuni radicati in un’opinione pubblica che si nutre di spunti pluridirezionali e comprensibili in quel preciso orizzonte di pensiero. Individuando nelle forme della retorica giudiziaria una serie di “caratteri” riconducibili a modelli della commedia e aspetti della vita privata o familiare percepiti come indegni della vita politica, Allard identifica per opposizione il serbatoio culturale che permette l’efficacia comunicativa degli attacchi derisori.

La didactique démocratique de la dérision comique (pp. 227-288) prende le mosse dalla prospettiva critica brechtiana, che si oppone a una lettura depoliticizzata della commedia, individuando nell’intrattenimento popolare una funzione civica, educativa della sovranità popolare: in una «culture de la performance» (p. 282) il discorso comico costituisce una modalità di riflessione critica fondamentale per la presa di coscienza del ruolo fondamentale della platea nell’esercizio della giustizia democratica attraverso procedimenti retorici (la paratragedia), che costituiscono il «bagage critique» (p. 288) di una coscienza civica condivisa.

Il settimo capitolo, Les enjeux de la dérision des hommes politiques (pp. 289-323), mostra come la derisione non rappresenti uno strumento rivoluzionario, bensì conservatore: la derisione dei politici costituisce un prodotto istituzionalizzato, in cui viene messo in discussione ciò che rappresenta interessi contrari alla democrazia. Una «obsession comique» per il potere di Pericle si spiega allora come «inquiétude dèmocratique» (p. 295) che dipende dalle opzioni politiche che rappresenta. Di conseguenza, il giudizio della popolazione condiziona le scelte della classe dirigente, garantendo la stabilità delle istituzioni democratiche e la centralità dell’interesse della città (p. 318).

L’ottavo capitolo, Le pouvoir du peuple par la dérision (pp. 325-369), identifica nella derisione un ordine naturale rappresentativo di un capitale socio-economico e culturale simbolico nella messa in scena dei rapporti di forza che strutturano la società. Tale dinamica perdura nella storia del genere comico e si rispecchia nella riconosciuta importanza dell’ostracismo, e nell’esistenza di graffiti sui muri. La straordinaria tolleranza nei confronti di un linguaggio offensivo costituisce l’effetto di un discorso simbolico soggiacente, amplificato dall’applicazione allo spazio pubblico.

In Régulation sociale et dérision (pp. 370-408) le potenziali conseguenze della derisione sono individuate come azioni contrarie alle norme sociali o come causa di deragliamento dell’ordine. Attraverso l’analisi della polarizzazione dell’elemento femminile nella messa in scena delle pratiche derisorie, le tensioni sociali sottese all’ordine democratico vengono drammatizzate per ottenere un effetto socialmente uniformante. Il teatro comico e le pratiche rituali, operando un ribaltamento “carnevalesco”, costituirebbero il precedente “catartico” di un inquadramento della derisione nell’istituzionalizzazione della coscienza civica.

La contestualizzazione della derisione politica nella sfera delle passioni costituisce un tema di notevole interesse, che poggia sulla tradizione aristotelica e peripatetica. L’attenta analisi del repertorio delle fonti e di quello storiografico conferisce una prospettiva esegetica innovativa e orientata a ulteriori sviluppi nello studio della filosofia politica della Grecia antica, poiché rileva uno «structuralisme des passions» (p. 414) che si connette all’ideologia democratica attraverso i “media comunicativi” e i procedimenti retorico-stilistici approvati dalle istituzioni nell’orizzonte culturale.