Storicamente. Laboratorio di storia

Dossier

Sacrificio, vendetta, giustizia: Carlo I e il regicidio nella letteratura rivoluzionaria inglese negli anni delle guerre civili

PDF
Abstract

The execution of Charles I Stuart on January 30, 1649, quickly came to be known throughout Europe: for the first time in England history, a king formally in charge had been put to death. Justifying such a decision became a fundamental task for the Parliamentarians. This paper aims to show that classical resistance theories were merged with a language and concepts belonging to the category of religious sacrifice in revolutionary literature. Such a blend between human justice and sacrifice was indeed one of the strategies to justify the execution of Charles I.

Introduzione

Nel diritto pubblico […] il quarto atto di giustizia […] è la rinuncia all’alleanza con un popolo di cui si ha motivo di lamentarsi. Questa pena corrisponde a quella della messa al bando, che i tribunali hanno stabilito per estromettere i colpevoli dalla società. Così un sovrano, alla cui alleanza rinunciamo, è escluso dalla nostra società, e non è più uno dei membri che la compongono. Non si può fare affronto più grave a un sovrano che rinunciare alla sua alleanza (Montesquieu 2020, 162-3).

Difficile dire se, scrivendo queste righe, Montesquieu avesse voluto fare riferimento al più celebre esempio di un popolo che rinunciò all’alleanza con il proprio sovrano. Ma si può supporre che avesse ben in mente questo esempio, vale a dire l’esecuzione di Carlo I, re d’Inghilterra, Scozia e Irlanda, avvenuta il 30 gennaio 1649. Dopotutto i «santi rivoluzionari» (Walzer 1996) non solo condannarono al patibolo un re ancora formalmente detentore della sua autorità sovrana per la prima volta nella storia inglese, mettendo così fine al suo «corpo naturale»; ma colpirono anche, almeno temporaneamente, il suo «corpo spirituale» (Kantorowicz 1989), mettendo fine al potere monarchico e inaugurando il Commonwealth d’Inghilterra o Repubblica Inglese. Di qui sia l’eco internazionale che ricevette la notizia della decapitazione pubblica di Carlo I sia il culto del re martire sorto all’indomani dell’esecuzione [1].

La storiografia ha ampiamente analizzato le procedure legali e giuridiche che condussero all’esecuzione del re [2]. Molta attenzione è stata prestata anche al ruolo svolto dalle forme più radicali del puritanesimo inglese, che contribuirono largamente alla deposizione e all’esecuzione di Carlo I (Lowenstein 2004, 6). I rivoluzionari fecero ampio riferimento alle teorie di resistenza cinquecentesche e seicentesche, prodotte sia in ambito cattolico che protestante, riadattandole al loro caso [3]. Ad esempio, le famose Vindiciae contra tyrannos vennero tradotte e pubblicate a Londra nel 1648 (Hubert 1648). La maggior parte dei sostenitori della causa rivoluzionaria si appellò alla dottrina secondo cui Dio avrebbe conferito il mandato di governare sia ai magistrati superiori sia a quelli inferiori: nel caso in cui i primi avessero abusato del loro mandato, i secondi avrebbero potuto legittimamente resistergli. D’altra parte, tra le frangi del cosiddetto “puritanesimo radicale” non mancarono coloro che difesero la legittimità della ribellione diretta da parte del popolo. Autori come il livellatore John Lilburne e Gerrard Winstanley, futuro portavoce del movimento dei diggers, argomentarono che Dio aveva conferito il potere sovrano al popolo e a questo ritornava ogni volta che un monarca si rendeva tiranno, rompendo il patto instaurato coi cittadini. In tal caso il popolo poteva legittimamente resistere al sovrano oramai decaduto (Lowenstein 2004, 8, 11, 17-91). Ma che la resistenza fosse condotta dai magistrati inferiori o direttamente dal popolo, una ribellione assumeva carattere di legittimità se e solo se l’autorità monarchica fosse degenerata in una tirannia. Compito fondamentale della letteratura rivoluzionaria negli anni delle guerre civili divenne allora convincere il pubblico inglese che il regno di Carlo I fosse divenuto un regime tirannico, contro cui la resistenza era legittima. Di qui un aspetto fondamentale di questa letteratura che tuttavia sembra aver ricevuto ben poca attenzione nella storiografia: l’accusa mossa al re di essersi macchiato del reato di blood guilt, ossia d’aver versato sangue innocente [4]. Inoltre, ancor meno attenzione è stata prestata a quella che può essere definita come la categoria a fondamento di ogni religione: il sacrificio [5]. Scopo di questo articolo è quindi mostrare come la categoria religiosa del sacrificio – con l’insieme di concetti che essa comprende, quali l’idea di colpa, di ira divina, di vendetta, di espiazione e di purificazione – sia costantemente presente nella panflettistica degli oppositori di Carlo I. L’analisi si sofferma in particolare su due testi pubblicati da John Cook, l’avvocato che fu incaricato della pubblica accusa durante il processo del re. Pur continuando a far ricorso a quel linguaggio tipico della sfera sacrificale, nel giustificare il tirannicidio Cook sembrò discostarsi in parte dall’immaginario religioso e condurre il suo discorso in un quadro giuridico e politico. La conclusione intende quindi offrire due ipotesi di ricerca. La prima riguarda la nozione di sacrificio presente nella letteratura rivoluzionaria. Introducendo il concetto di epithusia, ossia l’idea di un sacrificio in grado di porre fine ad un ciclo di violenze e di ristabilire l’ordine, e facendo riferimento ad alcune tragedie inglesi basate sulla mitologia ellenica, si argomenta che la tradizione sacrificale greca sembra utile per spiegare alcuni elementi dell’immaginario sacrificale usato dai santi rivoluzionari. La seconda questione intende invece porre in relazione il concetto di sacrificio di religioso con la necessità di giustizia secolare. Infatti, i rivoluzionari fecero propri il linguaggio e i concetti della categoria del sacrificio per utilizzarli in sinergia con le dottrine di resistenza al tiranno. Di qui sembra possibile ipotizzare un’integrazione della categoria del sacro nel discorso rivoluzionario, volta a dare maggiore legittimità ad un evento che non aveva precedenti giuridici, l’esecuzione di un monarca non ancora detronizzato.

Tra sacrificio e giustizia: colpa e peccato
nella letteratura rivoluzionaria

Il 27 gennaio 1649, tre giorni prima dell’esecuzione, John Bradshaw, presidente dell’Alta Corte di Giustizia nominata appositamente dal Rump Parliament per processare il re, tenne un lungo discorso rivolto a Carlo I, in cui un linguaggio proprio della categoria del sacrificio gioca un ruolo primario:

Signore, supporrò che lei conosca così bene la Scrittura da sapere che cosa Dio stesso abbia detto riguardo al versare il sangue umano; Gen. 9 e Num. 35 le sveleranno quale sia la punizione e di che cosa questa Corte è consapevole a nome dell’intero reame, di quel sangue innocente che è stato versato, di cui la terra è ancora macchiata, contaminata da quel sangue, e così come si dice nel testo, «non può essere purificata in alcun modo se non versando il sangue di colui che ha versato questo sangue» [6]. Signore, non siamo a conoscenza di alcuna dispensa da questo sangue in quel comandamento, «Non uccidere» […] In verità spero che tutti noi abbiano di fronte ai nostri occhi […] quel Dio che è vendicatore del sangue innocente […] quel Dio che maledice coloro che trattengono le loro mani dal versare il sangue nel caso di criminali colpevoli che meritano la morte [7].

Questo estratto sembra di per sé sufficiente per confermare quanto detto sopra: la giustificazione della ribellione, e in questo caso specifico del processo intentato a Carlo I, si fondò sul reato di sangue (blood guilt), «quel sangue innocente che è stato versato» come disse Bradshaw. Fu questa la causa per cui Carlo I poté essere considerato alla stregua di un tiranno contro il quale era possibile resistere. Ma nel discorso di Bradshaw è altresì evidente che questa colpa non si configurava meramente come un reato giuridico, ma anche come un peccato religioso: solo in questo modo si può spiegare la retorica della macchia e della contaminazione che richiedono una purificazione. E così, se da una parte il reato di sangue richiede una punizione, dall’altra tale punizione deve essere tale da purificare questa colpa-peccato e placare l’ira divina. Questi riferimenti alle immagini del Dio vendicatore e del peccato che necessita una espiazione – proprie di un linguaggio legato alla categoria del sacrificio – non devono stupire: nel corso del processo intentato al re Bradshaw stava infatti richiamando idee e immagini ben presenti nella cultura inglese di quel periodo, dal momento che sin dagli inizi della prima guerra civile esse avevano pervaso i sermoni, i discorsi e i pamphlet dei rivoluzionari – sia dei moderati che dei radicali.

Edward Bowels, ministro presbiteriano, si oppose alle negoziazioni di pace tra re e parlamento nel 1643, ritendendo che tale pace non avrebbe “espiato” il reato di sangue commesso dal re: «come può questa conciliazione ripulire il Paese dal sangue, da questo peccato che grida vendetta […] Dio non renderà questa conciliazione un successo senza l’attuazione della giustizia contro questi uomini assetati di sangue». Poche righe dopo, aggiunge di temere che Dio si sarebbe vendicato sul Parlamento stesso, se questo non avesse fatto di tutto per «pulirsi le mani e ripulire il paese da questo sangue innocente e prezioso che è stato versato» [8]. Il termine chiave in Bowels è «peccato»: l’aver versato «sangue innocente» non si configura come un semplice reato giuridico, ma anche e soprattutto come un peccato che richiede una espiazione e purificazione. Affermazioni simili sono presenti anche in un catechismo pubblicato nel 1644 e rivolto ai soldati dell’esercito parlamentare. Questo metteva in risalto come i realisti non fossero solo nemici del popolo, ma anche nemici di Dio, soldati dell’Anticristo, contro i quali era Dio stesso a chiamare i soldati fedeli al Parlamento. Questi avrebbero quindi dovuto vendicare il sangue dei santi confratelli [9]. Nel giugno del 1645 l’Assemblea Generale della Chiesa di Scozia invitò pubblicamente il re a pentirsi delle sue colpe, tra le quali il reato-peccato di sangue risultava prominente: «Sua Maestà, la colpa che è saldamente legata a voi e al vostro trono è tale che […] se non ci si pente prontamente, non può che porre sua Maestà stessa e i suoi discendenti sotto la rabbia del Dio eterno, essendo colpevole di aver versato il sangue di migliaia dei vostri migliori sudditi» [10]. Da questo pentimento sarebbe seguita «una benedizione», perché il re avrebbe ritrovato «il favore di Dio, del vostro popolo e di tutte le chiese di Cristo» [11]. Va qui sottolineato che il termine inglese blessing include anche il concetto di “favore” nella sua area semantica. E se per la chiesa scozzese il pentimento del re poteva essere sufficiente, l’esercito parlamentare non fu del medesimo avviso dopo lo scoppio della seconda guerra civile. In un incontro di preghiera tenutosi il 29 aprile 1648, pubblicato poi nel 1659 da William Allen, si diede voce all’idea secondo cui la guerra era un segno della rabbia divina. L’esercito decise quindi di stipulare un patto con Dio: se avesse riportato la pace nel regno, essi avrebbero fatto «rendere conto a Carlo Stuart, quell’uomo di sangue, del sangue che egli aveva versato» [12]. In altre parole, se l’esercito parlamentare avesse vinto la guerra civile, gli ufficiali avrebbero interpretato la vittoria come un segno del favore divino e avrebbero mantenuto il loro voto, consegnando il re alla giustizia (Crawford 1977, 54). Persino il fronte realista fece ricorso all’immagine della rabbia divina nei confronti del regno causata dal sangue innocente versato, sottolineando al contempo la necessità di un mezzo per ristabilire la pace con Dio e riguadagnarne il favore. Il sangue innocente, in questo caso, era quello di Thomas Wentworth, Conte di Strafford, giustiziato su richiesta del Parlamento il 12 giugno 1641, nonostante il re avesse cercato di evitare la condanna. In una lettera alla consorte Enrichetta Maria di Francia del 1645, Carlo I afferma che l’esecuzione del conte fu «una delle più grandi cause delle giuste sentenze di Dio su questa nazione», rese evidenti dalla furiosa guerra civile [13]. E nel presunto ultimo discorso del re sul patibolo, Carlo I avrebbe riconosciuto che del sangue innocente aveva contaminato il paese e che era dovere dell’autorità civile rimuovere tale contaminazione, esprimendo la speranza che lui stesso, mediante il suo volontario sacrificio sul patibolo, avrebbe soddisfatto la rabbia divina (Crawford 1977, 59).

Sia la letteratura rivoluzionaria sia quella realista fece quindi ricorso all’immaginario proprio della categoria del sacrificio: la presenza di una colpa compiuta dall’avversario, che si configura al contempo come reato giuridico e peccato religioso; l’ira divina per questo peccato, testimoniata dalle stesse guerre civili che flagellavano le isole britanniche; il conseguente desiderio di vendetta di Dio [14]. Ci si aspetterebbe quindi che gli stessi autori avessero concepito delle modalità per placare questo desiderio di vendetta. Se le colpe-peccati di cui si erano macchiati i magistrati e cittadini del regno avevano causato l’ira di Dio e la conseguente perdita del suo favore divino; se tali colpe dovevano essere espiate e il paese stesso ripulito o purificato dal sangue versato; allora un mezzo, cioè un sacrificio, era necessario a tal fine. Solo offrendo qualcosa a Dio il popolo inglese avrebbe potuto riguadagnarne il favore. Tuttavia, nessuno del fronte parlamentare sembrò spingersi a teorizzare esplicitamente la necessità di un sacrificio, in particolare il sacrificio del re, per espiare il reato-peccato di sangue. Fu piuttosto un esponente del fronte realista a richiamare l’attenzione su questa conseguenza naturale del linguaggio sacrificale presente nella letteratura rivoluzionaria. Nei giorni immediatamente precedenti il processo e l’esecuzione del re, Henry Hammond, teologo anglicano e sostenitore della causa realista, accusò apertamente il fronte parlamentare di voler compiere un sacrificio per il quale non aveva dimostrato di possedere alcuna autorità. In una lettera del 15 gennaio 1649 indirizzata al generale Thomas Fairfax, Hammond sviluppò una lunga confutazione delle ragioni addotte dagli autori parlamentari, scagliandosi in particolare contro l’idea che il potere sovrano risieda nelle mani del popolo. Ma tra le opinioni avversate vi era anche l’idea che le vittorie dei rivoluzionari fossero un chiaro segno della provvidenza e del favore di Dio nei confronti della causa parlamentare (Hammond 1649, 4-16). Ed è qui che Hammond rese evidente ciò che la letteratura rivoluzionaria aveva inteso solo implicitamente. Egli si oppone duramente all’idea secondo cui, «essendoci stato molto sangue versato in questo regno nelle recenti guerre, ora un sacrificio deve essere offerto a Dio (ossia ulteriore sangue versato) per l’espiazione di quel peccato di essere colpevoli di omicidio, prima che Dio possa essere pacificato o riconciliato con il Paese» [15]. Hammond non nega che le guerre civili fossero «le più violenti piaghe di Dio» («the sharpest of Gods plagues»), «la punizione per i precedenti peccati di questa nazione» («punishment of the formes sinnes of this Nation»). Ma solleva tre questioni a cui i rivoluzionari erano chiamati a dare dimostrazione: che l’aver versato sangue innocente fosse l’unico peccato per il quale era richiesta una riconciliazione con Dio; se anche così fosse, che un sacrificio, cioè un offerta di ulteriore sangue a Dio, fosse un mezzo realmente cristiano di riconciliazione con il divino; dimostrato che ciò fosse vero, che il Parlamento e i membri dell’Alta Corte di Giustizia fossero stati dotati di quell’autorità richiesta per svolgere «l’ufficio dei sacerdoti pagani, come gli unici individui incaricati di trucidare quel sacrificio» [16].

Nonostante le proteste di Hammond e del restante fronte realista, e nonostante una forte opposizione interna allo stesso fronte parlamentare, Carlo I venne condannato a morte il 26 gennaio 1649, per essere poi decapitato il successivo 30 gennaio. Per i sostenitori della condanna e del regicidio si trattava ora di giustificare la propria decisione. Si può supporre che le tre questioni sollevate da Hammond avessero colto nel segno: piuttosto che insistere con il linguaggio e l’immaginario sacrificale degli anni precedenti, le giustificazioni dell’esecuzione del re acquisirono un carattere più strettamente giuridico e politico. Ad esempio, largo spazio trovò la dottrina dell’autorità sovrana del popolo e della liceità di uccidere un re-tiranno privato della sua autorità sovrana, in quanto decaduto allo status di semplice cittadino sottostante alla legge e per di più traditore e nemico pubblico. Il The Tenure of Kings and Magistrates di John Milton è forse l’esempio più famoso di tali argomentazioni, che d’altra parte si imperniavano ancora sull’accusa di blood guilt di cui si era macchiato Carlo I [17]. Eppure l’enfasi sulle idee proprie della categoria del sacrificio non scomparve. Essa è riscontrabile in alcune opere di John Cook, avvocato inglese e negli anni Cinquanta giudice in Irlanda, nel gennaio del 1649 incaricato di condurre la pubblica accusa durante il processo del re (Prest 2004). Ma nei testi di Cook il linguaggio sacrificale descritto sopra si presenta in una nuova veste: esso viene intimamente unito ad argomentazioni di natura giuridico-politica. Così, quello che prima era considerato un sacrificio richiesto da e reso a Dio viene a configurarsi come un sacrificio alla giustizia, sacrificio che non rappresenta nient’altro che l’esito necessario e legale della giustizia civile.

Due opere di Cook sono particolarmente rilevanti a tal riguardo: il King Charles His Case, pubblicato nel 1649, in cui Cook incluse parte del discorso che avrebbe tenuto di fronte al tribunale se Carlo I avesse accettato il processo indetto contro di lui (Cook 1649); e il Monarchy No Creature of Gods Making, una lunga discussione di passi tratti dal Vecchio Testamento (in particolare da Giudici, i due libri di Samuele, e i due libri dei Re) volti a dimostrare che Dio non approvò mai il governo monarchico (Cook 1652). In entrambe Cook fece largo uso di quella tradizione volta a enfatizzare le colpe dei re in generale e di Carlo I in particolare, colpe che si caratterizzano come peccati che causarono l’ira di Dio e il suo desiderio di vendetta. E a seconda che queste colpe-peccati venissero espiati o meno, avrebbero potuto comportare un premio da parte di Dio o la sua punizione.

Secondo Cook, Carlo I si rese un tiranno sia per le vessazioni contro il popolo inglese, sia per la guerra mossa ingiustamente contro il parlamento. Questa colpa-peccato è tanto più grave se si considera che il re tiranno avrebbe potuto terminare in ogni momento la guerra, ma decise piuttosto di continuarla, e «per soddisfare un ignobile desiderio causò lo spargimento di sangue protestante, più di quanto mai fecero Roma, i pagani e gli anticristiani» [18]. Cook sottolinea che ogni privato cittadino veniva legittimamente condannato per tradimento e messo a morte per l’uccisione di un magistrato giusto, aggiungendo una condanna religiosa al reato giuridico: «anatema sia su questa persona». Ma allora un sovrano legittimo che opprime e muove guerra ai suoi cittadini deve essere condannato per «alto tradimento [… un tradimento] molto più trascendente che nel caso precedente, poiché il re era pagato per il suo servizio e la dignità della persona incrementa l’offesa». E anche in questo caso Cook rafforza il suo discorso con l’aggiunta di una condanna religiosa: qualunque sovrano violi la fiducia del popolo e muova contro di essi una tale guerra, «anatema maràna tha sia su di essi» [19]. È chiaro che Cook colloca il suo discorso non solo all’interno della sfera giuridico-politica, ma anche di quella sacra. Tanto più che la maledizione anathema maranatha, presente in 1Cor. 16, 22, era riservata ai non cristiani ed era descritta nella Bibbia di Ginevra come un essere maledetti in eterno [20]. Cook sembra quindi voler dire che Dio non avrebbe mai potuto accettare o perdonare il tradimento di un sovrano contro il suo popolo. Infatti le azioni di un re che si rese tiranno reclamando un potere assoluto in terra, facendosi simile a Dio, chiedendo di essere adorato e idolatrato come un dio, opprimendo i liberi cittadini di un paese, non erano semplici colpe, ma peccati. E se Carlo I non avesse chiesto perdono per essi prima di essere giustiziato, non avrebbe mai potuto affrontare «il viso irato di Dio» («Gods angry countenance») e sarebbe stato condannato alle pene eterne (Cook 1649, 37-8). Sia la ragione naturale sia la Scrittura provano facilmente che «i re iniqui hanno portato miseria e la rabbia di Dio sul loro popolo», e che nulla poteva soccorrerli «contro la vendetta di Dio» («against Gods vengeance») [21]. Invece, l’aver giustiziato il re, l’aver versato il suo «prezioso sangue», rappresenta «il seme del tempo della libertà e della gloria della nazione, le fondamenta di quei preziosi e durevoli privilegi di cui gli inglesi godranno d’ora in poi» [22].

Dunque, le cause che portarono all’esecuzione del re, vale a dire le sue colpe-peccati, vennero presentate da Cook con un linguaggio retorico tipico della sfera sacrificale. Tra queste cause il reato e peccato di blood guilt è quello di natura più grave. È proprio l’aver mosso guerra contro il suo stesso popolo, l’aver sparso il sangue di migliaia di suoi sudditi senza una giusta causa, ciò che giustifica la sua esecuzione. Cook presenta questa colpa-peccato come indicibile, un tradimento «trascendente» («trascendent»), che Dio non potrebbe mai perdonare, neppure con una speciale eccezione a quella legge fondamentale contro lo spargimento di sangue umano presente in Gen. 9, 6 (Cook 1649, 24 e 39; Cook 1652, 12). Ed è in questo contesto di colpa indicibile che Cook fa esplicito riferimento alle pratiche sacrificali ebraiche:

un re merita la morte più di un privato che commette un omicidio, come colui che è un erudito e conosce la legge deve a maggior ragione essere impiccato per furto, rispetto a colui che non può leggere, come in Lev. 4, 3 e 27-28, se un sacerdote pecca, è richiesta un’espiazione più grande, egli deve offrire un giovane toro, mentre se un uomo mediocre pecca per ignoranza, un cucciolo era sufficiente [23].

In questo passo Cook è volutamente ambiguo: non afferma chiaramente che Carlo I doveva essere sacrificato a Dio a causa della sua colpa-peccato, ma giustifica la necessità della sua punizione facendo riferimento alle pratiche sacrificali ebraiche e al precetto secondo cui un sacerdote avrebbe dovuto compiere un sacrificio maggiore per espiare le sue colpe in ragione della sua carica. Detto altrimenti, il peccato di un re-tiranno richiede un’espiazione maggiore di quella richiesta dai privati cittadini per poter essere purificato e rimosso, vale a dire l’esecuzione del tiranno stesso. Questa ambiguità può essere spiegata alla luce delle tre questioni sollevate da Hammond: evitando di giustificare l’esecuzione del re nei termini di un sacrificio religioso, Cook evitò la spinosa questione di dover dimostrare che il Parlamento era dotato di autorità per compiere questo sacrificio, e che coloro che erano stati incaricati materialmente di giudicare il re e di eseguire la sua condanna a morte fossero stati innalzati da Dio a ruolo di sacerdoti incaricati di offrire l’olocausto.

D’altra parte, è chiaro che i riferimenti alla sfera sacrificale permeano le opere di Cook, innestandosi in una più ampia discussione giuridica e politica. Emblematico a tal riguardo è il titolo stesso della seconda opera qui considerata. Cook descrive infatti «l’esecuzione del defunto re» come «il più fruttuoso sacrificio che Regina Giustizia abbia mai ricevuto» («the Execution of the Late King Was One of the Fattest Sacrifices That Ever Queen Justice Had»), dove per giustizia si intende allo stesso tempo quella naturale e quella divina. Infatti, è «la prima necessaria legge fondamentale di ogni regno» che un tiranno meriti «la più esemplare e severa punizione che possa essere immaginata», poiché è una «legge di natura», una «Legge di Dio» iscritta nei cuori degli uomini, quella per cui gli uomini «devono difendersi naturalmente […] da una violenza esterna». Dunque «è naturalmente sottointeso che se un re diventerà un tiranno, dovrà morire per questa ragione» [24]. Per questo motivo Cook scrive che «il prigioniero [il re] era da molto tempo condannato a morire dalla Legge di Dio» e che «questa Alta Corte doveva soltanto pronunciare la sentenza e il giudizio scritti contro di lui» [25]. Ed è per questo motivo che il popolo inglese dovrebbe riconoscere nell’esecuzione del 30 gennaio, in «quel famoso esempio di giustizia» («that famous peece of iustice»), un motivo per gioire, poiché le azioni di Carlo I avevano provocato «la giustizia di Dio» («Gods iustice») a tal punto da punire il paese (Cook 1652, 131). Cook stesso può dirsi tranquillo nella sua funzione di accusatore, dal momento che il processo al re aveva sia una giusta causa sia giusti giudici: «la prima procura la giustizia in cielo e la seconda la giustizia sulla terra». Dio avrebbe approvato e dato il suo beneplacito alla causa indetta dall’Alta Corte e al modo in cui si era svolto il processo, la magnificenza del quale «potrebbe essere ascritta interamente a Dio» [26].

Conclusione

Gli anni delle guerre civili inglesi furono caratterizzate da una vastissima produzione letteraria sia dal fronte parlamentare che da quello realista: entrambi le fazioni fecero ricorso a pamphlet, trattati, catechismi per soldati e sermoni, tra gli altri generi letterari, per giustificare le loro azioni e convincere la popolazione della loro giusta causa. I rivoluzionari erano chiamati a difendere la legittimità della ribellione del parlamento e la conseguente resistenza ad un sovrano considerato tiranno. Ma resistere a un tiranno e uccidere un tiranno erano percepite come due azioni chiaramente distinte. Nonostante alcuni teorici cinquecenteschi e seicenteschi delle dottrine di resistenza si fossero spinti ad affermare che un tiranno che viola le leggi di Cristo possa essere legittimamente ucciso, la maggioranza dei cattolici e dei protestanti o avevano avversato apertamente il tirannicidio, o erano rimasti silenziosi sulla questione. Fu così che anche molti autori parlamentari furono favorevoli alla ribellione e difesero la resistenza al re, ma non si spinsero fino a teorizzare l’uccisione di Carlo I. È probabile che questa reticenza nel difendere apertamente il tirannicidio sia stata alla base di quell’ambiguità sulla necessità di un sacrificio per espiare l’indicibile colpa-peccato del re. Infatti, se da una parte questa letteratura fece ampio uso di un linguaggio sacrificale e di concetti e immagini propri della categoria del sacrificio religioso, in nessuno dei testi considerati vi fu un’esplicita dichiarazione sulla necessità di compiere un sacrificio per placare l’ira divina – ossia mettere a morte lo stesso sovrano resosi colpevole del reato e del peccato di blood guilt. Il primo a descrivere l’esecuzione del re come un sacrificio sembra essere stato John Cook, ma anche le sue opere non furono prive di ambiguità. Egli presentò le cause che portarono all’esecuzione del re, le sue colpe-peccati, nel quadro della sfera sacrificale, ma allo stesso tempo fece ampio uso di argomenti giuridici e politici, e in ultima istanza l’esecuzione di Carlo I non venne presentata come un sacrificio a Dio, ma piuttosto alla giustizia, divina e secolare. Cook si pose quindi in una sorta di via media tra la sfera del sacro e quella dell’umano [27].

Alla luce delle analisi offerte, si vogliono qui sollevare due questioni per ulteriori linee di ricerca. In primo luogo, a quale categoria di sacrificio facevano riferimento i santi rivoluzionari nelle loro opere? Data la molteplicità di rituali sacrificali nelle diverse religioni e culture; data la fondamentale differenza tra offrire un sacrificio e il sacrificio di sé, che comprende anche la poliedrica idea di martirio; dati gli sviluppi “secolari” dell’idea di sacrificio, che vanno dall’idea di sacrificarsi per la patria a pratiche quotidiane di sacrificio, intese come un semplice dar via qualcosa per ottenere qualcos’altro (Dolgert 2012, 266); questa questione sembra assumere particolare rilevanza. Una risposta esauriente richiederebbe uno studio ben più ampio, ma si vuole qui avanzare una prima ipotesi: i santi rivoluzionari recuperarono la tradizione sacrificale della cultura greca. Naturalmente ciò non vuol dire che non si richiamarono anche alla tradizione giudaico-cristiana. Al contrario, come evidenziato nel corso dell’analisi, citazioni di passi veterotestamentari e riferimenti alla tradizione sacrificale ebraica sono ben presenti nella letteratura rivoluzionaria. Eppure, se si considera una definizione di sacrificio come quella offerta da Claude Rivière (Pesce 2001, 2), basata su una comparazione tra diverse religioni ma particolarmente vicina alla tradizione giudaico-cristiana, difficilmente questa sembra racchiudere quegli elementi ricorrenti nella letteratura rivoluzionaria: l’idea di colpa o peccato indicibile, di ira e di desiderio di vendetta di Dio, di punizione divina, e quindi di sacrificio non come offerta spontanea al divino, ma come mezzo di riparazione e di riconciliazione. È in questo contesto che la tradizione sacrificale greca sembra particolarmente utile. In particolare, il concetto greco di epithusia – un sacrificio ultimo in grado di ristabilire l’ordine umano e cosmico infranto dalle azioni umani, un atto violento conclusivo che fosse in grado di mettere fine a una serie di atti violenti precedenti – sembra particolarmente adatto al caso della letteratura rivoluzionaria e all’enfasi sulla necessità di punire Carlo I per la sua colpa-peccato [28]. Che la vittima fosse consenziente al sacrificio o a tal punto colpevole che nessuno avrebbe cercato di vendicare la sua morte era una delle condizioni affinché l’epithusia potesse caratterizzarsi come un sacrificio in grado di riportare l’ordine morale e politico in uno scenario caratterizzato da violenza (Dolgert 2012, 269). Questo potrebbe spiegare, ad esempio, l’insistenza di Cook nel dimostrare il reato-peccato indicibile di Carlo I, così da persuadere il pubblico inglese dell’indubitabile colpevolezza del re e dell’illegittimità di qualsiasi tentativo di vendicare la sua morte. Si può inoltre supporre che la tradizione sacrificale greca fosse ben conosciuta nella cultura inglese cinquecentesca e seicentesca grazie alla pubblicazione e rappresentazione in latino e in volgare di tragedie basate sulla mitologia greca, in particolare sui miti di Ifigenia e Clitennestra [29]. A titolo d’esempio si può qui citare The Second Part of the Iron Age di Heywood Thomas (Heywood 1632). Colpita dal figlio Oreste, Clitennestra testimonia che la sua morte non è altro che l’ennesimo atto di una catena di violenze iniziata con l’uccisione di Ifigenia: «un male genera ancora un altro male» [30]. Ma in quanto ulteriore atto di violenza, e non un sacrificio in grado di porre termine alla catena di violenze, l’uccisione della madre macchia Oreste, che deve quindi rinunciare al titolo di principe e re (ivi, K1v). E nel finale della tragedia, quando la trama ordita da Cethus per vendicarsi di Menelao diventa infine chiara, il primo afferma che solo la morte di re e principi avrebbe potuto saziare la sua vendetta [31]. Quest’opera faceva parte di un filone in voga tra la fine del ’500 e l’inizio del ’600 chiamato revenge play (Martin 1918). The Tragedy of Orestes di Thomas Goffe è un altro testo teatrale di particolare rilevanza. Nella scena VII dell’atto IV, dove Oreste uccide Egisto, Clitennestra e Pilade (figlio di Egisto), emerge l’idea del sacrificio come mezzo di vendetta [32]. Mentre nella scena successiva del medesimo atto si afferma l’indicibilità del crimine dell’omicidio, tale da andare oltre ogni possibilità di espiazione [33].

Il richiamo alla tradizione sacrificale greca sembra legarsi ad una seconda questione: si può stabilire una relazione tra il concetto di sacrificio religioso e la necessità di giustizia secolare? Il concetto di epithusia è strettamente correlato al concetto di giustizia: solo attraverso un sacrificio finale la giustizia per un crimine di inaudita gravità o per una serie di atti violenti può essere compiuta e l’ordine morale e politico ristabilito (Dolgert 2012, 272). Questo è particolarmente vero per il crimine d’omicidio, la cui compensazione è stata descritta da Froma Zeitlin in un processo evolutivo di quattro fasi, in cui la prima è la richiesta del sangue dell’omicida come compensazione del crimine e l’ultima è l’istituzione di una corte di giustizia che emetta un verdetto imparziale [34]. La letteratura rivoluzionaria sembra favorire l’ipotesi di una relazione o almeno di una certa corrispondenza tra categorie inerenti al sacrificio e la necessità di giustizia secolare. Infatti, le opere di individui come Bowels, Bradshaw e Cook confermano quel processo di commistione tra crimine e peccato segnalato: sacralizzazione del crimine, dal momento che il tradimento di Carlo I nei confronti del suo popolo rappresenta ciò che causa l’ira divina; ma allo stesso tempo criminalizzazione del peccato, dal momento che in ultima istanza è una corte civile a sentenziare il re e a infliggere la pena (Prodi, 2015, 265-7). E l’enfasi di Cook sul sacrificio alla «Regina Giustizia» sembra rafforzare tale ipotesi, dal momento che pone in rilievo il tradimento perpetuato da Carlo I: in quanto re, egli sarebbe dovuto essere il «consorte», l’esecutore della giustizia, da lui invece tradita [35]. E il nonconformista John Owen espresse idee simili a quelle di Cook, affermando che il sangue dei nemici, in questo caso i realisti, rappresentava un giusto sacrificio, ben accetto da Dio (Baskerville 1993, 199-200; Donagan 1994, 152). Correlazioni tra il concetto di sacrificio religioso e di giustizia secolare sembrano inoltre essere antecedenti lo scoppio delle guerre civili, come testimoniato da un sermone del puritano Jeremiah Dyke risalente al 1628 (Baskerville 1993, 197). Jacques Derrida ha descritto il sacrificio come un mettere a morte non criminale, un modo di uccidere considerato legittimo (Derrida 1991, 115). Nonostante egli applichi tale definizione al solo caso dell’uccisione degli animali nel mondo contemporaneo, le considerazioni di Cook e altri rivoluzionari sulla legittimità del tirannicidio sembrano avvicinarsi a tale definizione. Inoltre, l’idea che chi si macchia del reato di sangue sia assolutamente uccidibile, presente nelle opere di Milton e Cook, ma anche di altri santi rivoluzionari, rafforzata sia dai passi veterotestamentari Gen. 9 e Num. 35, sia dalla maledizione anathema maranatha evocata da Cook, non può che richiamare alla mente quel rapporto tra sfera sacrificale e sovranità descritta da Giorgio Agamben in Homo Sacer (Agamben 2005). Ma Agamben non sembra aver considerato a sufficienza il fatto che nella tradizione romana era il popolo a decidere chi fosse l’assolutamente uccidibile homo sacer. Allo stesso modo fu il popolo, o almeno quella minoranza rappresentata dal Rump Parliament, a decretare la condanna a morte di Carlo I non in quanto re, ma in quanto cittadino traditore del patto e quindi nemico pubblico del popolo inglese. Il neonato Commonwealth d’Inghilterra si fondò quindi su un atto violento presentato sì come un sacrificio, ma come un sacrificio in un certo senso anomalo, offerto non al Dio della tradizione giudaico-cristiana, ma alla sua giustizia e alla giustizia degli uomini. Detto in altre parole, la neonata Repubblica Inglese si fondò su di un’idea di giustizia che aveva fatto proprio il linguaggio e i concetti della categoria del sacrificio religioso, utilizzati parallelamente e in sinergia con un linguaggio e concetti propri della tradizione politica della sovranità popolare, del diritto delle genti e delle dottrina di resistenza contro il tiranno (Neufeld 2007, 344). Ci si può allora chiedere se siamo di fronte ad un semplice uso retorico di categorie religiose per legittimare la rivoluzione in atto, o se, al contrario, si deve ipotizzare un’integrazione del sacro nel discorso rivoluzionario, seguendo la lezione di Carl Schmitt, secondo cui «tutti i concetti più pregnanti della moderna dottrina dello stato sono concetti teologici secolarizzati» (Schmitt 2013, 61) [36].

Fonti

  • Anonimo. 1645. The Remonstrance of the Generall Assemby of the Kirk of Scotland to His Maiestie. Sent from the Committee of Both Kingdoms the 12 of Iune Last to Sir Thomas Fairfax to Be by Him Sent with a Trumpeteer to his Majesties Quartiers. Together with an Open Letter from the Commissioners of the Kirk and Kingdom of Scotland Here at London to His Majesties Principall Secretary, Desiring Him to Deliver the Remonstrance to the King. With the Answer of the Lord Digby of the 25 of Iune to That Letter Directed to the Right Honourable the Earle of London Lord Chancellour of Scotland. London: Robert Bostock.
  • Anonimo. 1650. King Charls His Tryal at the High Court of Justice Sitting in Westminster Hall, Begun on Saturday, Jan. 20, Ended Jan. 27, 1648. Also His Majesties Speech on the Scaffold Immediately Before His Execution on Tuesday, Ian. 30: Together With the Several Speeches of Duke Hamilton, the Earl of Holland, and the Lord Capel, Immediately Before Their Execution on Friday, March 9, 1649. London: J.M.
  • Allen, William. 1659. A Faithful Memorial of That Remarkable Meeting of Many Officers of the Army in England, at Windsor Castle, in the Year 1648. As Also, a Discovery of the Great Goodness of God, in his Gracious Meeting of Them, Hearing and Answering Their Suit or Supplications, While They Were Yet Speaking to Him. All Which Is Humbly Presented, as a Precious Patern and President Unto the Officers and Souldiers of the Said Army (or Elsewhere) Who Are or Shall Be Found in the Like Path, of Following the Lord in This Evil Day; Searching and Trying Their Waies, in Order to a Through Return and Reformation. London: Livewel Chapman.
  • Bowles, Edward. 1643. Plaine English, or, A Discourse Concerning the Accommodation, the Armie, the Association. S.n.: s.n.
  • Brutus, Stephanus Junius. 2021. Vindiciae contra tyrannos. Il potere legittimo del principe sul popolo e del popolo sul principe. Napoli: IISFP.
  • Charles I. 1645. The Kings cabinet opened: or, certain packets of secret letters & papers, written with the Kings own hand, and taken in his cabinet at Nasby-Field, June 14. 1645 By victorious Sr. Thomas Fairfax; wherein many mysteries of state, tending to the justification of that cause, for which Sir Thomas Fairfax joyned battell that memorable day are clearly laid open; together, with some annotations thereupon. Published by speciall order of the Parliament. London: Robert Bostock.
  • Cook, John. 1649. King Charles His Case: Or, an Appeal to All Rational Men, Concerning His Tryal at the High Court of Justice. Being for the Most Part That Which Was Intended to Have Been Delivered at the Bar, if the King Had Pleaded to the Charge, and Put Himself upon a Fair Tryal. With an Additional Opinion Concerning the death of King James, the Loss of Roche, and the Blood of Ireland. London: Peter Cole.
  • Cook, John. 1652. Monarchy No Creature of Gods Making, etc. Wherein Is Proved by Scripture and Reason, That Monarchical Government Is Against the Mind of God. And That the Execution of the Late King Was One of the Fattest Sacrifices That Ever Queen Justice Had. Being an Hue and Cry after Lady Liberty, Which Hath been Ravished and Stoln Away by the Grand Potentates of the Earth. Principally Intended for the Undeceiving of Some Honest Hearts, Who Like the Jews Cry, Give Us a King, Though They Smart Never So Much for It. Together With a Preface to the Supream Authority of the Three Nations, the Parliament of England. Wherein, Amongst Other Remarkable Particulars, You Have a Character of the Late Incomparable Lord Deputy, the Truly Honourable Henry Ireton Esq. Waterford: Pieter de Pienne.
  • Goffe, Thomas. 1633. The Tragedy of Orestes, Written by Thomas Goffe Master of Arts, and Student of Christs Church in Oxford: and Acted by the Students of the Same House. London: Iohn Beale.
  • Hammond, Henry. 1649. To the Right Honourable the Lord Fairfax, and His Councell of Warre: The Humble Addresse of Henry Hammond. London: Richard Royston.
  • Heywood Thomas. 1632. The Second Part of the Iron Age: Which Contayneth the death of Penthesilea, Paris, Priam, and Hecuba; the Burning of Troy; the Deaths of Agamennon, Menelaus, Clitemnestra, Hellena, Orestes, Egistus, Pillades, King Diomed, Pyrhus, Cethus, Synon, Thersites, etc. London: Nicholas Okes.
  • Hubert, Languet. 1648. Vindiciae contra tyrannos: A Defence of Liberty Against Tyrants. Or, of the Lawfull Power of the Prince over the People, and of the People over the Prince. Being a Treatise Written in Latin and French by Junius Brutus. London: Matthew Simmons and Robert Ibbitson.
  • Milton, John. 1649. The Tenure of Kings and Magistrates: Proving, That It Is Lawfull, and Hath Been Held So Through All Ages, for Any, Who Have the Power, To Call To Account a Tyrant, or Wicked King, and After Due Conviction, To Depose, and Put Him To Death; If the Ordinary Magistrate Have Neglected, or Deny’d To Doe it. And That They, Who of Late, So Much Blame Deposing, Are the Men That Did It Themselves. London: Matthew Simmons.
  • Montesquieu (Charles-Louis de Secondat). 2020. Lettere persiane. A cura di Domenico Felice. Milano: Feltrinelli Editore.
  • Ram, Robert. 1643. The Souldiers Catechisme: Composed for the Parliaments Army: Consisting of Two Parts: Wherein Are Chiefly Taught: 1. The Iustification 2. The Qualification of Our Souldiers. Written for the Incouragement and Instruction of All That Have Taken Up Armes in This Cause of God and His People; Especially the Common Souldiers. London: J. Wright.

Bibliografia

  • Agamben, Giorgio. 2005. Homo Sacer. Il potere sovrano e la nuda vita. Torino: Einaudi.
  • Baskerville, Stephen. 1993. “Blood Guilt in the English Revolution.” The Seventeenth Century 8, no. 2: 181-202.
  • Becker, Michael. 2017. Kriegsrecht im frühneuzeitlichen Protestantismus: Eine Untersuchung zum Beitrag lutherischer und reformierter Theologen, Juristen un anderer Gelehrter zur Kriegsrechtsliteratur im 16. and 17. Jahrhundert. Tübingen: Mohr Siebeck.
  • Burkert, Walter. 1983. Homo Necans. Berkeley: University of California Press.
  • Campbell, Ian, e Floris Verhaart. 2022. Protestant Politics Beyond Calvin. Reformed Theologians on War in the Sixteenth and Seventeenth Centuries. Abingdon-New York: Routledge.
  • Clerici, Alberto. 2007. Monarcomachi e giusnaturalisti nell’Utrecht del Seicento. Willem van der Muelen e la legittimazione olandese della Glorious Revolution. Milano: FrancoAngeli.
  • Corns, Thomas. 1999. The Royal Image. Representations of Charles I. Cambridge: Cambridge University Press.
  • Crawford, Patricia. 1977. “Charles Stuart, That Man of Blood.” Journal of British Studies 16, no. 2: 41-61.
  • Demers, Patricia. 2005. Women’s Writing in English: Early Modern England. Toronto: University of Toronto Press.
  • Derrida, Jacques. 1991. “Eating Well, or the Calculation of the Subject: An Interview with Jacques Derrida.” In Who Comes after the Subject, a cura di Eduardo Cadava, Peter Connor e Jean-Luc Nancy, 96-119. London: Routledge.
  • Dolgert, Stefan. 2012. “Sacrificing Justice: Suffering Animals, the Oresteia, and the Masks of Consent.” Political Theory 40, no. 3 (June): 263-89.
  • Donagan, Barbara. 1994. “Did Ministers Matter? War and Religion in England, 1642-1649.” Journal of British Studies 33, no. 2 (April): 119-56.
  • Frison, Danièle. 2007. “Rights and Liberties in John Milton’s The Tenure of Kings and Magistrates.” In Milton, Rights and Liberties, a cura di Christophe Tournu e Neil Forsyth, 171-82. Bern: Peter Lang.
  • Gliksohn, Jean-Michel. 1985. Iphigénie de la grèce antique à l’Europe de lumières. Paris: Presses Universitaire de France.
  • Helmers, Helmer J. 2015. The Royalist Republic. Literature, Politics, and Religion in the Anglo-Dutch Public Sphere, 1639-1660. Cambridge: Cambridge University Press.
  • Holmes, Clive. 2010. “The Trial and Execution of Charles I.” The Historical Journal 53, no 2: 289-316.
  • Höpfl, Harro. 2004. Jesuit Political Thought. The Society of Jesus and the State, c. 1540-1630. Cambridge: Cambridge University Press.
  • Imbruglia, Girolamo. 2021. “Fausto Sozzini, la teoria del sacrificio e il socinianesimo.” Brunelliana & Campanelliana 27, no. 1-2: 195-210.
  • Kahn, Victoria. 2005. “The Metaphorical Contract in Milton’s Tenure of Kings and Magistrates.” In Milton and Republicanism, a cura di David Armitage, Armand Himy e Quantin Skinner, 82-105. Cambridge: Cambridge University Press.
  • Kantorowicz, Ernst. 1989. I due corpi del Re. L’idea di regalità nella teologia politica medievale. Traduzione di Giovanni Rizzoni. Torino: Einaudi.
  • Kelsey, Sean. 2003. “The Trial of Charles I.” English Historical Review 118, no. 477 (June): 583-616.
  • Kelsey, Sean. 2018. “King Charles His Case: The Intended Prosecution of Charles I.” The Journal of Legal History 39, no. 1: 58-87.
  • Kelsey, Sean. 2019. “Instrumenting the Trial of Charles I.” Historical Research 92, no. 255 (February): 118-38.
  • Kenward, Claire. 2016. “The Reception of Greek Drama in Early Modern England.” In A Handbook to the Reception of Greek Drama, a cura di Betine van Zyl Smit, 173-98. Chichester: Wiley Blackwell.
  • Lacey, Andrew. 2003. The Cult of King Charles the Martyr. Woodbridge: The Boydell Press.
  • Lowenstein, David. 2004. Representing Revolution in Milton and His Contemporaries. Religion, Politics, and Polemics in Radical Puritanism. Cambridge: Cambridge University Press.
  • Lowenstein, David, a cura di. 2013. John Milton Prose. Major Writings on Liberty, Politics, Religion, and Education. Chichester: Wiley-Blackwell.
  • Martin, Robert Grant. 1918. “A New Specimen of the Revenge Play.” Modern Philology 16, no. 1 (May): 1-10.
  • Miola, Robert. 2020. “Early Modern Receptions of Iphigenia at Aulis.” Classical Receptions Journal 12, no. 3: 279-98.
  • Neufeld, Matthew. 2007. “Doing Without Precedent: Applied Typology and the Execution of Charles I in Milton’s Tenure of Kings and Magistrates.” Sixteenth Century Journal 38, no. 2: 329-44.
  • Neugebauer, Franziska. 2019. “The Power of Proceedings and the Justiciability of Absolutism: The Trial of Charles I Revisited.” Giornale di Storia Costituzionale / Journal of Constitutional History 37, no 1: 55-74.
  • Pesce, Mauro. 2001. “Gesù e il sacrificio ebraico.” Annali di storia dell’esegesi 18, no. 1: 129-68.
  • Pollard, Tanya. 2017. Greek Tragic Women on Shakespearean Stages. Oxford: Oxford University Press.
  • Prest, Wilfrid. 2004. “Cook, John.” Oxford Dictionary of National Biography. Oxford: Oxford University Press. https://doi-org.ucd.idm.oclc.org/10.1093/ref:odnb/6141.
  • Prodi, Paolo. 2015. Una storia della giustizia. Dal pluralismo dei fori al moderno dualismo tra coscienza e giustizia. Bologna: Il Mulino.
  • Schmitt, Carl. 2013. Le categorie del ‘politico’, a cura di Gianfranco Miglio e Pierangelo Schiera. Bologna: Il Mulino.
  • Sheenan, Jonathan. 2006. “The Altars of the Idols: Religion, Sacrifice, and the Early Modern Polity.” Journal of the History of Ideas 67, no. 4: 649-74.
  • Von Friedeburg, Fred. 2002. Self-Defence and Religious Strife in Early Modern Europe. England and Germany. Aldershot: Ashgate.
  • Walzer, Michael. 1996. La rivoluzione dei Santi: il puritanesimo alle origini del radicalismo politico. Traduzione di Mario Miegge. Torino: Claudiana.
  • Zeitlin, Froma I. 1965. “The Motif of the Corrupted Sacrifice in Aeschylus’ Oresteia.” Transactions and Proceedings of the American Philological Association» 96: 463-508.

Note

1. In particolare, Corns 1999; Lacey 2003; Helmers 2015.

2. Di questa vastissima letteratura si segnalano, in particolare, Kelsey 2003; Holmes 2010; Kelsey 2018; Kelsey 2019; Neugebauer 2019.

3. Tra i molti studi, in particolare, Von Friedeburg 2002; Höpfl 2004, 314-38; Clerici 2007; Becker 2017; Brutus 2021; Campbell e Verhaart 2022.

4. Tra le poche eccezioni, Crawford 1977; Baskerville 1993.

5. Imbruglia 2021, 196. Si confronti con Burkert 1983; Sheenan 2006.

6. Num. 35, 33. Ho qui tradotto direttamente dal testo inglese. La versione della Cei ha invece: «Non contaminerete il paese dove sarete, perché il sangue contamina il paese; non si potrà fare per il paese alcuna espiazione del sangue che vi sarà stato sparso, se non mediante il sangue di chi l’avrà sparso».

7. «Sir, I will presume that you are so well read in Scripture as to know what God himself hath said concerning the shedding of mans blood; Gen. 9. Numb. 35. will tell you what the punishment is, and which this Court in behalf of the Kingdom are sensible of, of that innocent blood that has been shed, wherby indeed the Land stands stil defiled with that blood, and as the text hath it, It can no way be cleansed but with the shedding of the blood of him that shed this blood. Sir, we know no Dispensation from this blood in that Commandment, Thou shalt do no Murther […] Truly Sir, I hope all of us have so […] that God before us, that God that is the avenger of innocent blood […] that God that does bestow a curse upon them that with-hold their hands from shedding of blood, which is in the case of guilty Malefactors, and that do deserve death». Anonimo 1650, 66-8. Qui e nelle successive citazioni il corsivo è presente nel testo originale.

8. «How can the Land by this accommodation be cleansed from bloud, that crying sinne, which hath been contracted by this quarrell […] God will not prosper an accommodation without the execution of justice upon these bloud-thirsty men […] if the people, and especially the Parliament doe not their utmost to wash their hands, and cleanse the Land from this innocent and pretious bloud that hath been shed; I feare that bloud […] will be avenged upon them, which they will believe, when they see their accommodation turned into an assassination». Bowles 1643, 18.

9. Ram 1644, 7, 8 e 14. Anche Crawford 1977, 48.

10. «The guilt which cleaveth fast to your Majesty, and to your throne is such, as […] if not timely repented, cannot but involve your self and your posterity under the wrath of the Everliving God: for your being guilty of the shedding of the blood of many thousands of your majesty’s best subjects». Anonimo 1645, A3v-A4r.

11. «These things if your Majestie doe, it shall be no griefe of heart unto you afterward, a blessing is reserved for you, and you shall find favor with God, and with your people, and with all the Churches of Christ». Anonimo 1645, A4v.

12. «If ever the Lord brought us back again in peace, to call Charles Stuart, that man of bloud, to an account, for that bloud he had shed». Allen 1659, 5.

13. «That Strafford’s innocent blood hath been one of the great causes of God’s just judgments upon this nation, by a furious civil war». Charles I 1645, 24.

14. Per altri esempi, Baskerville 1993, 181-7 e 189-91; Donagan 1994, 131, 136-7 e 146.

15. «The last principle to be review’d is this, that there having been much bloud spilt in this kingdome in the late warres, there must now be some sacrifice offer’d to God (i.e., some more bloud shed) for the expiation of that sinne of bloudguiltynesse, before God can be pacified or reconciled to the Land». Hammond 1649, 16.

16. «How it can appeare that if God require any such sacrifice, you […] have any right to put your selves into the office of Gentile priests, as the onlely persons appointed to slay that sacrifice». Ibid.

17. Milton 1649, 4, 6, e 17. Anche Lowenstein 2013, 243-73; Kahn 1995; Frison 2007; Neufeld 2007.

18. «I say, for such a one so long to persecute the faithful, destroy and inslave the people by oppressing cruelties […] to levy a war to that wicked end […] that might be at any time with a word of his mouth have stopt all the bleeding veins in the three kingdoms, but would not; and for the satisfying of a base lust, caused more Protestant blood to be shed then ever was spilt, either by Rome, Heathen or Antichristian». Cook 1649, 4.

19. “When any one of this people shall compass the death of the Governor, ruling well; this is a treason punishable with death for the wrong done to the community, and anathema be to such a man: so when he or they that are trusted to fight the peoples battels, and to procure their welfare, shall prevaricate, and act to the inslaving or destroying of the people […] this is high treason with a witness, and far more transcendent then in the former case, because the king was paid for his service, and the dignity of the person does increase the offence […] if there were so superlative a treason … and whosoever shall break and violate such a trust and confidence, anathema maranatha be unto them”. Cook 1649, 24.

20. Nella Bibbia di Ginevra, la glossa a 1Cor. 16, 22 recita: «By these words, are betokened the [secret] kind of curse and excommunication that was amongst the Jews: and the words are as much as to say, as our Lord cometh: So that his meaning may be this, Let him be accursed even to the coming of the Lord, that is to say, to his death’s day, even for ever». Geneva Bible, 1599 Edition. Published by Tolle Large Press. https://www.biblegateway.com/passage/?search=1%20Corinthians+16&version=GNV (ultimo accesso 22/03/2023).

21. «The sum of these and many other Scriptures and reasons that might be alledged to this purpose is to let you see […] that wicked kings have brought misery and the wrath of God upon his people». Cook 1652, 97. Si confronti con Cook 1652, 124.

22. «And the precious blood that hath been shed, is no doubt the seeds time of freedom and glory to the nation, the ground work of those previous and durable priviledges, that English-men shall hereafter enjoy». Cook 1652, 83.

23. «A king did more deserve death then for a private person to commit a murder, as he that is a scholler and knowes the law ought in reason rather to be hanged for stealing than he that cannot read a letter, as Levit. 4. 3. 27. 28. if a priest sin it requires a greater expiation, he must offer a bullocke, whereas if a poor man sin through ignorance a kid was sufficient». Cook 1652, 12.

24. «By the fundamental Law of this kingdom, by the general Law of all Nations, and the unanimous consent of all rational men […] that when a man is instructed with the sword for the protection and preservation of the people, if this man shall employ it to their destruction […] by the law of that land he becomes an enemy to that people, and deserves the most exemplary and severe punishment that can be invented: and this is the first necessary fundamental Law of every kingdom […] and this law needed not be exprest, that if a king become a tyrant, he shall dye for it, ‘tis so naturally implyed […] and as we are to defend our selves naturally […] from hunger and cold, so from outward violence […] and this Law of Nature, as the Law of God written in the fleshly tables of mens hearts […] hath a prerogative right of power before any positive law whatsoever». Cook 1649, 22-3.

25. «The prisoner was long since condemned to dye by Gods Law […] and that this High Court was but to pronounce the sentence and judgment written against him». Cook 1649, 38.

26. «And though I might have been sufficienty discouraged […] yet considering that there are but two things desirable, to make a dumb man eloquent, namely a good cause, and good judges, the first whereof procures the justice of heaven, and the second justice upon heart; and thinking […] that the glory of this administration may be wholly given to God, I desire to observe the praise of his great name […] believing that God never calls to the acting of any thing so pleasing to him, as this most excellent Court of Justice is, but he is present with the honorable judges, and those that wait upon them». Cook 1649, 38-9. Si confronti con Cook 1649, 35-6 e 40.

27. Si deve qui rammentare quanto brevemente accennato sopra, ossia che all’indomani dell’esecuzione di Carlo I anche il fronte realista fece presto uso delle categorie del sacrificio per descrivere la morte del re come un martirio. Scopo dei realisti era delegittimare l’azione dei rivoluzionari e presentare Carlo I come un martire cristiano agli occhi sia del popolo inglese a lui ancora fedele sia del più vasto pubblico europeo. Trattati e pamphlet a tal fine conobbero ulteriore stimolo negli anni successivi alla Restaurazione. Tra i molti studi, Corns 1999; Lacey 2003; Helmers 2015. Una comparazione tra l’immaginario sacrificale del re martire e quello della panflettistica rivoluzionaria esula da questo studio, ma è certamente auspicabile.

28. Dolgert 2012, 269. Si confronti con Burkert 1983, 22-35.

29. Gliksohn 1985; Demers 2005, 78-98; Kenward 2016; Pollard 2017; Miola 2020.

30. «And all remarkeable sinnes punish with marke, / one mischiefe still another doth beget, / adultery murder: I am lost, undone». Heywood 1632, K1r-v.

31. «Pan’d with the trunkes of kings and potentates, / for what leste could have sated my revenge?». Heywood 1632, K3v.

32. «This nigh shall give mee now a deepe carouse, / of Clytemnestra’s and Aegystheus blood, […] Whilest to hells fire I shall sacrifice / three hecatombs; it doth the furies good, / when e’t wee wet the Altars with such blood». Goffe 1633, pagina non numerata.

33. «Murther it selfe is past all expiation / a crime that nature most of all abhorres». Goffe 1633, pagina non numerata.

34. Zeitlin 1965, 486-7. Si confronti con: Dolgert 2012, 274-5.

35. Ringrazio Riccardo Rosolino per avermi fatto notare questo aspetto.

36. Il presente articolo è il risultato delle ricerche svolte presso il Dipartimento di Scienze Umane e Sociali dell’Università degli Studi di Napoli L’Orientale, nell’ambito del PRIN 2017 (Progetti di rilevante interesse nazionale) “Il sacrificio nell’Europa dei conflitti di religione e nel mondo moderno: comparazioni, interpretazioni, legittimazioni”. Si vuole qui ringraziare Riccardo Rosolino e Girolamo Imbruglia per i loro commenti a una versione preliminare del testo. Si vuole altresì ringraziare i revisori anonimi e gli editori della rivista Storicamente per i loro ulteriori commenti e consigli.