Storicamente. Laboratorio di storia

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Giulia Guazzaloca, Fine secolo. Gli intellettuali italiani e inglesi e la crisi tra Otto e Novecento

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La crisi del 1898 è uno degli oggetti di studio importanti nella storiografia contemporaneistica italiana, ed è senz'altro un momento chiave nell'evoluzione dello Stato liberale italiano, uno di quei momenti che definiscono, per molto tempo, il ruolo delle forze politiche in campo in rapporto alle istituzioni e che mettono a nudo la questione della crisi dello Stato liberale e, in particolar modo, della crisi del sistema parlamentare nella trasformazione sociale ed economica in corso.

Lo studio di Giulia Guazzaloca introduce due novità nello studio di un tema classico: l'elemento più immediatamente visibile è la comparazione dell'Italia con la Gran Bretagna, quello forse più notevole è la scelta di lavorare esclusivamente sulle rappresentazioni che della crisi, o meglio di queste due crisi, hanno dato gli intellettuali nella stampa del tempo.

Per quanto riguarda la comparazione, l'autrice sottolinea fin dall'introduzione che è proprio la distanza tra i due sistemi politici e la loro diversità a costituire un punto di interesse per lo studioso, e ad essere un grimaldello per cercare di smontare la tesi dell'«eccezionalismo» italiano. Lo scopo di Guazzaloca è pienamente raggiunto e la ricerca dimostra come questa fase di trasformazione che attraversa, con forme differenti, lo spazio politico europeo, pur così eterogeneo nelle strutture e nella storia, ha in sé degli elementi comuni, con i quali bisogna fare i conti.

E la comparazione proposta non va senz'altro a detrimento dell'approfondimento dei due oggetti di studio, cosa che viene spesso contestata dagli scettici del metodo comparativo. Bisogna segnalare tuttavia che la scelta di comparare due casi nazionali molto diversi, non permette, per la natura stessa degli oggetti scelti, di incrociare davvero i due casi proposti ma di vederli per lo più giustapposti, anche se l'autrice non manca di mostrare, in certe fasi, il peso dell'anglofilia nel determinare le scelte politiche italiane, oltre che l'evoluzione di questo sentimento in Italia, anche negli anni di fine Ottocento.

Il fulcro del dibattito proposto in questa ricerca è senz'altro la questione della rappresentanza parlamentare e il suo rapporto con istanze autonominatesi modernizzatrici che mirano all'esclusione dal dibattito politico, e quindi dal conflitto, di certi temi particolarmente "caldi", questione che sembra impossibile risolvere con l'efficienza della politica. Questo è naturalmente un tema scottante, oggetto di discussione tanto nei sistemi liberali che nei sistemi democratici quando si punta ad una loro ridefinizione (io direi in senso autoritario), e che permette, come giustamente fa notare Guazzaloca, di pensare ad una crisi lunga nel sistema liberale italiano tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento, che trova una sua definizione con l'avvento del fascismo.

Quello che viene sottolineato in questa ricerca è il rapporto tra la riflessione intellettuale e la crisi politica, una riflessione che è forse un po' troppo ristretta, dal momento che l'autrice ha scelto non solo di evitare di analizzare lo svolgimento della crisi - anche a causa della già ampia letteratura sull'argomento -, ma anche di limitare la ricerca ad alcune riviste, considerate tra le «più prestigiose» e le «più diffuse» che limitano però il campo alla stampa colta, pur eterogenea politicamente, e non alla stampa tout court (anch'essa comunque elitaria) , e quindi ad un più vasto intervento degli intellettuali nell'arena pubblica. Da questa prospettiva, e senza fare ricorso ad uno sguardo ad altri circuiti, non esclusivamente intellettuali o politici, risulta difficile capire quanto la crisi di fine secolo sia «presentita», come l'autrice sostiene, o, invece, anche creata dagli intellettuali presi in considerazione, e questo malgrado l'emergere della crisi provochi un'evoluzione delle valutazioni ed una frammentazione nelle posizioni degli intellettuali, precedentemente molto più omogenee.

In conclusione però non si può fare a meno di osservare che, se la riflessione si chiude sull'importanza dei temi trattati nella definizione delle democrazie rappresentative, allora come ora, l'autrice, che pure esplicita poco le proprie posizioni su questo problema, lasciando che il suo libro costituisca un laboratorio di riflessione e non una proposta interpretativa rigida, non riesce ad evitare un sguardo amaro sugli intellettuali del tempo di cui parla, più proni alle esigenze della classe dirigente e ai dibattiti contingenti, che all'importanza di uno "sguardo lungo" e alle prospettive euristiche della propria scienza.