Storicamente. Laboratorio di storia

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Paolo Fonzi, “Fame di guerra”

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Paolo Fonzi, Fame di guerra. L’occupazione italiana della Grecia (1941-43). Carocci: Roma, 2020. 216 pp.

Un libro estremamente necessario, quello di Paolo Fonzi: la ricostruzione dell’occupazione militare italiana in Grecia è infatti un tema non spesso approfondito, ma essenziale per avere un quadro il più completo possibile della conduzione della guerra nei Balcani, a sgombrare il campo da banalizzazioni e semplificazioni, quando non da strumentalizzazioni, che mai come in questo caso hanno abitato e popolato la ricostruzione di quel periodo, soprattutto, ma non solo, nella comunicazione pubblica.
L’autore lavora su fonti italiane, tedesche, britanniche, greche e della Croce Rossa Internazionale che permettono di intrecciare sguardi plurimi, ponendo diversi focus di ricerca, fra cui uno particolarmente interessante, ovvero quello della storia sociale del Paese occupato. Fonzi ricostruisce dapprima gli obiettivi imperialistici del fascismo, che aveva disegnato una possibile area di influenza nel Mediterraneo in cui, insieme a Jugoslavia e Albania, vi erano la Grecia, il Dodecaneso – già italiano dal 1912 – e le isole ioniche, che avrebbero dovuto essere una nuova provincia del Regno d’Italia. Quindi si sofferma ad analizzare i rapporti fra i due paesi e in modo specifico la presenza, o meno, di uomini e partiti filo-fascisti nel Paese ellenico, fino ad arrivare al 18 novembre 1940 quando Benito Mussolini annunciò l’inizio della guerra alla Grecia, dopo che il dittatore Metaxas il 28 ottobre 1940 gli aveva opposto il megalo oxi, il “grande no”, alla richiesta di avere libero passaggio per le truppe italiane. Una data, e una scelta, tuttora inserita nel calendario civile greco: il 28 ottobre è infatti una festa molto sentita da una popolazione che vive il sentimento di appartenenza nazionale con sfumature e stati d’animo estremamente peculiari. Un patriottismo che si espresse anche durante la guerra, moltiplicando le motivazioni fra la popolazione e l’esercito. «In due o in dodici mesi» le forze armate italiane avrebbero dovuto conquistare la Grecia, secondo le dichiarazioni di Mussolini, ma la «trionfale marcia su Atene» si trasformò in una guerra di logoramento, che finì con l’armistizio del 1941. A esso si arrivò , com’è noto, solo grazie al supporto nazista, portando così alla formazione di un governo collaborazionista e alla triplice occupazione italiana, tedesca e bulgara.
Il testo di Fonzi si sofferma quindi sulla vita della popolazione durante l’occupazione, e in particolare sulla carestia causata dalla crisi di produzione agricola e dal rigido controllo delle risorse alimentari da parte degli occupanti. Una crisi che colpì il territorio greco in modo differente e in diversi momenti, ma che può essere riassunta con una immagine radicata nelle memorie dei greci: «in un paese in cui gli agrumi crescono spontaneamente nelle strade, la popolazione moriva di pellagra». La carestia fece dell’accesso al cibo una «questione politica» di primaria importanza: come ben sottolinea Fonzi, in questa situazione lo Stato greco apparve fortemente indebolito sia a livello locale che centrale. L’autore esplora la gestione del territorio messa in atto dagli occupanti in una situazione geografica complessa come quella greca e non manca di evidenziare i fenomeni di corruzione nell’esercito italiano, così frequenti che portarono anche ad una inchiesta e all’invio di ispettori ad Atene nel maggio 1943.
Di grande interesse sono anche le pagine dedicate all’esercito italiano, alla politica di occupazione attuata nei confronti dei cittadini e della Resistenza, e alla percezione che la stessa popolazione aveva dell’occupazione. La dichiarazione di guerra e il “grande no” furono accompagnati da una campagna di propaganda tesa a mettere in ridicolo Mussolini, rappresentando i militari italiani come codardi, incapaci, male armati e poco propensi alla guerra. L’analisi delle canzoni, della satira, delle vignette e dei rapporti militari mettono in luce come la popolazione temesse e, forse, rispettasse i tedeschi, mentre disprezzava gli italiani. Lo scherno divenne una forma di «resistenza civile molecolare», secondo la definizione di Fonzi. Tra le numerosi canzoni, qualcuna metteva in ridicolo le divise italiane (le penne dei bersaglieri, il fez), altre sbeffeggiavano Ciano, altre ancora denigravano gli italiani che si spaventavano al grido «aera» con cui i greci lanciavano gli attacchi. La versione di Campagnola bella, diventata Koroido Mussolini (Mussolini ridicolo), fu all’origine di arresti, processi e grande irritazione da parte degli occupanti italiani. Un lavoro come quello di Fonzi non può non soffermarsi anche sul mito dell’armata «s’agapò»: introdotto nelle pagine iniziali, il tema viene poi ripreso in altri passaggi, evidenziando i diversi aspetti dei rapporti fra le donne e gli occupanti, tra violenze, prostituzione e legami.
Nel complesso si tratta di temi estremamente importanti, che dovrebbero stimolare future ricerche volte ad analizzare la memoria dell’occupazione italiana in Grecia. Nel dopoguerra, infatti, il carattere «poco guerriero» attribuito agli italiani si trasformò da motivo di scherno a un’attenuante che differenziava gli italiani dai tedeschi, almeno per quanto riguarda la prima fase dell’occupazione, ovvero prima che dal 1942 si sviluppasse la Resistenza nel settore di occupazione italiano. Nel primo anno gli italiani repressero le forme di opposizione costruendo campi d’internamento dove i prigionieri erano sottoposti a condizioni molto dure, mentre in seguito, fra il 1942 e l’inizio del 1943, la strategia divenne fare “terra bruciata” e quindi furono compiute stragi come quella di Domenikon in Tessaglia, dove più di 140 persone furono uccise nel corso di una rappresaglia per un attacco partigiano a un convoglio italiano che aveva causato 9 morti. In quel periodo, ci ricorda Fonzi, gli italiani incendiavano interi villaggi e risorse alimentari in obbedienza a una strategia pianificata a tavolino. Strategia che pare essere stata dimenticata nel discorso pubblico italiano e poco presente anche nelle analisi storiografiche.
Naturalmente la data dell’8 settembre segna un momento essenziale nell’occupazione italiana e Fonzi non manca di soffermarsi sui radicali mutamenti a cui si assistette partendo dalla più nota resistenza della Divisione Acqui, a Cefalonia e Corfù, per poi analizzare eventi meno conosciuti come la decisione presa dalla Divisione Pinerolo di stringere un accordo di cobelligeranza con il comando partigiano e con gli inglesi. Di grande interesse è l’approfondimento sulle difficoltà nei rapporti fra i comandanti partigiani, quelli dell’Elas in particolare, e gli ufficiali italiani, giudicati troppo coinvolti nel regime fascista. Anche in questo caso l’analisi della memoria che di quegli eventi si ha – o per meglio dire si aveva – in Grecia potrebbe essere un ampliamento estremamente utile e necessario. Una memoria che, mi par di poter affermare, varia a seconda di chi la conserva: civili, partigiani, militari, distinguendo fra ufficiali e soldati. La lettura di questo testo dimostra, infine, come la storia della Grecia occupata possa essere completamente compresa solo se si approfondiscono le interazioni fra gli occupanti e fra questi e la popolazione greca nei diversi momenti e nei diversi spazi geografici: città, periferie, campagne, isole.