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Valentine Lomellini, “Il «lodo Moro»”

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Valentine Lomellini, Il «lodo Moro». Terrorismo e ragion di Stato 1969-1986. Roma-Bari: Laterza, 2022. 224 pp.

Il “lodo Moro” è un accordo evocato che rimanda a un modus vivendi dell’Italia con i palestinesi e, in subordine, con il mondo arabo. Non si tratta di un trattato diplomatico divulgato e controfirmato dai contraenti. Non a caso, il titolo del libro è tra virgolette per rimarcarne l’informalità. A queste condizioni non è semplice individuare un terminus a quo, ma forse un po’ più intuitivamente se ne può delineare la conclusione. Siamo nell’arcana imperii, nel cuore degli anni Settanta, e questa vicenda si inserisce appieno nella ragnatela degli altri segreti del potere che caratterizzano il decennio.

Al tempo però l’espressione “lodo Moro” non esisteva, ma vigeva una linea di politica estera filo araba che era il frutto di questo accordo. A richiamare in termini espliciti il “lodo Moro” è il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga in due circostanze: nel 2005 in una lettera al deputato di Alleanza nazionale Enzo Fragalà e, in forma pubblica, nel 2008 dalle pagine del Corriere della Sera. Con ambigua finalità, lo statista democristiano aveva lanciato un richiamo al lodo per collegare la strage di Bologna del 2 agosto 1980 a un mancato rispetto italiano degli accordi con i palestinesi (non fosse che le indagini accantonano l’attendibilità di questa ipotesi) attribuendo al solo Aldo Moro la responsabilità di un accordo che, a posteriori, Cossiga sembra giudicare come scellerato.

Il “lodo Moro”, posto in questi termini sulla scena pubblica, assume un carattere dirimente, specialmente se piegato a essere letto come aiuto italiano al terrorismo palestinese sul quale si inserisce la collusione con le Brigate rosse, aspetto già rimarcato negli anni precedenti, prima delle esternazioni di Cossiga e facile appetito di speculazioni.

Il lavoro di Valentine Lomellini copre una falla della ricerca storica su un delicato tema di uso pubblico. Lo spettro archivistico con il quale è costruito il libro è ampio, a partire dalle fonti estere delle diplomazie tedesche, inglesi, francesi passando per le carte della Cia e per gli archivi italiani tra i quali si segnalano i documenti della Divisione affari riservati conservati all’Archivio centrale dello Stato. Quest’ultima annotazione non avvalora soltanto un elenco di fonti, ma permette di rivelare che i responsabili della strategia della tensione, fra gli altri Silvano Russomanno (che gestì i giorni successivi alla strage di Piazza Fontana), sono gli stessi che operano sullo scenario internazionale.

È lecito allora parlare di “lodo Moro”? Diverse indicazioni portano a lui come ispiratore di una politica vicina ai paesi arabi che il leader democristiano espone in una delle sue acrobatiche quanto temperate formule: “equidistanza con comprensione verso gli arabi”. Merito del testo è però quello di non soffermarsi sul solo Aldo Moro, ma di leggere la politica sostanzialmente filo araba dei nostri governi come una linea condivisa dalla classe dirigente arrivando a coinvolgere nei momenti chiave Giulio Andreotti (inizialmente filo israeliano) e Bettino Craxi. L’autrice sottolinea come più che di “lodo Moro” si debba parlare di “lodo Italia” dal momento che la condivisione della linea verso il Medio Oriente è ampia e prosegue anche dopo la morte del leader democristiano.

Il governo italiano persegue una linea modulabile, sul principio del lodo, anche con la Libia che, nel dicembre 1976, sottoscrivendo nuove azioni, irrora le finanze della Fiat. Del Paese arabo il governo apprezza anche il mancato sostegno al terrorismo rosso e, nello stesso 1976, c’è anche una visita del presidente del Consiglio Andreotti a Tripoli. Ciò determina, da parte dell’Italia, una linea morbida nei confronti della Libia anche quando, negli anni Ottanta Gheddafi, in chiave antistatunitense, ricorre ad azioni di terrorismo internazionale come l’attentato alla discoteca La Belle di Berlino Ovest nell’aprile del 1986. La condivisione dell’area mediterranea e un interesse reciproco di Italia e Libia agli scambi commerciali pongono il nostro governo, come quello francese, in una prospettiva distante dalle risposte militari poi effettuate dagli Stati Uniti che agiscono nonostante il parere scettico dei partner europei, preoccupati, inoltre, da un possibile scivolamento della Libia verso l’Unione Sovietica, assetto che aggraverebbe la gestione delle relazioni. Negoziazione continua e cambio di interlocutori sono uno dei tratti del lodo che è anche espressione di una più lunga linea di politica estera del nostro Paese.